Conosciamole da vicino
L’ARTE creativa
Althea Bacchetti – Exibition Designer
EmpowerNet Milano
Di solito quando parlo del mio lavoro, mi definisco Interior designer, il che fa spesso pensare alla progettazione di ambienti residenziali; certo per arredare la casa in cui abito mi sono data da fare ed è stato divertente progettarla nei minimi dettagli, ma gli spazi e gli ambienti da progettare sono moltissimi e i settori di applicazione diversi tra loro. La laurea magistrale in Interior design che ho conseguito presso il Politecnico di Mila- no, mi ha permesso di acquisire un metodo progettuale e dei riferimenti storici applicabili alla scala degli interni e utilizzabili per diverse destinazioni d’uso. Nello specifico io mi occupo di exhibition design, ovvero di progettare allestimenti per mostre tem- poranee e musei, i quali sono da intendersi oggi come luoghi portatori di diverse storie e non più legati unicamente all’arte e ai reperti storici; nello studio in cui lavoro, ad esempio, abbiamo progettato un museo sul futuro. Ciò che più apprezzo del mio lavoro è la sua forte componente creativa; ogni progetto è un mondo a sé e ogni volta si rende necessario approfondire un nuovo argomento, analizzandolo nelle sue parti per capirne gli aspetti fondamentali da raccontare. Il racconto e il tipo di narrazione che si adotta, sono infatti aspetti molto importanti da considerare. Le diverse sezioni di una mostra o un museo servono a metterne in luce gli aspetti più significativi, fornendo al visitatore una chiave di lettura utile alla sua comprensione.
E come ogni storia, per essere raccontata c’è bisogno di una o più ambientazioni.
Quello che progetto non si limita pertanto alla teca o all’espositore, ma è l’esperienza complessiva che coinvolge tutti e cinque i sensi del visitatore durante il percorso di visita. Si presta attenzione alle distanze, alle proporzioni, ai colori e alla luce, ma anche ai suoni e talvolta agli odori o alle sensazioni tattili dell’ambiente che si sta progettando, il quale ha la capacità di avvolgerci e far emergere in noi sensazioni complesse.
Non per ultima c’è la componente tecnologica, oggi sempre più presente anche all’interno degli spazi culturali. Questo strumento offre la possibilità di stupire il visitatore, talvolta coinvolgendolo attivamente; nello studio in cui collaboro, progettiamo spesso allestimenti che prevedono la presenza di exhibit multimediali e interattivi, questo perché il digitale dà la possibilità di conte- nere più informazioni su un unico supporto, ad essere facilmente aggiornabile. Il mio lavoro si articola in diverse fasi, da quella iniziale di concept, a quella di definizione e infine realizzazione di un progetto. Collaborando in uno studio composto da una decina di persone, ho avuto spesso negli ultimi anni, la fortuna di seguire progetti per intero, coordinandone le tempistiche e la gestione delle risorse interne, oltre a tenere i contatti con il cliente. Nell’ultimo periodo, oltre ad avere seguito i progetti di due musei tra Milano e Torino, sto progettando una mostra a New York e sono molto grata di avere la possibilità di svolgere una professione così dinamica, ricca di stimoli e nuove sfide, ma anche estremamente gratificante.
Vita in azienda tra deadline, KPI e sacrifici
Maddalena Varutti – Organizational Development Manager
Milano Net Lead
“Vorrei parlare con il vostro Manager, qui c’è una situazione difficile ed ero d’accordo che il progetto sarebbe stato gestito non da due ragazzine.”
Lei mi guarda.
