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Educare per Contrastare

di Patrizia Salmoiraghi

Perché Soroptimist International Italia deve occuparsi di bullismo e di cyberbullismo?
Perché Soroptimist International Italia
deve occuparsi di educazione?

Patrizia Salmoiraghi, Past Presidente Nazionale
Referente nazionale Progetto SI contrasta il bullismo e il cyberbullismo

La risposta è negli obiettivi di Soroptimist, fra i primi la promozione dei diritti umani, e, fra questi, l’educazione e la formazione delle giovani generazioni.
E se l’educazione è minata da una crisi che va via via degenerando e aggredendo fasce sempre più ampie e più precoci della nostra gioventù, la “società civile” deve misurarsi col problema, investendo forze, risorse, competenze ed energie.
E SII possiede le forze – una squadra di quasi 5.500 donne –, le risorse, capacità progettuali e organizzative, le competenze, le professioni più diverse in collaborazione sinergica, le energie, la forza contrattuale locale e la tenacia e l’entusiasmo delle sue socie.
Ecco dunque la progettualità di “SI contrasta il Bullismo e il Cyberbullismo”, che in primo luogo parte da una guida per genitori e docenti, nata dal lavoro di un gruppo (di studio sull’argomento e di azione per l’operatività), formato da socie professioniste in sinergia, gruppo che si è ingrandito ogni volta che abbiamo capito che occorrevano un’altra voce, un’altra prospettiva, altre competenze.
E a questo gruppo si sono poi aggiunte altre e diversificate collaborazioni, che vanno a formare quella che abbiamo chiamato la nostra task force contro il bullismo e il cyberbullismo. Su richiesta di alcuni club la nostra task force ha sviluppato, nella speranza che possano essere utili a tutti, proposte operative mirate su target di adulti (docenti, genitori) o di scolari e studenti che potranno essere realizzate nelle scuole e nelle associazioni: brevi video di informazione e di formazione, percorsi didattici differenziati guidati da una nostra esperta e attività integrate.

Questi esperti/e sono a disposizione per sviluppare percorsi operativi, rispondere a domande sull’argomento, risolvere dubbi e sostenere le attività nelle scuole e/o in altri ambiti interessati (consultori, associazioni genitori, scout …).

La guida contro il bullismo
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Intervista alle Candidate

alla carica di Presidente Nazionale Biennio 2024/2025

La Presidente Nazionale del Soroptimist International Unione Italiana per il Biennio 2024/2025 verrà eletta dal Consiglio Nazionale delle Delegate a Foligno il 29 maggio 2022.

Abbiamo posto alle Candidate sette domande sul loro programma, sulla loro vita professionale e sul loro tempo libero per presentarle alle socie.

Ecco i loro curriculum sintetici

Adriana Macchi

Adriana Macchi, laureata in Lettere e Filosofia, ha collaborato con diverse case editrici. Presso il Centro Studi Politica Estera e Opionione Pubblica dell’Università di Milano è stata borsista e responsabile delle pubblicazioni e coordinatrice delle segreterie scientifiche di Convegni internazionali. In Franco Angeli Edizioni (1984/1997) ha svolto il ruolo di redattrice nei settori di Sociologia e di Economia, e Area Manager nel settore di Psicologia. Successivamente (1997/1999) è responsabile editoriale in Egea. Dal 2000 al 2011 è consulente editoriale specializzata nel settore no-profit. Dal 2011 è Presidente della Fondazione Opera Pia SS Bernardino e Marta Onlus, struttura residenziale per anziani con 25 posti letto e 11 dipendenti. Entra nel club di Novara nel 2011 e dal 2006 è nel club di Alto Novarese che ha contribuito a fondare. Dopo aver ricoperto numerose cariche di Club, per l’Unione Italiana è stata Presidente del Comitato Estensione (2013/2017), Vicepresidente nazionale (2017/2019), Coordinatrice nazionale Advocacy (2019/2020).

Lucia Taormina

Lucia Taormina è Avvocata, specialista in Diritto di famiglia e questioni patrimoniali, svolge la professione a Rapallo nello studio di famiglia. Oltre che nella professione si è da sempre impegnata in vari ambiti nel suo Ordine professionale: è stata Prima Presidente dell’Ordine dei Giovani Avvocati, ha fatto parte per un decennio del Consiglio dell’Ordine di Chiavari. È componente della Giunta dell’organismo di rappresentanza nazionale degli Avvocati; componente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Forense, ente di gestione della previdenza ed assistenza dell’Avvocatura, oltre a svolgere attività di docente e relatrice in numerosi eventi formativi presso Associazioni e Ordini professionali in tema di previdenza e assistenza forense. Nel 1985 entra nel club di Tigullio dove ha ricoperto diverse cariche. Per l’Unione Italiana è stata Segretaria Nazionale (1989/1991), componente (1992/1993) e poi Presidente (1993/1995) del Comitato Statuti, coordinatrice del gruppo di lavoro “SI va in biblioteca” (2017/2019), Vice Presidente Nazionale (2019/2021).

Domanda 1

Quale senso ha, nel 2022, un Club service internazionale di donne ad elevata qualificazione professionale?

Risposta 1 Macchi

Donne unite nell’ intento di sostenere l’avanzamento della condizione femminile che danno voce e difendono i loro diritti a tutte le latitudini attraverso azioni concrete, con la competenza delle loro diversità professionali, che condividono approcci trasversali ai confini nazionali e costruiscono una rete progettuale a servizio delle comunità. Credo sia, ora come allora, una visione anticipatrice e moderna che mantiene inalterato tutto il suo significato. E rappresenta anche una grande opportunità di scambio di conoscenza ed esperienze per le Socie. Quel che forse appare un po’ superato è l’utilizzo di certe categorie che infatti sono state opportunamente modificate con termini più adeguati e rispondenti alle nostre realtà.

Risposta 1 Taormina

Non mi nascondo la profonda crisi che attanaglia i service club e l’associazionismo in genere.
Credo però che la diversità nelle competenze e la condivisione di valori siano gli elementi identitari che ci consentiranno di continuare ad essere ispiratrici di azioni e progetti all’avanguardia, così come è stato nei 100 anni della nostra storia. Competenze, esperienze di vita, la rete internazionale che ci apre al mondo, lo spirito di servizio che non è beneficenza, ma si fa azione e progetto, ci rendono diverse e danno corpo e senso alla nostra adesione, ancora nel 2022 ed anche nei prossimi anni.

