Conosciamole da vicino
Ambra D’Atri, Milano Net Lead
Elisa Colombo, Empowernet Milano
Mi chiamo Ambra e mi occupo di progettazione culturale e didattica dell’arte. Se dovessi raffigurare con un’immagine il mio lavoro, sceglierei la fotografia di un ponte.
Quello che faccio è infatti costruire ponti tra i linguaggi artistici e i diversi pubblici per attivare nuovi legami. L’arte diventa nel mio lavoro un pretesto per educare lo sguardo dello spettatore e avvicinarlo a questo mondo estremamente affascinante ma a volte un po’ criptico.
I miei pubblici sono diversi, dai bambini agli adolescenti, dagli studenti d’arte a persone che entrano per la prima volta in un museo. Questo è molto stimolante per me perché significa ogni volta costruire percorsi culturali personalizzati e attenti alla natura dello spettatore. Le espressioni artistiche sono molto generose e il mio compito è individuare quelle che possano essere più significative per il pubblico con il quale mi relaziono.
L’obiettivo è donare allo spettatore, al termine di una visita guidata, di un workshop, o di un ciclo di laboratori, un paio di occhiali invisibili grazie ai quali vedere il mondo con occhi diversi. L’arte ha il meraviglioso potere di mettere costantemente in discussione le nostre certezze aiutandoci a prendere coscienza della complessità e diversità che regolano l’animo umano e la relazione con l’altro da sé. Ci aiuta a non dare nulla per scontato e a risvegliarci da un’anestesia dei sensi data dal quotidiano e dalla ripetizione. Ci educa al tempo, all’errore, dandoci sempre la possibilità di fermarci e iniziare tutto da capo. Ci ricorda che c’è sempre un posto per noi nel mondo, che non esiste giusto o sbagliato in senso assoluto ma che tutto è relativo. Per questo motivo, più faccio il mio lavoro e più sono convinta che educare lo sguardo sia un’azione politica molto forte e in grado di intervenire in maniera importante sulla società nella quale viviamo. Sogno e combatto per una società in cui nessuno debba sentirsi solo e fuori posto. Una meravigliosa società piena di ponti invisibili.
Era la fine di ottobre 2020, alle spalle mesi di lavoro e battaglie da medico neoabilitato per aiutare durante la prima ondata di Sars-CoV-2. Mesi di svolta, di grande stanchezza, di esperienze difficili, talvolta belle ma spesso molto dolorose. Mesi in cui parallelamente stavo studiando tedesco. Volevo a tutti i costi andare a lavorare a Zurigo, in una delle scuole di Neurochirurgia più prestigiose al mondo, dove avevo fatto domanda e colloqui su colloqui. Prendono due/tre persone all’anno e purtroppo non mi avevano ammessa; ma ero decisa a non mollare a prendere quel benedetto certificato B2 di tedesco e a dimostrare che si erano sbagliati e meritavo una seconda possibilità.
In quel pomeriggio soleggiato della fine di ottobre ero in cucina con mia madre, stavamo chiacchierando. A un tratto suonò il mio telefono, numero svizzero… Guardai mia madre, risposi ed era la segretaria del primario di Zurigo. Il posto era mio! Mi disse quali fossero i documenti urgenti da fare (avrei iniziato a gennaio) e che per firmare il contratto avrei dovuto assolutamente presentare un certificato B2, altrimenti nulla.
Era iniziata la mia vita da neurochirurga.
Ho sempre voluto fare neurochirurgia e ho iniziato medicina per questo motivo. L’amore infinito per il cervello è iniziato quasi per caso, in modo anche un pochino filosofico. Iniziare medicina e studiare l’anatomia e la fisiologia del sistema nervoso hanno dato uno slancio alla mia passione per il tema. È sicuramente un percorso che più di altri richiede tanto lavoro e tantissima dedizione, ma è proprio vero che quando ami qualcosa la stanchezza c’è ma la senti e la sostieni in modo diverso.
Iniziare a lavorare a Zurigo è stata decisamente una delle sfide emotivamente più impegnative della mia vita. Il primo mese di lavoro è stato un disastro: non capivo, parlavo poco, è stato come se avessi dovuto imparare tutto da capo, anche quello che sapevo bene! Mi sentivo frustrata, indietro rispetto ai miei compagni di specializzazione, triste per non riuscire veramente a essere me stessa a causa soprattutto della barriera linguistica.
(Segue Elisa Colombo)
Nonostante tutto non ho mai pensato nemmeno un minuto a mollare e tornare indietro; e dopo settimane di notti passate a studiare, giornate da 16 ore di lavoro non-stop in ospedale, video e lezioni online di tedesco, finalmente la ruota ha iniziato a girare!
Ma soprattutto ho capito che mi stavo riappropriando di me stessa quando ho iniziato ad avere i primi complimenti dai pazienti, e i primi gesti di amicizia dai colleghi. Dopo tre mesi, ho iniziato a sentirmi a casa e a vivere le mie giornate con gli occhi stanchi, ma nuovamente con il sorriso: qualsiasi cosa sarebbe successo, sarebbe andato tutto bene!
Così è stato: il primo anno di specialità è stato un viaggio sulle montagne russe, un’avventura fatta di settimane da 100 ore di lavoro, sala operatoria fino a orari assurdi e grandissime soddisfazioni. Soddisfazioni culminate con due eventi inaspettati. Il primo è l’inserimento del mio nome sulla lista 2021 Under 30 di Forbes Italia, un grande onore che mi ha dato ulteriore carica e motivazione. Il secondo invece è stata la proposta da parte del mio primario di iniziare un PhD di ricerca clinica sull’applicazione della realtà virtuale in neurochirurgia (in Svizzera posso portare avanti parallelamente specializzazione e PhD, che è un enorme vantaggio)!
Ormai siamo ad aprile 2022, il secondo anno di specializzazione è iniziato ben quattro mesi fa (volati) e con la grande novità del PhD. Sono felice, la ricerca richiede tempo e pazienza ma piano piano i progetti prendono forma. Quello che spero e che vedo per il mio futuro è sicuramente poter contribuire in modo concreto nel mio ambito, soprattutto con la ricerca. Professionalmente, spero di poter cogliere i frutti di quello che sto seminando. Personalmente, spero di poter continuare a essere felice dei rapporti e della vita che ho creato al di fuori dall’ospedale e dalla mia professione.
La strada è ancora molto lunga e ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da vivere e imparare, ci saranno momenti positivi e sicuramente momenti negativi e di sconforto. Imparare ad accettare le sconfitte è importante, ma ancora più importante è far sì che questo momenti non prendano il sopravvento. Dalle cadute ci si rialza, sempre, e questo deve essere un mantra ricorrente nei nostri cuori e nelle nostre menti.
Scegliere un percorso di vita che richieda tanto impegno e costante dedizione significa fare dei compromessi, e talvolta dei sacrifici… questa scelta deve sempre essere supportata da una grande dose di motivazione personale, passione e forza d’animo. Io mi auguro e auguro a tutte noi donne di avere sempre dei sogni nuovi da realizzare, e, come diceva saggiamente Eleanor Roosevelt, di gestire noi stesse con la testa e gli altri con il cuore.