È stato un momento importante che ha segnato la mia carriera e contemporaneamente la mia cre- scita personale. Una di quelle due ragazzine ero io, 28 anni, camicia bianca, scarpe antinfortunistiche, profumo Shantung e manager del progetto. All’epoca lavoravo per una società di consulenza specializzata nella trasformazione Lean delle aziende ed ero ai primi tornanti della mia strada in netta salita, iniziata qualche anno prima dopo una breve esperienza in una azienda del settore arredo. Avevo scelto di entrare in consulenza perché migliorare e raggiungere gli obiettivi era un suono che scolpiva ogni mio passo, caratterizzava il mio essere donna, atleta e ingegnera. L’idea di trasformare un’azienda, mi attirava. L’idea di poterlo fare in tante aziende diverse, mi attirava ancora di più. Quando entri in consulenza, entri in un altro mondo, una vita parallela fatta di deadline, KPI e sacrifici, questo è quello che chiunque abbia fatto questo percorso afferma mentre beve una tazza di caffè in un ristorante cool con due telefoni appoggiati sul tavolo, una carta dal plafond esteso in tasca e 100.000 miglia premio della Compagnia aerea accumulate su un’app di cui non ricorda le credenziali. Diversi anni e diversi clienti dopo, gestivo con piacevole tensione svariati progetti, non senza difficoltà: dall’amministratore delegato che non percepisce il beneficio del progetto all’operatore che non ha alcuna intenzione
di mettersi in discussione, da una vendita mancata a tavolate di sole cravatte, ma sempre con quella voglia di crescere e far crescere che mi garantiva un sorriso prima di addormentarmi. Avevo soddisfazione e macinavo obiettivi in modo direttamente proporzionale ai chilometri che percorrevo in autostrada. Poi il treno. Cambiare, verbo che utilizzavo in milioni di frasi presso i clienti, ma del quale non ne avevo mai assaporato appieno il gusto. Cambiare radicalmente stile di vita, cambiare impegni, cambiare strade, cambiare me stessa, cambiare lavoro. Cambiare una via che avevo già disegnato, anche nel dettaglio. Questa sono io, Maddalena Varutti. Cambiare non significa ripartire da zero, cambiare è conoscere e vivere nuove idee, nuove sfide e nuove persone, con una architet- tura portante fatta di tante piccole e grandi esperienze. “Uno zaino in spalla”, mi dissero, “sta a te ca- pire cosa vuoi metterci dentro”. Ora lavoro come Organizational Development Manager a Fassa Bortolo, azienda leader in Italia e a livello internazionale nella produzione di soluzioni per l’edilizia. La mia grande soddisfazione è vedere che l’Azienda, adottando metodi scientifici, persegue il mi- glioramento adattandosi ai costanti cambiamenti, costruendo e rafforzando strategie, strutture e processi. Lavorare a progetti di sviluppo organizzativo, non basta applicare il metodo, lavorare con le persone è sfidante, ed è proprio quando le persone agiscono dei cambiamenti che scopro me stessa, i miei limiti e le mie abilità. Divento consapevole. La consapevolezza penso sia alla base di ogni percorso di crescita, sia personale che aziendale, indipendentemente dalla professione svolta. Un’azienda fatta di persone consapevoli è un’azienda vincente, che sponsorizza proattività e collaborazione, fondamentali per raggiungere gli obiettivi, motivo per cui è importante sensibilizza- re sull’importanza del team coeso, specialmente eterogeneo. Ho la fortuna di poter collaborare con molte aree aziendali e affrontare sfide a diversi livelli, con persone stimolanti che ritengo delle linee guida, perché la vita aziendale ha molte dinamiche anche critiche, che viste dall’interno hanno una loro umanità, una loro singolarità e pertanto meritano un approccio tailored. Ciò che mi affascina è appunto tenere un equilibrio tra teoria e concretezza, chiave per riuscire a gestire al meglio i progetti e raggiungere le performance obiettivo, o come mi piace dire tenere la testa tra le nuvole e i piedi per terra. Se tutto questo fosse facile, molto probabilmente, non lo avrei condiviso con voi lettrici e lettori. Se tutto questo fosse un punto di arrivo, vi avrei raccontato della bellezza del mare al tramonto visto da una sedia sdraio.
Se tutto questo fosse solo… sta a voi.