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Viva le cantiniere!

Storia del Casato Prime Donne

Portabandiera di un esempio unico in Italia, dove la componente femminile straborda da ogni calice.

Intervista a Donatella Cinelli Colombini, di Francesca Pompa

Protagonista della storia che stiamo per raccontarvi è Donatella Cinelli Colombini. Nome altisonante nell’ambiente del vino, e non solo, per aver rivoluzionato il settore con le sue tante idee innovative. Prima tra tutte, quella di aver voluto per la sua cantina Casato Prime Donne, cantiniere tutte donne, enologa compresa, caso più unico che raro in Italia, un successo internazionale grazie alla qualità dei suoi Brunello.

Toscana doc, classe 1953, laureata in Storia dell’Arte medioevale. Viso pulito e sorridente, dove lo sguardo si accende di meraviglia. Nel 1993 fonda il Movimento del Turismo del Vino e poi inventa Cantine aperte, una giornata dedicata all’enoturismo. Dopo 14 anni nell’Azienda di famiglia nel 1998 ne crea una propria. Nel 2003 le viene conferito il premio di miglior produttore italiano. Al suo attivo molte pubblicazioni tra cui il Manuale del turismo del vino. Assessore al Turismo del Comune di Siena, lancia, fra l’altro, una nuova tipologia di turismo sportivo: il “trekking urbano”. È delegata toscana delle Donne del Vino e dal 2008 è Vicepresidente dell’Enoteca Italiana.

Fattoria del Colle





Per iniziare partiamo della tua esperienza personale?

Vengo da una famiglia di produttori di Brunello di Montalcino, ho lavorato per una ventina d’anni nell’azienda di famiglia insieme a mia madre e mio fratello. Quando lei decise di andare in pensione dette l’azienda principale (la Cantina di Brunello) a mio fratello. Chiesi per me l’opportunità di realizzare il mio sogno: produrre un vino di alta gamma con la mia filosofia e il mio spirito. Così mi diedero due aziende della famiglia che erano marginali: la Fattoria del Colle e il Casato di Montalcino.

La prima era un piccolo borgo con tutto intorno vigneti, campi di cereali, uliveti ma con un grosso indebitamento e tanti lavori da fare oltre a ricostruire la cantina per fare i vigneti ma anche ristrutturare l’intero agriturismo. Il casato di Montalcino, invece, era un rudere con dei vecchi vigneti da ripiantare. Mia madre per aiutarmi mi dette anche un po’ di Brunello in botte ed ebbe inizio così la mia avventura.

Giardino all’italiana, Fattoria del Colle

Il Brunello deve stare in botte almeno due anni con cure quotidiane, e per questo avevo bisogno di un enologo che lo seguisse, così telefonai alla scuola di enotecnici di Siena chiedendo un bravo studente da assumere. Mi risposero che era impossibile in quanto bisognava prenotarsi con anni di anticipo. Ripensandoci, chiesi se avessero delle studentesse donne e mi risposero che ce ne erano eccome perché nessuno le voleva. Mi resi conto subito di questa forte discriminazione che passava come normale. Decisi allora di sovraesporla trasformando questa disfunzione in un’opportunità: sviluppare una cantina di sole donne.

Lavorando con impegno abbiamo costruito una grande squadra in grado di performare a grandissimi livelli. Esportiamo in 41 paesi esteri e abbiamo un successo crescente di pubblico e di consensi. In questi progetti ci vuole, naturalmente, tenacia e un gruppo coeso, competente e talentuoso ma ci vuole anche un briciolo di fortuna e noi l’abbiamo trovata in un appezzamento di terra in un vigneto che si chiama Addita che ha caratteristiche fuori scala. Riesce a fare i grappoli perfetti, tutti uguali con un livello di ottimale maturazione tutti gli anni in qualunque situazione climatica. La natura è così, ad un certo punto ti tira fuori un campione.

La disfunzione tra maschile e femminile che tu hai capovolto, la ritrovi anche nella tua storia? La parte migliore al maschio e alla donna quella minore, proprio come era nella cultura di un tempo.