Domanda 2

Ci racconti il tuo ingresso nel Soroptimist, le motivazioni, il legame con le tue madrine, il tuo inserirti nel club ed i successivi incarichi nazionali?

R. 2 Macchi

Ho respirato aria soroptimista fin dai tempi in cui ragazzina accompagnavo mia madre alle riunioni alla Meridiana (sede allora del Club di Novara) e consideravo tutte le Socie “zie” al pari della mia vera zia, Adriana, socia fondatrice del club di Biella. Sono cresciuta in ambiente fertile da questo punto di vista e in un certo senso educata a questi valori, e quindi, dopo, la cosa più naturale mi è sembrata l’ingresso nel Club. Grazie a incontri positivi con Socie che mi hanno accolto, trasmesso esperienza ed entusiasmo e mi hanno accompagnata e sostenuta, ho assunto varie responsabilità all’interno del Club. Nel 2013 si è presentata l’occasione di misurarmi con la dimensione nazionale. Da lì ha preso avvio un percorso diverso, dall’estensione alla vicepresidenza, con tanti nuovi incontri e confronti che hanno arricchito progressivamente il mio bagaglio, con sempre maggiore coinvolgimento.

R. 2 Taormina

Sono stata invitata all’assemblea di inizio anno sociale in casa di una socia. Era l’ottobre del 1986, avevo 31 anni. Credo di essere stata indicata da un collega tra le allora poche donne iscritte all’Albo degli avvocati.
Appena entrata sono stata “prelevata” da Anna Botto, che mi ha sottoposto ad un garbato e pressante interrogatorio. Al termine ha fatto un cenno di assenso a Lina Borzone, seduta dall’altra parte della sala, che ha sorriso. Da quel momento è iniziata una esperienza unica, avvincente, formativa.
Il maggio successivo sono stata designata Segretaria Nazionale per il biennio 89/91. Come posso raccontarvi due anni straordinari in poche righe? Conoscere il Soroptimist stando al centro del Soroptimist, accompagnata e sostenuta da donne come Elda Pucci, Maria Amendola, Vittoria Kinerk, e tante tante altre.
Negli anni successivi sono stata al Comitato Statuti, durante la presidenza di Raffaella Mottola. Poi una lunga pausa per i miei assorbenti incarichi nell’avvocatura. Appena un po’ più libera e dopo la presidenza del Club, ho seguito il “SI va in biblioteca” con Patrizia Salmoiraghi, un piccolo progetto che ci ha dato grandi soddisfazioni.
Quindi sono stata VicePresidente con Mariolina Coppola, che mi ha affidato compiti e progetti importanti, come la trasformazione del Soroptimist in associazione riconosciuta e la necessaria modifica di Statuti e Regolamenti ed il progetto di collaborazione con la Protezione Civile, da poco portato a conclusione con Giovanna Guercio.

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Le Forze di Polizia e il cyberbullismo

