Intervista a Maurizio Fiasco Sociologo di Francesca Pompa
In un mondo superpopolato di attrattive, impossibile resistere alle tante seduzioni del web. Nella povertà di guide di riferimento e di ambienti accoglienti. C’è una disaffezione alle pratiche sportive che è molto preoccupante, i pediatri denunciano l’aumento dei casi di obesità, di ipertensione arteriosa dell’età evolutiva. L’adolescente è in quella fase delicata dello sviluppo in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti. È età dell’incertezza.Quello che manca nella società italiana è proprio un’esperienza pedagogica di massa trasmissibile, che agisce anche come fattore di collegamento tra generazioni
Quando noi adulti pensiamo ai videogiochi in mente abbiamo le Play-station, le tante versioni di Harry Potter, di film d’avventura, giochi di simulazione e di abilità, con un impianto narrativo, con una storia in cui il giocatore, bambino, adolescente, ma anche adulto doveva superare livelli successivi per arrivare alla conclusione. Livelli legati a funzioni manuale, mentale e strategica del giocatore.
Questa stagione praticamente si è conclusa. Gli attuali videogiochi, entriamo nel gaming, non hanno un inizio e una fine dell’esperienza, lasciano ai giocatori, al ragazzo, al bambino e persino all’adulto un senso di incompiutezza e da qui si crea la dipendenza. Per proseguire di livello bisogna immettere dei soldi, ricaricare o acquistare strumenti di gioco, anche se puramente virtuali cioè digitali. La gratificazione è nella scoperta di quello che trovo. Esattamente come quando compro un biglietto “gratta e vinci” o faccio una scommessa o punto dei soldi in una slot machine, la gratificazione deriva dall’incertezza, dal caso.
Può essere un gioco di combattimento, di simulazione di partite di calcio, di tennis o altro ancora, o un gioco di avventura. La convergenza sta nel fatto che la simulazione ludica viene combinata con l’attesa di una ricompensa erogata dal caso. Quindi è una gratificazione da esito incerto, ripetuta ad alta frequenza, per un tempo molto lungo, ore e ore della giornata, al chiuso e in isolamento, molto simile al gioco d’azzardo.
Chiediamo a Maurizio Fiasco, sociologo, componente dell’osservatorio sul gioco d’azzardo presso il Ministero della Salute, quali le conseguenze di queste pratiche sui giovani in età evolutiva.
“La riduzione della fisicità aumenta la sedentarietà dell’età evolutiva riducendo il rapporto con lo spazio della città, l’interazione faccia a faccia con i coetanei. C’è una disaffezione alle pratiche sportive che è molto preoccupante, i pediatri denunciano l’aumento dei casi di obesità, di ipertensione arteriosa dell’età evolutiva. C’è anche un rapporto dell’Istat che mostra un dato paradossale: in palestra, a seguire le pratiche sportive sono sempre più gli adulti, gli anziani, con una caduta di parecchi punti percentuali da parte dei giovanissimi”.
Quanto ha inciso il biennio della pandemia nel determinare questo andamento così allarmante e quali misure per contrastarlo?
“C’è stata un’indigestione di videogiochi a compensazione di una fisicità che non si poteva esprimere. Quando sono venute meno le ragioni del confinamento, la situazione quo ante non si
è ripristinata ma piuttosto prolungata. Il distanziamento tra i luoghi della vita e i luoghi di accesso al mantenimento della dipendenza è praticamente im- possibile.
Necessitano misure di prevenzione, di distanziamento degli accessi ai giochi dai luoghi della quotidianità, è una misura fondamentale come avvenne vent’anni fa con il decreto Sirchia per il tabacco, interrompendo l’esposizio- ne costante al fumo.
È possibile penetrare le tante
facce del video gaming, nelle sue forme di manipolazione quando è sostenuto da un progetto industriale, da un’architettura tecnologica del business?