Bisogna fare un quadro generale. Il vino ha 8000 anni e insieme al formaggio sono “alimenti” che per primi l’uomo ha imparato a conservare: la frutta fermentata diventa una bevanda e il latte accagliato diventa formaggio. Queste attività storicamente, soprattutto il vino, sono maschili. Se andassimo a vedere i geroglifici egiziani o la Bibbia ci vediamo gli uomini. Gesù descrive degli uomini nella vigna. Tutta la parte produttiva è appannaggio maschile, anche In Italia in questo momento le donne in cantina e in vigna sono il 14% e raramente occupano posti apicali, ma dov’è cambiata invece la situazione? Nel fatto che la parte produttiva è diventata una sezione del processo che oggi si completa con il commerciale, il marketing, la comunicazione e il turismo del vino. Qui le donne sono fortissime, a grande maggioranza, superano la metà come addette e come ruoli.

Quindi le donne sono più nella parte strategica?

La parte dove si crea la ricchezza è dominata dalle donne. Il mio amico Riccardo Cotarella presidente della Assoenologi si mise a ridere quando gli dissi che senza noi donne nella vendita sarebbero in un mare di guai poiché chi trasforma il vino in dollari, euro e yen sono le donne.

In linea con l’evoluzione del mercato che prima poneva al primo posto il prodotto, oggi invece principe è il consumatore

Diciamo che la parte produttiva è stata ridimensionata rispetto alla parte commerciale. La seconda della catena produttiva. Nel tempo anche le famiglie storiche che tradizionalmente privilegiavano dovranno rivedere la loro strategia perché nei fatti i pesi si sono equiparati.

Il prodotto deve esserci naturalmente ma senza il marketing perde valore. Parlando più in generale delle donne nel vino, come si è sviluppata questa presenza?

L’associazione Donne del Vino è nata 35 anni fa nel 1988 a Firenze per opera di Elisabetta Tognana. All’inizio erano un gruppo di pioniere che suscitavano anche certi sorrisini nel mondo del vino, ma oggi l’Associazione è composta da oltre 900 socie di tutta la filiera produttiva quindi titolari di cantine, ristoranti, enoteche, giornaliste, sommelier esperte. La nostra Associazione Italiana è la più grande ed organizzata nel Mondo ed è alla guida di un network internazionale di 11 associazioni sorelle di paesi esteri che si ritroveranno per la seconda volta al Simei dal 15 al 18 novembre prossimo a Milano. L’idea è quella di creare un network che dia a tutte le donne del vino nel mondo opportunità formative, viaggi d’istruzione, scambi di know how e di opportunità di business.

Un ruolo importantissimo, un movimento vero e proprio quello delle donne del vino. Pensando alle giovani leve, che consiglio potresti dare a chi vuole intraprendere questa strada?

Le donne del vino si stanno prodigando in questo senso anche se alcuni progetti hanno risentito il fermo per Covid. Riguardano essenzialmente la messa a disposizione dell’esperienza con visite in aziende, stage, borse di studio, insomma far vedere il mondo del vino al di là delle apparenze. Il nostro è un mondo che sembra pieno di lustrini ma nella realtà è un lavoro serio, impegnativo, duro.

Il progetto maggiore riguarda le scuole alberghiere e del turismo (scuole superiori), per futuri maître d’hotel, direttori di agenzie di viaggi, direttori di tour operator, direttori di cantine turistiche che sono la prima linea turistica.

Tutto questo sempre ad opera dell’associazione?

Il progetto è partito in tre regioni con Le Donne del Vino: Piemonte, Emilia-Romagna e Sicilia con 5000 studenti in otto istituti in cui abbiamo insegnato a questi ragazzi che cos’è il vino (lo possono assaggiare solo quelli dell’ultimo anno) e abbiamo illustrato quali sono le professioni del vino, cosa che questi ragazzi non si aspettavano. Si sono resi conto che ci sono addetti al marketing web, alla comunicazione in inglese, al commerciale in lingua estera e i ragazzi si sono entusiasmati abbandonando l’idea che il mondo del vino fosse solo “zappa”.

Un mondo di opportunità che richiede naturalmente livelli di professionalità e competenze adeguati al ruolo che si va a ricoprire. La complessità ormai fa parte del gioco.

Dall’anno prossimo il progetto si estende in tutta Italia con due scuole per regione, per un totale di 20.000 studenti. Stiamo tentando di convincere il Ministero ad andare avanti da solo, in modo che non ci siano figli e figliastri (persone che hanno avuto questa esperienza e chi no). Un’associazione come la nostra di 1.000 membri non può sopperire ad una quantità di istituti come quelli che ci sono in Italia.