di Silvia Nanni
Ispettrice Polizia di Varese
esperta in contrasto alla violenza

Il disagio e la devianza minorile, il bullismo nella sua forma cibernetica insidiosa e difficile da “decodificare” sono tra le emergenze del nostro tempo che, ormai quotidianamente, le Forze di Polizia sono chiamate ad arginare. L’utilizzo sempre più massiccio delle tecnologie, il web e la sua indiscriminata capacità di diffusione immediata di immagini e giudizi sommari, le innumerevoli insidie del mondo virtuale hanno provocato cambiamenti epocali e di conseguenza la necessità di una formazione “specialistica, multiprofessionale e sinergica” per i professionisti della Giustizia, del Diritto, dell’Ordine e della Sicurezza pubblica. Il cyberbullismo è una forma di devianza messa in atto tramite l’utilizzo del mezzo tecnologico che si manifesta attraverso azioni intenzionali offensive e violente, comportamenti aggressivi, prevaricazioni e oppressioni psicologiche reiterate nel tempo, perpetrate da un giovane che si ritiene più forte o da un gruppo di giovani ai danni di un altro percepito come più debole. La vittima è spesso un coetaneo fragile anche nell’aspetto fisico, generalmente incapace di difendersi. L’intenzione dell’autore di cyberbullismo è in primo luogo quella di incutere timore − anche in coloro che restano spettatori della vicenda − perché agire con violenza e imporre la propria autorità lo fa sentire superiore agli altri, capace di avere tutto e tutti sotto controllo. L’anonimato che molte piattaforme consentono e l’effetto moltiplicatore delle azioni denigratorie e violente che possono essere guardate e riguardate in rete da chiunque, a qualsiasi ora e in qualsiasi parte del pianeta rendono il cyberbullo addirittura più pericoloso del bullo tradizionale. Come è noto, il nostro Codice Penale non contempla i reati di bullismo e cyberbullismo, ma i comportamenti che caratterizzano i due fenomeni presentano molte analogie con il reato di “Stalking o Atti persecutori”, introdotto dal Legislatore nel 2009 all’art. 612 bis c.p.: una fattispecie criminosa che si configura a fronte di condotte assillanti e ossessionanti.
Il termine Stalking è tratto dal lessico anglosassone e significa accerchiare la preda senza lasciarle via di scampo con vessazioni, offese, continue ricerche di contatto, appostamenti virtuali.
È quanto subisce la vittima di cyberbullismo accerchiata e perseguitata mediante dinamiche dolorose e subdole che troppo spesso prendono vita tra le mura scolastiche e “si nutrono” delle relazioni e dei silenzi di chi è più fragile con conseguenze che incidono prepotentemente sul suo equilibrio psicofisico. Quando i comportamenti del cyberbullo sono penalmente rilevanti è necessario informare senza ritardo le Forze di Polizia. Gli operatori della Questura, del Commissariato di P.S., del presidio dei Carabinieri più vicino, oppure direttamente gli specialisti della Polizia Postale a cui sono affidati il monitoraggio della rete e la prevenzione e il contrasto del crimine informatico, diventano quindi referenti privilegiati per ogni insegnante, per ogni genitore, per ogni educatore e operatore del sociale che deve fronteggiare il fenomeno. L’intervento tempestivo da parte del personale di uno degli Uffici di Polizia Giudiziaria preposti e presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale favorirà infatti l’interruzione delle dinamiche gravemente pregiudizievoli, consentirà di tutelare rapidamente il minore vittima, di individuare i responsabili e di ripristinare l’uso corretto della Rete. Gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria chiamati ad operare in prima linea contro bullismo e cyberbullismo hanno oggi più che mai una formazione “dedicata” e sono pronti ad interagire con vittime e autori coniugando preparazione tecnica e capacità di empatia, comprensione e riconoscimento dei sentimenti e delle emozioni proprie e altrui. Strumento prezioso nelle azioni volte a prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo è senza dubbio l’Ammonimento del Questore introdotto all’art. 7 della Legge 71 del 2017: un provvedimento amministrativo con lo scopo di bloccare l’escalation delle condotte con cui uno o più minori ledono via web altri minori. È un atto attraverso il quale un giovane vittima di condotte bullistiche in Rete (ingiurie, diffamazioni, minacce, ricatti, furto d’identità…) in presenza di un genitore o esercente la potestà genitoriale può presentare all’Autorità di Pubblica Sicurezza la richiesta di ammonire il minore autore. L’Ufficiale di Pubblica Sicurezza convocherà quindi il cyberbullo (unitamente ad almeno un genitore o esercente la responsabilità genitoriale) al fine di ingenerare in lui la consapevolezza del disvalore delle condotte agite e intimare il cessare di ogni azione vessatoria. Il provvedimento ha una connotazione preventiva e mira a coinvolgere i genitori nel cammino di presa di coscienza del giovane ammonito.
Per prevenire efficacemente le dolorose dinamiche del bullismo e del cyberbullismo che feriscono così profondamente infanzia e adolescenza è comunque essenziale un dialogo costruttivo e continuo a più voci tra famiglia, scuola, servizi sociali, forze di polizia e autorità giudiziaria per individuare e programmare azioni sinergiche e multidisciplinari volte ad intercettare in tempi rapidi gli indicatori di un disagio, a riconoscere e arginare l’immaturità emotiva che muove tanta violenza e a colmare quei vuoti educativi che minano pensieri e cuore di molta gioventù. Un grido di allarme deve farci riflettere: “i social e la Rete sono pieni di giovani che fanno male e si fanno male per riempire le loro solitudini!”… è dunque nostro dovere non lasciarli soli, ma diventare per loro interlocutori preziosi, osservarli, ascoltarli e dialogare con loro in terreni non apertamente conflittuali, comprenderne i reali bisogni e costruire momenti di condivisione. Solo così potremo conoscere e indagare quelle “geografie tecnologiche” che animano molte loro solitudini: gli accessi on line, le frequentazioni, le mode, le sfide che temono… e guidarli verso un utilizzo adeguato, consapevole e virtuoso della Rete.

COMMUNITY2

I progetti dei Club sul Bullismo

Club di Como

Progetto “Bullout 2.0”

di Matilde Pellerin

Il club di Como ha cominciato a occuparsi di lotta e contrasto al bullismo e al cyberbullismo nel 2017 e, poco dopo l’avvio del progetto, è stata costituita la Rete Provinciale sul tema della quale fa parte e che comprende attualmente 40 scuole (27 istituti comprensivi e 13 scuole secondarie di secondo grado) oltre ad associazioni ed enti formativi.

Il volantino del lancio del Progetto


Il club di Como si è rivolto a Pepita Onlus, una cooperativa sociale con esperienza ventennale e composta da professionisti del settore educativo, perché strutturasse un progetto di intervento nelle scuole per fronteggiare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Una socia del Club aveva avuto occasione di conoscere l’attività di Pepita Onlus, ha condiviso l’esperienza, la cooperativa è stata interpellata e il progetto del Club di Como ha preso forma.
Poco dopo l’inizio degli interventi nelle scuole, nel 2017 è stato vinto il primo Bando regionale per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo: la disponibilità di risorse economiche in più rispetto a quelle stanziate dal Club di Como ha consentito di ampliare l’intervento, proponendolo ad altre classi rispetto a quelle originariamente coinvolte.
Dal 2017 a oggi il Club di Como con la Rete provinciale e le realtà ad essa afferenti lavorano con le scuole su questo tema drammaticamente attuale.
Quest’anno il progetto “BullOut 2.0” ha preso avvio a marzo (due mesi dopo il previsto a causa dell’emergenza pandemica) e le scuole destinatarie sono state scelte tra quelle che non avevano mai beneficiato di questo tipo di interventi ovvero che avevano segnalato problematiche specifiche.
In totale per quest’anno si interverrà in 11 istituti comprensivi e in 6 scuole secondarie di secondo grado. Il progetto si articola su tre punti:
sensibilizzazione/formazione della comunità scolastica (studenti, docenti, genitori);
costituzione di un team operativo con il compito di supportare le vittime di atti di bullismo o cyberbullismo;
promozione di programmi di recupero rivolti agli autori di atti di bullismo e cyberbullismo.
I corsi sono tenuti da Pepita Onlus per le scuole secondarie di primo e secondo grado e da Cooperativa Attivamente per le scuole primarie. 
Pepita Onlus dedica a ciascun Istituto 6 ore, ovvero un percorso di 3 incontri per ciascuna classe, selezionata dal docente referente del bullismo come più idonea alla proposta. 
I topic e gli obiettivi degli appuntamenti educativi sono:
promuovere la consapevolezza di far parte di una rete di relazioni e la coscienza di vivere un ambiente digitale, approfondendone le principali caratteristiche (pubblico/privato, reputazione digitale, opportunità e rischi nella Rete);
riflettere sul linguaggio e sulle parole usate nell’ambiente digitale;
sviluppare pensiero e spirito critico rispetto ai modelli promossi dalla Rete (influencer, testimonial, challenge);
rendere coscienti gli studenti circa alcuni comportamenti abituali ma non corretti o etici, anche analizzando gli aspetti giuridici (imputabilità, responsabilità dei genitori/tutori, ammonimento);
incentivare il dialogo con gli adulti di riferimento quando si è vittime o si assiste a episodi di cyberbullismo, contrastando l’omertà.
La metodologia di interazione è attiva e partecipativa: non si basa sulla trasmissione di concetti, ma sull’emersione collettiva di istanze sociali e sulla co-creazione con i beneficiari di un sistema di valori condiviso. La conduzione è facilitata dal ricorso a strumenti audiovisivi, video-testimonianze, attivazioni ludiche, simulazioni, giochi di ruolo, giochi cooperativi, laboratori. 
Sui medesimi spunti e nelle logiche del supporto alla genitorialità e alla didattica si sviluppa l’offerta agli adulti di riferimento del ciclo secondario di II grado: sono organizzati gli incontri formativi per i docenti e gli appuntamenti di sensibilizzazione per i familiari.