“La progettazione industriale si è fatta molto intrusiva, molto raffinata. Propone modelli ed esperienze che ingaggiano e coinvolgono i ragazzi. Si inserisce nei vuoti esistenti e destabilizza l’intero sistema educativo.
Il gioco è fatto di testa e corpo, di interazione con gli altri, è fondamentale nell’evoluzione della personalità per il benessere e anche come antidoto alla dipendenza da forme di patologia. Bisogna entrare in rapporto col mondo dell’età evolutiva. Gli adolescenti non riescono ad avere una mappa del- le loro rappresentazioni simboliche, non riescono a ricostruire come avviene la loro esperienza sociale, interpersonale, affettiva, del loro rapporto con la città”.
La sofferenza del mondo giovanile
è attribuibile anche dalla caduta di competenza del sistema degli adulti?
“Di fatto bisogna dire che c’è una crisi
“generazionale” di adulti che faticano ad entrare nei loro orizzonti simbolici, pochi riescono a trovare la chiave capace di aprire i cuori e di intercettare i loro bisogni, certo ci sono insegnanti e genitori illuminati, allenatori, coach. Pochi quelli che riescono a valorizzare lo sforzo che la ragazza o il ragazzo fa per sperimentarsi, per mettersi alla prova. È necessario porre il risultato come applicazione, come autodisciplina, come scoperta delle proprie risorse, delle proprie capacità e abi- lità e quindi come uso appropriato di ciò che Madre Natura ha dispensato. L’adolescente è in quella fase delicata dello sviluppo in cui non si è più bambini e non si è ancora adulti. È età dell’incertezza”.
La famiglia resta sempre un cardine centrale nell’accompagnamento
dei giovani alla crescita, bisogna ripensare anche il ruolo genitoriale rispetto ai tempi che stiamo attraversando?
“Non c’è l’apprendimento, attraverso quali canali noi apprendiamo ad essere adeguati al ruolo di genitore? Il modello tradizionale era una lenta evoluzione che avveniva nelle varie stagioni della vita, esperienze che si facevano collettivamente o anche solo nel contesto familiare. Adesso non c’è più un’autonomia simbolica del- la famiglia, riceve dall’esterno l’apprezzamento o la disapprovazione su comportamenti adeguati o inadeguati. Quello che manca nella società italiana è proprio un’esperienza pedagogica di massa trasmissibile, che agisce anche come fattore di collegamento tra generazioni”.
Torniamo alla penuria di adulti dotati di sufficiente competenza nel comprendere la condizione attuale dell’età evolutiva e quindi nel comportarsi in modo proattivo per favorire questa transizione.
“Nel gran parlare di allarme sui comportamenti dei giovani ci si dimentica che loro hanno anche un grande bisogno di sicurezza. La stessa città, che nell’arco della giornata oggi attraversa fasi di affollamento e di desertificazione, appare a loro insicura se devono concentrarsi in certi luoghi dove nasce la polemica sulla movida. Avvertono che nel resto della città non solo vengono respinti ma patiscono una condizione di insicurezza. La città che subisce un metabolismo continuo, disordinato, con luoghi che non sono riconoscibili, che non trasmettono un messaggio di accoglienza. È avvenuta una espropriazione di funzioni urbane importanti dai quartieri residenziali. Ricordo le mie esperienze di socializzazione le ho fatte nel quartiere dove vivevo. C’era la mia casa, la chiesa, l’oratorio, i giardini, la scuola, c’era- no i negozi ed era tutto un pieno e di conseguenza i rapporti con i coetanei avvenivano lì e io mi sentivo sicuro. Attraverso il riconoscimento che il vicinato urbano confermava ai propri genitori, si creava un filone educativo di apprendimento nei bambini, nei ragazzi in età evolutiva. Il constatare che il proprio genitore aveva un ruolo sociale in un ambiente ricco di vicinato dava al genitore stesso quella autorevolezza e quella competenza pedagogica che funzionava”.