Un progetto del genere necessita naturalmente di risorse umane ed economiche, come fate?

Noi ora facciamo tutto come volontariato, ma un domani dobbiamo limitarci, come donne del vino, a delle testimonianze in aula e a delle visite in azienda poiché ci vogliono molte ore e non potremmo fare altro. Ma in un paese come l’Italia che ha l’enogastronomia come primo attrattore di viaggio, non il Colosseo ma l’Amatriciana, non possiamo pensare che le future persone abbiano 60 ore di storia dell’arte e zero ore sul vino.

È ciò che si riscontra anche nel mio settore. Tanti giovani escono dall’università con la laurea in Comunicazione ma non sanno poi come maneggiare gli strumenti del “mestiere”. Quali sono le figure richieste e quali competenze bisogna acquisire per lavorare nella comunicazione. Nei tanti anni di attività non ho mai trovato nessuno pronto per lavorare ma piuttosto da formare.

Naturalmente cosa vuol dire questo? Il primo appello che viene fatto alle istituzioni è di organizzare le strutture formative perché con la legislazione che c’è in Italia l’azienda che investe sulla formazione di un giovane rischia di non riuscire a competere con l’azienda vicina che non ha avuto costi formativi e che quindi può offrire un salario più alto. Bisogna dire che i costi della formazione se le assuma lo Stato, in più bisogna che ci siano degli strumenti di regia nazionale perché non possiamo continuare a lasciare all’azienda il costo sperimentale. Per esempio, dove vanno i turisti alto spendenti? In Piemonte? Lì bisogna formare personale con certe caratteristiche. Le aziende vanno per tentativi.

Anche per questo le aziende chiudono, a stare al passo con i tempi, con la complessità del momento. Bisogna aiutarle con programmi mirati a fornire quelle competenze che oggi servono e che invece scarseggiano.

Il consiglio da dare ai giovani è: non abbiate paura del mondo del lavoro, guardatevi intorno, cercate di formarvi su quello che realmente vi piace, vi entusiasma, su dove desiderate eccellere, perché il punto di congiunzione tra quello che sognate e desiderate e quello che offre il mondo del lavoro c’è, anche se a volte è difficile trovare.

Il famoso detto “chi cerca trova” vale sempre, è sperimentato. Secondo te quali sono i pro e i contro di questo tipo di attività?

Il contro è sicuramente il cambiamento climatico, talmente repentino e violento che ci mette di fronte a delle sfide enormi: gelo, siccità…

La ricerca non è in grado di darti delle risposte in modo rapido quindi noi tutti stiamo facendo delle sperimentazioni nelle nostre strutture. Il cambiamento climatico è incombente. L’altra cosa, il pregio, ti mette in contatto con persone di tutto il mondo che parlano la tua lingua, hanno gli stessi problemi: abbiamo un linguaggio universale.

Come la musica. Rispetto alla crisi causata dal Covid, il vostro settore ne ha risentito?

Noi siamo tra quelli miracolati, avevamo due meravigliose annate di Brunello del 2016 e 2015 che hanno avuto un successo di stampa e commerciale enorme per cui hanno tenuto in piedi le aziende benché il settore turistico presentasse grossi buchi nel bilancio. Ci hanno salvato i bilanci, permesso di continuare gli investimenti, di andare avanti e di superare la crisi. Nel turismo ne abbiamo risentito di più poiché i lockdown sono stati tanti. Per fortuna esportiamo oltre il 70% del nostro vino e questo ci ha aiutato tanto.

Ha creato una stabilità anche nel settore in generale?

Ha tenuto molto bene tutto il settore. Abbiamo più problemi ora perché mancano le bottiglie, il personale. Soprattutto i vetri per le bottiglie sono un serio problema perché le vetrerie sono industrie energivore e quindi stanno cercando di produrre il meno che possono altrimenti andrebbero in fallimento.

È davvero un grande problema. Come vede il futuro?

Mi auguro che la guerra in Ucraina trovi una soluzione anche provvisoria, perché capisco che con tutti i morti che hanno avuto non accettino che il loro sacrificio sia stato vano. Comunque bisogna che ci sia uno stop alla guerra. Spero in un ripensamento di tutti, perché qui siamo di fronte ad un’immediata necessità di salvaguardare l’ambiente, di ritrovare degli equilibri diversi dal consumismo, dallo spreco, dal lusso perché la conseguenza sarà la morte di tutti.