Un momento del convegno


A chiusura del progetto, il Club di Como di solito organizza un evento che vede coinvolti i ragazzi, le scuole e i genitori per lasciare a tutti i giovani che hanno lavorato con serietà ed impegno sul tema un segno concreto di stima.
Ora che la lotta al bullismo e al cyberbullismo è assurta a progetto nazionale dell’Unione, il Club di Como è lieto di poter dire che è stato pionieristico e con vero piacere condivide con tutti i Club d’Italia la propria esperienza.

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Il Fondo per L’Arte

Il Soroptimist per la Reggia di Caserta

di Maria Clelia Galassi

Maria Clelia Galassi, Club Genova Due

Il Fondo per l’Arte dell’Unione Italiana ha la finalità di finanziare interventi di salvaguardia, conservazione e restauro a tutela del patrimonio culturale e artistico italiano.
Nel 2021, in occasione del Centenario del Soroptimist International l’Unione ha selezionato, tra i vari progetti presentati dai Club, il restauro della Fontana di Diana e Atteone della Reggia di Caserta
per l’importo di 40.000 euro

Nel 2021 il Soroptimist International d’Italia ha destinato il Fondo speciale per l’Arte, con un importo di 40.000 euro, al restauro delle sculture che costituiscono la “Fontana di Diana e Atteone”, realizzata nel parco della Reggia di Caserta tra il 1786 ed il 1789 da Tommaso e Pietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli.
La scelta ha tenuto conto dell’importanza di questo complesso scultoreo, capolavoro della scultura napoletana del Settecento, collocato in posizione strategica al vertice della lunga “Via d’acqua”, così come dell’alta rappresentatività della Reggia di Caserta, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997, una delle residenze reali più grandi del mondo e tra i siti italiani più visitati. La fontana casertana è stata selezionata anche perché i suoi contenuti narrativi risultano particolarmente coerenti con la missione del Soroptimist. La protagonista è Diana, divinità della Luna e della caccia, vergine casta e insieme dea della fecondità, donna solidale con le altre donne, le Ninfe di cui si circonda, amante e protettrice della natura e dei boschi, indipendente, indomita e libera. Seguendo il racconto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, il complesso scultoreo raffigura il momento in cui la dea, spiata di nascosto durante il bagno, nuda tra le ninfe, da Atteone, si vendica punendo severamente il profanatore. Atteone è trasformato in un cervo che i suoi stessi cani sbranano, non avendolo riconosciuto. Diana, violata nella sua riservatezza, costituisce un esempio di violenza di genere, mostrando, con l’evidenza plastica del suo gesto imperioso, la capacità della donna di reagire e di combattere l’offesa subita.
Il restauro si è reso necessario dal momento che le sculture erano ricoperte da licheni, muschi e patine nere, che venivano a offuscarne il loro biancore e costituivano un pericolo per la compattezza delle superfici. Inoltre, alcune parti aggettanti presentavano problematiche strutturali. L’intervento, attualmente in corso sotto la direzione di Anna Manzone, responsabile dei laboratori di restauro della Reggia, si concluderà il prossimo luglio. Esso si pone come obiettivo il consolidamento delle tante figure marmoree che compongono il gruppo, la pulitura delle superfici e l’applicazione di prodotto biocida ed erbicida in più cicli volto alla disinfezione dei microrganismi della superficie e all’eliminazione delle erbe infestanti. È previsto inoltre il ripristino della staticità di alcuni perni ed una verifica delle parti aggettanti, ormai compromesse dal tempo ed in condizioni di staticità precarie. Si valuterà infine l’applicazione di un protettivo finale, a scopo di preservare l’opera nel tempo, garantendone la piena fruibilità caratteristica del bianco di Carrara.

L’arte chiama i mecenati

Intervista a Tiziana Maffei, Direttrice della Reggia di Caserta

di Francesca Pompa

Tiziana Maffei

Quando è partito il progetto di restauro e che importanza ha avuto l’apporto dato dal Soroptimist nel recupero della Fontana, in particolare delle due statue?
Il progetto di restauro preliminare è stato redatto internamente dal funzionario restauratore al fine di partecipare alla candidatura del Fondo per l’arte. A seguito dell’avvenuta selezione, i servizi interni hanno proceduto per gli approfondimenti necessari a predisporre il progetto esecutivo per l’affidamento a ditta specializzata in restauro. L’intervento è iniziato nel mese di marzo e terminerà entro l’estate. È stata un’opportunità inizialmente individuata dal club locale di Caserta, selezionata come progetto nazionale del Soroptimist International d’Italia e che per noi ha anticipato l’intervento rispetto al piano di restauro previsto al sistema della via d’acqua. Un’iniziativa encomiabile.
Che importanza riveste la Fontana all’interno del percorso di visita della Reggia?
È il culmine della via d’acqua, un’opera che fonde natura, mito e arte. È sicuramente uno dei punti maggiormente attrattivi del Parco Reale, episodio emblematico della narrazione della simbologia del Museo Verde.
Come crede che il Pnrr possa contribuire a ridare splendore al patrimonio artistico e culturale italiano?
Per la prima volta ci si è occupati in modo sistematico di una realtà specifica e identitaria come quella dei giardini e parchi storici che sono un patrimonio di inestimabile valore, per quanto prezioso e fragile. In generale il Pnrr dà la possibilità di mettere un gioco progettualità trasversali. Senza dubbio una grande sfida anche per la pubblica amministrazione.
Nei giorni d’oggi abbiamo mecenati che, come nel passato, impegnano le proprie risorse a favore dell’arte?
Non ai livelli di un tempo e purtroppo con la stessa sensibilità culturale. Nel Mezzogiorno, ad esempio, esperienze come l’art bonus sono significativamente minori.
Quali le sue aspirazioni per il futuro della Reggia di Caserta?
Sono convinta che la Reggia di Caserta meriti di essere un museo contemporaneo di riconoscibilità internazionale, con capacità di offrire esperienze culturali diversificate e di altissimo livello. Mi auguro anche che si riesca a consolidare in breve tempo la percezione della Reggia di Caserta come Reggia tout court, la rappresentazione materiale di una storia identitaria e complessa del nostro Paese. La Reggia è una grande visione di un monarca, fonte di ispirazione per chi la visita e per chi ci lavora. 

Luciana-Grillo

Con mani di Donna

La rubrica di Luciana Grillo

Storie di apertura al Nuovo

Il motto scelto dalla Presidente Nazionale si può declinare in più modi: il Soroptimist International d’Italia nel biennio 2021/2023 si occupa di “cambiamento” a proposito della cultura dominante – e quindi promuove le STEM –, a proposito dell’ambiente – e propone il rimboschimento della foresta che suona in Val di Fiemme –, a proposito della valorizzazione di socie – e suggerisce l’inserimento di biografie su Wikipedia…e così via.
Di cambiamento si interessano cinema e teatro, il cambiamento attraversa la letteratura e influenza le trasposizioni televisive, come accade ad esempio nella serie “L’amica geniale”, tratta dai romanzi di Elena Ferrante.
Il cambiamento delle donne – che è anche cambiamento di cultura, di abitudini, di modi di vivere – è sempre presente, a partire dal primo romanzo della serie, quando le due protagoniste si propongono una – Elena detta Lenù – di studiare per allontanarsi dalla famiglia, l’altra – Raffaella detta Lila – non potendo studiare, di fare il salto economico prima inventandosi un lavoro, poi sposando un uomo ricco, anche se la sua ricchezza è di matrice dubbia.
Nel secondo romanzo, “Storia del nuovo cognome”, il sogno di Lila di diventare ricca si infrange, dalla casa dei Carracci Lila si allontana, va a vivere in un povero appartamento di periferia, mentre Lenù sembra rimanere una spettatrice che scrive ciò che osserva, solo per caso lontana dal rione. Studiare a Pisa, avere abiti nuovi, una dizione corretta e un fidanzato non le danno sicurezza, il cambiamento è apparente, soprattutto quando torna a casa e si confronta con le sue origini umili.
Storia di chi fugge e chi resta è il terzo romanzo, quasi interamente centrato su Elena che, una volta laureata, tenta di realizzare un ulteriore cambiamento sposando Pietro, rampollo di una famiglia importante, atea e socialista, colta e tutta tesa alla realizzazione di una compiuta giustizia sociale, eppure non immune dal senso di potenza determinato dalla “casta”. Ma come era accaduto a Lila, anche questo matrimonio non funziona, e non tanto per la differenza fra le famiglie di origine dei due coniugi, quanto per la riapparizione inquietante di Nino, ragazzo del rione, affascinante, intellettuale, teatralmente pronto a manifestare rispetto e comprensione per le donne, salvo poi “usarle” e gettarle via.
Nel quarto romanzo, “Storia della bambina perduta”, la storia delle due amiche si compie, Elena è una scrittrice di successo, un modello di donna autentica, libera, emancipata, che dalle sue vicende personali trae linfa per i romanzi – e dunque il cambiamento è compiuto; Lila invece, combattente per destino, dopo la misteriosa scomparsa della figlia, decide di “cancellarsi”, di sparire, non perché si arrenda all’ineluttabile, ma per manifestare la sua forza, la sua libertà, il suo essere irriducibile. Anche questo è un cambiamento, che ha il sapore del dramma. In realtà, nei quattro romanzi e nella fiction televisiva che fino ad oggi ha preso spunto dai primi tre, il cambiamento che abbiamo analizzato relativamente alle due amiche, percorre ogni pagina, sia perché c’è una connotazione cronologica precisa (1944-1960; 1960-1976: 1976 -…) che scandisce certi passaggi, come l’urbanesimo senza regole che affligge le città e le migrazioni dalle campagne alle città, sia perché si promulgano leggi che sanciscono alcuni diritti fondamentali delle donne, come l’accesso a determinate carriere, l’introduzione del divorzio, la tutela delle madri lavoratrici, la parità dei coniugi, l’istituzione dei consultori, sia perché si occupa dell’istruzione delle donne come volano per l’emancipazione.
Dal 1944 ne è passata di acqua sotto i ponti, il cambiamento c’è stato, ma nulla è definitivo, a noi donne il compito di accelerarlo.

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Va’ dove ti portano le donne

La rubrica dei viaggi al femminile

Iaia Pedemonte, giornalista e scrittrice

I viaggi che raccontiamo qui sono le ultime novità, scelte tra le mete raccontate nelle due Guide delle Libere Viaggiatrici (ed.Altreconomia) e nel sito www.g-r-t.org: le prime pubblicazioni che incrociano il grande mercato delle donne che lavorano nel turismo e delle viaggiatrici, fonti di dati e mete del turismo responsabile che fa bene alle donne (le donne del turismo sono il 54% di un settore che valeva il 13% del PIL e ora tra le più punite dalla crisi). Iaia Pedemonte propone anche nel turismo una valutazione di impatto di genere, in un processo strutturato di uguaglianza ed inclusione, con indicatori specifici e progetti, per un cambiamento culturale che, come è provato, porterà ad una crescita economica di tutta la società

A 2000 metri tra Portofino e le Cinque Terre

Liguria. Un viaggio o un weekend, tra profumi, trekking, yoga, cucina, arte, ispirate da giovani donne intraprendenti

Ecco un caso esemplare di come tante donne possono fare rete con successo: le trovate tra le vette e i borghi delle tre valli Graveglia, Sturla, Aveto – tremila ettari selvaggi di un prezioso habitat protetto e ricco di storia, nel Parco delle Valli dell’Aveto, tra Liguria e Emilia, affacciato sul mare di Chiavari –, e sono più della metà della novantina di soci di ‘Una Montagna di Accoglienza nel Parco’, consorzio con decine di idee e programmi, ben spiegati sul sito o ai centri accoglienza di Borzonasca, Rezoaglio e Santo Stefano.