Dobbiamo tornare ai valori fondanti, a quelli veri mettendo in atto una rivoluzione con la sola arma dell’amore e della pace. Quali sono e dove sono localizzate maggiormente le eccellenze del tuo settore?

Certi territori hanno proprio nel terreno, nella vigna qualcosa di particolarmente vocato al vino, ed è lì che si concentrano i talenti e le strutture migliori.

Questa è una condizione imprescindibile?

Non è detto, perché poi trovi la persona geniale, il Beppe Quintarelli della situazione, che crea l’Amarone moderno, Elena Fucci che a Barile crea l’Aglianico moderno.

Quindi è importante puntare sulle innovazioni di prodotto?

Ci sono persone che riescono a capire meglio quel terreno e quella vite e a mettere a punto il processo produttivo per arrivare ad una nuova eccellenza che poi crea opportunità per altri di aprire nuove aziende, fare nuovi investimenti e creano una nuova strada verso lo sviluppo com’è successo in Franciacorta, nell’Etna. C’è una vocazione storica dei territori e poi ci sono altri che sono arrivati al successo di recente come nelle zone vulcaniche con i rosati, le bollicine…

Quali sono i maggiori ostacoli da superare, oltre al clima già citato precedentemente?

In linea generale per le donne la parte più dura è quella finanziaria, il rapporto con le banche anche se apparentemente nel settore del vino il fenomeno sembra essere meno grave rispetto ad altri. Il livello di scolarizzazione delle donne addette all’agricoltura è migliore rispetto a quello degli uomini. Poi abbiamo quello che viene chiamato gender gap, ma in linea generale il settore vinicolo è quello più vicino alla parità di genere rispetto agli altri settori economici. Questo vale per tutto il mondo. Non siamo ancora arrivati però alla parità effettiva.

Un altro problema, purtroppo parzialmente sommerso, è quello delle molestie. Dall’indagine fatta con l’università di Siena, le moleste denunciate a donne del mondo del vino si aggirano al 6% negli ultimi tre anni. Certi procedimenti per arginare questo problema andrebbero messi in atto e noi abbiamo già fatto richiesta al Ministro delle Autorità che però non ha ancora preso provvedimenti. In paesi più evoluti, come la California, all’assunzione al lavoro, per tutti e due i generi, è obbligatorio un corso breve, di poche ore, che insegna a capire la differenza tra la maleducazione, l’atteggiamento lesivo della dignità e il reato.

La persona che ti tocca, ti giudica dai vestiti va già oltre la maleducazione, entra nell’illecito se non addirittura nel reato nel momento in cui c’è un tentativo di costrizione al rapporto sessuale. Bisogna sapere che esistono questi tre livelli e fare in modo che l’ambiente di lavoro sia consapevole di questo. Il corso non è rivolto solo alle donne ma anche alle minoranze, come le persone della comunità LGBTQ, minoranze etniche, i diversamente abili.

Mi è stato chiesto perché non facciamo anche noi questo corso, ho risposto che da noi non ce n’è bisogno: nella mia azienda a nessun mio dipendente verrebbe mai in mente di compiere queste azioni perché sanno che, se mai dovesse arrivarmi sul tavolo qualcosa, saprebbe di fare una brutta fine.

Abbiamo fatto passi avanti ma c’è ancora tanta strada da fare, non abbiamo ancora raggiunto dei traguardi.

Bisogna migliorare, la differenza di genere costa agli italiani 96 miliardi all’anno. Trasformare laureate in baby-sitter e badanti è un danno enorme.

Non è solo un fatto di genere, è proprio un allarme sociale, economico.

Quando dicono la prima risorsa che possiamo introdurre per un reale sviluppo sono le donne è perché il PIL risente fortemente il mancato utilizzo del talento femminile.

Le skill delle donne sono in parte anche complementari e non solo aggiuntive rispetto a quelle degli uomini. Avere più donne al lavoro non ne beneficia solo l’economia per l’aumento di percettori di reddito (e contribuenti, naturalmente), ma anche e soprattutto per l’incremento di produttività.

Appello: chi segue queste informazioni vada poi nelle cantine delle donne dove non troverà soltanto dei grandi vini, ma nuove amiche.