Val D’Aveto


Sono architette, storiche, esperte di arte e territorio, imprenditrici, geologhe, naturaliste, guide, conoscitrici di ogni erba, ogni campanile antico e ogni orma di lupo. Per centrare l’obiettivo di mantenere vive queste valli sono partite dalla conoscenza: chi vive qui e chi ha studiato la storia e l’arte si è coalizzata ed ha focalizzato le migliori energie di tutta la comunità. Prima di tutto facendo conoscere (e tenendo personalmente puliti) i sentieri, come dal paese storico di Nascio a Cassagna, borgo minuscolo tutto archi, passaggi interni e tegoli in ardesia. O creando piccole esperienze che sono un viaggio indietro nel tempo: nei boschi in cui ancora risuona il ‘Cantamaggio’, al piccolo nucleo di Ventarola, ai mercati contadini, ai mulini storici, alle abbazie medievali, a quel piccolo gioiello che è il Museo del Damasco a Lorsica, all’itinerario da Borzone a San Martino di Licciorno con il campanile, Luogo del Cuore FAI, che sbuca magico tra gli alberi.

Ventarola

Per la felicità dei bambini ci sono la Miniera e il Museo del Bosco, dove le guide fanno giochi raccontando i Laghi di origine glaciale e le tane di animali. Meritano una tappa gourmand l’azienda agricola che coltiva centinaia di tipi di patate, il nuovo amaro alle erbe, lo showcooking con le storie del paese raccontate dalle donne di Sopralacroce, con tanto di premi per chi impara a ‘tirare la sfoglia’, oppure gli assaggi di “preboggion” a Né o i “testaieu” al pesto nel casale seicentesco Cà da Nonna.
Le novità di stagione?
Seguire la Transumanza in maggio, dalle stalle del Lago di Giacopiane ai pascoli di Villa Cella, un piccolissimo borgo di montagna con i resti di un antico monastero e un accogliente agriturismo.
Arrivare in alto con la guida ambientale, da maggio ad agosto, per osservare gli unici branchi di cavalli selvaggi del nostro paese.
Percorrere la natura con consapevolezza, aprire i sensi e guardarsi dentro in armonia, nel laboratorio di Forest Bathing, tra prati in fiore e acqua.
Unire Yoga e Cammino nei ‘Laboratori Outdoor’ di Elisabetta Beccaria, passi, soste, respiro, esercizi di rilassamento e allungamento.

Naturyoga


Fare aquisti e provare i nuovi menù a KM zero, la raccolta delle olive, la fattoria didattica, i laboratori del pane e del formaggio, con Silvia, Lucia, Alessandra all’agriturismo I Pinin.

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Roberta Garibaldi

Una donna per tante donne nel turismo*

di Francesca Pompa

*Amministratore delegato Enit – Agenzia Nazionale
del turismo e docente all’Università di Bergamo

Ci parli della sua ascesa fino alla posizione apicale, non facile per una donna, di amministratore delegato di Enit (ci piacerebbe dire amministratrice delegata).
Direi che sono una persona curiosa, sempre attenta a osservare e ascoltare. Ho sempre amato studiare, conoscere e approfondire i temi a cui mi approccio. Credo nel confronto, nel fare rete e lavorare in network, soprattutto internazionali, cercando sempre di favorire un approccio data driven e partecipato. Il viaggio è un fil rouge della mia vita, così come vivere direttamente le esperienze per comprendere le esigenze del turista. Vivo ogni giorno come una nuova sfida, perché bisogna sempre migliorarsi e puntare sempre più in alto, alla ricerca di nuovi stimoli e nuovi traguardi da raggiungere, soprattutto in un mondo dinamico come quello contemporaneo e in un settore “creativo” come quello del turismo.
Ho reso la passione della mia vita il mio lavoro e sto realizzando i miei sogni: amo viaggiare, conoscere le differenti culture e convogliare gli studi e le esperienze maturate nello sviluppo di strategie, finalizzate alla crescita e al consolidamento del turismo. Durante i miei oltre vent’anni di lavoro ho potuto approfondire le numerose sfaccettature del mondo dei viaggi e, successivamente, mi sono dedicata alla valorizzazione del turismo enogastronomico.
Amare il mio lavoro rende tutto più semplice.

Come la presenza delle donne nel turismo concorre alla riqualificazione dell’offerta. In particolare, è nel turismo esperienziale e responsabile che le donne sembrano trovare la propria vocazione. Per la capacità di perseguire l’innovazione e il cambiamento?
Il turismo del nostro Paese è un comparto “rosa”: ben il 53% di chi lavora nel settore è di genere femminile (dati Ebnt, 2021). Al di là dei numeri, che comunque mostrano quanto l’apporto sia fondamentale, il ruolo delle donne è essenziale.
Hanno un grande spirito imprenditoriale, sono sempre più numerose le aziende del settore – dalle agenzie di viaggio alla ricettività – nate su iniziativa di donne. Oggi si attestano attorno al 27% del totale, un dato superiore a quello di altri settori (Ansa, 2021).
Mostrano grande dedizione e passione nell’unire l’innovazione e la tradizione, ragion per cui possono trovare la propria vocazione nel turismo esperienziale e responsabile. Hanno attenzione anche per le esigenze del mondo femminile, un segmento di domanda che sta crescendo rapidamente: molte delle nuove imprese nascono per iniziative di donne e si rivolgono alle donne.
Ciò che, però, deve far riflettere sono i livelli di leadership femminile nel settore del turismo, incredibilmente bassi. Si pensi che solo il 12,5% delle prime 350 aziende di tecnologia di viaggio è guidato da una donna, percentuale che scende all’8% nel settore delle crociere, al 6% nell’aviazione e nel business dell’autonoleggio e al 5% nell’alberghiero. La strada da percorrere in tal senso è ancora importante.

Il calcio uno sport per tutti

Interviste a Clara Mondonico* e a Tania Busetto

di Silvia Ruspa

*L’intervista è stata rilasciata poco prima che la FIGC deliberasse il via al professionismo nel calcio femminile a partire dalla prossima stagione.

“Il calcio è un gioco vario
ed emozionante, tutti possono giocarlo, arricchisce le idee,
la fantasia, stimola l’amor proprio.
Ci sono sconfitte e vittorie, riuscire a superare un insuccesso rafforza
il carattere… servirà nella vita.”
Silvio Piola

Queste le parole che il grande calciatore, Silvio Piola (imbattuto detentore del record di reti segnate − 290 − in serie A più 16 reti in nazionale) ha utilizzato per descrivere lo sport che tanto amava. Il calcio è un gioco per tutti, anche per le donne?
Dai numeri sempre più crescenti di bambine e ragazze che si approcciano a questa disciplina sportiva, si evince una risposta certamente positiva.
L’Italia leggermente in ritardo rispetto ad altri Paesi ha riconosciuto lo status professionistico anche alle calciatrici mentre, già da qualche anno, lo ha fatto per le figure di giudice di gara.
E se si esce dal ristretto ambito agonistico, è possibile annettere il calcio nell’alveo delle discipline educative, come una sorta di cassetta degli attrezzi utili al “gioco della vita”.
E oltre al calcio praticato, sempre più donne sono impegnate nell’organizzazione ed amministrazione di società sportive calcistiche, dimostrando anche in questa fattispecie competenze e potenzialità leaderistiche spesse volte non disgiunte a buone prassi ed obiettivi socio-educativi.

Clara Mondonico

Clara Mondonico, figlia d’arte.
Il padre Emiliano fu calciatore e allenatore. Amato e stimato da colleghi, avversari e sportivi in genere, ha rappresentato l’eccellenza del calcio “dal volto umano”.

Occhi vivaci e sognanti, soprattutto quando ricorda il suo famoso “papà”, l’allenatore ed ex calciatore Emiliano Mondonico da cui ha, certamente, ereditato la passione per il calcio.
Clara, una laurea in giurisprudenza, un impiego in un ufficio legale di un istituto di credito, il sogno di calpestare l’erba dei campi da gioco. Quarantacinque anni di vita in cui il gioco del calcio è stato sempre presente come pratica sportiva nelle ansie e nelle gioie del padre ma anche come principio ludico ed educativo. Un grande rimpianto per non aver intrapreso la carriera di calciatrice (“era impensabile ai miei tempi, per una donna in Italia, vivere di calcio”) superato dalla capacità di perpetuare la filosofia paterna di un “calcio sincero”, in cui il business è finalizzato unicamente alla possibilità di garantire l’attività sportiva. Da tre anni è presidente dell’associazione “Emiliano Mondonico”.

Da dove è nata l’idea di fondare un’associazione intitolata a suo padre e perché?
Occorre tornare alla data fatidica del 29 marzo 2018, quando il papà ha intrapreso il suo ultimo viaggio. A salutarlo, fra i primi, giunsero i ragazzi dell’Approdo, la squadra di calcio [la sua squadra più importante come amava lui stesso definirla, ndr] che papà aveva creato a favore del recupero di ragazzi affetti da dipendenze da sostanze oltre che da ludopatia. All’interno di un progetto riabilitativo che prevede anche una residenzialità protetta con vari gradi di copertura assistenziale, nel cuore della provincia cremonese (Rivolta d’Adda), papà Emiliano ebbe l’intuizione di proporre al personale sanitario impegnato nella riabilitazione il calcio come ulteriore momento socio-riabilitativo.
Assieme al dottor Cerizza, responsabile sanitario del progetto, sono stati individuati gli step metodologici finalizzati alla costituzione della squadra di calcio. Gli inizi non sono stati semplici perché i ragazzi hanno dovuto accettare e apprendere, di nuovo, la modalità dello “stare assieme” dandosi un obiettivo comune [ecco, il senso ultimo del gol, ndr], accettando e valorizzando le differenze. Il rispetto delle regole, la condivisione della condizione di partenza, la costruzione della fiducia nel coach, il riconoscersi come comunità, tutti aspetti generativi di cambiamento non solo in ambito terapeutico.
Infatti, lo stesso modello è stato adottato nei confronti del contrasto del fenomeno del bullismo.
All’insegna del motto: “Mollare Mai”, l’impegno sociale dell’associazione va anche nella direzione di un marcato sostegno alla squadra di calcio del carcere minorile, Beccaria di Milano. È importante far sentire ai ragazzi che si ha fiducia in loro e nelle loro potenzialità.

Cosa ne pensa del fatto che in Italia non sia ancora pienamente riconosciuta legalmente la professione di calciatrice?
Penso che sia giunto il momento di andare oltre. Intendo dire che sicuramente occorre un iter giuridico che porti la carriera professionistica alle donne ma, altrettanto un cambio di mentalità, in generale del cosiddetto “senso comune”. Una bambina che voglia giocare a calcio deve essere sostenuta e non ostacolata perché non vi è nulla di anomalo o contrario alle regole del bon ton. Senza considerare il fatto che il calcio femminile non deve essere concepito come una bizzarria bensì come la regolarità. L’anomalia, per me, è parlarne come si trattasse di una categoria protetta. Questo ha determinato sinora un limite nella preparazione tecnica delle nostre realtà. Bisogna essere sincere: potremmo fare di più. Ad oggi, esistono tutte le condizioni per superare anche in questo caso il gender gap che vede il calcio femminile un qualcosa di speciale. Per il futuro, mi auguro, ad esempio, che la Nazionale Femminile possa ottenere riconoscimenti e traguardi internazionali al pari di quelli dei colleghi maschi certa del fatto che, noi donne sapremo creare modelli di “fare squadra”, di gestione delle ansie e dinamiche e di comunicare i valori sportivi con modalità più empatiche.

Tania Busetto

Avvocata, specializzata in Diritto del Lavoro, è tutrice dei diritti delle persone violate (donne in difficoltà, disabili). Attualmente, ricopre la carica di Segretaria Nazionale di AIAC (Associazione Italiana Allenatori di Calcio), Onlus affiliata FIGC.

Da dove nasce la sua passione per il calcio?
La mia passione per il calcio nasce dal sociale.
Mi spiego meglio. Io ho tre figli e Chris, il maggiore, che ora è quasi ventenne, è affetto da sindrome autistica.
Ho cercato più volte di trovare la giusta chiave per stimolare le sue abilità, ma non è stato facile per mancanza di opportunità formative presenti nel territorio.
Strutture extra scolastiche dove si potessero condividere spazi ed insegnamenti purtroppo si faticano a trovare.
Lo sport è una di quelle preziosissime chiavi che desidero siano a disposizione di tutti senza distinzione di abilità e, aggiungo, nemmeno di genere.
Io sono presidente dell’associazione Fuori la Voce che si occupa di sensibilizzare contro la violenza di genere ed il bullismo giovanile, due temi a volte divisi da un sottile filo … basta pensare al reverge porn.
Nel 2019 in occasione di un evento ho voluto trattare il tema del bullismo sportivo, era da poco successo un caso di un giovane calciatore che in segno di protesta si era tirato giù i pantaloni contro l’arbitro donna, la quale era stata insultata anche dai genitori in tribuna.
In seguito a quell’episodio ho conosciuto Marcello Mancini, presidente Aiac Onlus, e da lì mi si è aperta una finestra. Ci ho messo naso e mi sono appassionata, tanto che ora sono segretaria Nazionale Aiac Onlus e con mio marito, Leonardo Cossu, ho acquisito anche una società di calcio Fc Spinea 1966, militante nel campionato di serie D.
Aiac Onlus è il braccio armato dell’Associazione Italiana Allenatori di Calcio, componente tecnica della FIGC: è quella parte che si definisce “Allenatori di Calcio per il sociale”.

Donne e calcio: le calciatrici afgane di Herat a Coverciano.
Dall’inizio del mio incarico nel 2021, tra le tante cose che ci hanno impegnato, ci siamo occupati assieme a Cospe ed UNHCR di portare in Italia le calciatrici afghane, ma anche di razzismo e xenofobia con Unicef Italia, di Antidiscriminazione con la FIGC, ed abbiamo organizzato il primo corso per Allenatori di Calcio per Calciatori e Calciatrici con disabilità.
Come si può capire io mi sono innamorata di questo sport in modo diverso da come di solito accade, sono stata affascinata dal ponte che è in grado di creare e dalla sua immensa capacità di comunicazione.

Le calciatrici Afghane a Coverciano


Il progetto delle calciatrici afghane è stata la mia prima idea in occasione del mio primo direttivo, era fine agosto ed eravamo nel bel mezzo dell’emergenza. Avendo appreso dell’esistenza di queste giovani donne appassionate di calcio, ho espresso al direttivo il desiderio di accoglierle in Italia e sono stata non solo ascoltata, ma la mia proposta è stata accolta con entusiasmo.
Sono stati giorni molto concitati dove rimanevamo in contatto con le maestranze impegnate in Afghanistan fino a notte fonda, perché era una lotta contro il tempo, visto che dal 31 agosto avrebbero chiuso i corridoi umanitari.
Quando a mezzanotte del 31 mi ha chiamata il Colonnello Lo Giudice per dirmi “Avvocato, sono arrivate”, mi sono messa a piangere dall’emozione.
E da lì poi abbiamo lavorato per dare a loro un’opportunità di vita e di formazione calcistica nel nostro paese.

Cosa si auspica per il futuro?
Nel mio territorio ci sono realtà calcistiche frammentate, chi maggiormente orientato sulla prima squadra, chi sulle disabilità, chi sul femminile.
Il desiderio mio e della mia famiglia, la nostra ambizione, è di riunire tutti sotto un un’unica bandiera senza distinzione di abilità e senza distinzione di genere ed utilizzeremo la nostra società, la Spinea, per dimostrare che ciò è possibile.
Coadiuvata da persone esperte in ogni settore desidero valorizzare la nostra prima squadra, nonché fare crescere e formare il nostro settore giovanile, abbracciando la disabilità ed il femminile. Il tutto, ripeto, senza improvvisarsi ma con competenza, ricordiamo che il “Mr.” è un educatore e deve essere preparato, formato ed aggiornato.
La sfida è quella di abbattere quindi le barriere mentali, ancora più ostiche di quelle architettoniche, ma sono sicura che con la perseveranza riusciremo assieme a creare quella cultura nel sociale, sconnotato dal concetto assistenzialistico e pietistico, che nel nostro paese ancora arranca ad affermarsi ed attuare semplicemente la meritocrazia, sia per gli atleti che per i dirigenti, senza la necessità di dover utilizzare lo stratagemma delle “quote” per dare la giusta opportunità a tutti.

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Il personaggio

Katia Serra

Intervista di Cinzia Grenci

Calciatrice di Serie A e della Nazionale femminile, con il ruolo di centrocampista. Uno scudetto, tre Coppe Italia, tre Supercoppe Italiane, una Coppa Uefa. Poi dirigente sportiva e, da qualche tempo, brillante commentatrice tv.
Per la Rai, ha curato la cronaca di diverse partite dell’Europeo 2021, compresa la finale, prima donna in questo ruolo.
La bolognese Katia Serra è tutto questo e molto di più. Persona tenace e schietta.

Caratteristiche che non le hanno reso certo la vita facile in un ambiente prettamente maschile.
“La passione e la determinazione a fare ciò che mi piace sono state le leve per superare gli ostacoli e le frustrazioni. Ma sono state anche sfide da vincere per creare un habitat di lavoro meno ostile e per tracciare la strada ad altre donne con il mio stesso amore per il calcio”. Un percorso, ci racconta, fatto di pregiudizi, scarsa considerazione, sottovalutazione del talento femminile prima di arrivare a un’accettazione che però manca ancora di valorizzazione. “Siamo ancora lontani dalla normalità…”