Roj Massimo ridotto

Dopo gli stordenti anni 50 si ripensa la città a misura d’uomo

Tornano i valori del passato su cui costruire oggi il futuro dei giovani.

Intanto che attendiamo di ascoltare la voce dei giovani studenti attraverso gli elaborati del concorso del Soroptimist “Rigenerazione città giovani”,ci interessa avere una visione su come oggi ridisegnare la città per essere attrattiva soprattutto per i giovani. Lo chiediamo a Massimo Roj, architetto con molteplici esperienze internazionali, fondatore e amministratore delegato di Progetto CMR.

Sicuramente la città va pensata come un luogo più inclusivo, più rispettoso delle diversità e delle esigenze delle persone. Noi progettisti dobbiamo cercare di progettare per le persone che useranno gli spazi, tutto deve partire dalle necessità dell’essere umano. Il periodo critico che abbiamo vissuto negli ultimi anni ci ha fatto riscoprire alcuni valori che nella città di oggi forse ci eravamo dimenticati, come i negozi di vicinato, i luoghi dell’incontro e socializzazione, la piazza, il giardino…

Quando noi eravamo piccoli c’erano, ad esempio, anche gli oratori.

Bisogna pensare oggi a degli oratori laici dove giovani e bambini possono iniziare a incontrarsi, ma dove anche le diverse fasce di età possono trovare una modalità di interazione innescando nuove forme di comunità: ad esempio gli anziani possono prendersi cura dei bambini, così come anche il giovane può aiutare l’anziano e viceversa.Scendere da casa e trovare il negozio invece di prendere la macchina e andare al centro commerciale è un fattore di miglioramento della vita. Riducendo i consumi e l’inquinamento, la presenza di questi luoghi diventa l’elemento stesso della nostra evoluzione. Ricordiamoci che tutto è nato intorno al fuoco del campo, quando gli uomini, gli antenati, i cacciatori, si incontravano e alla fine della giornata parlavano delle loro gesta, della caccia piuttosto che delle esperienze avute. Il fuoco è diventato la piazza e intorno ad essa è cresciuto prima il paese, poi la città e poi le grandi metropoli.

La città di oggi deve essere sempre più policentrica, in ognuno dei suoi quartieri devono essere presenti tutte quelle funzioni vitali che permettono alla popolazione di muoversi all’interno del quartiere stesso, trovando tutto quello che è necessario alla propria esistenza. Quindi dall’abitazione al lavoro, dal commercio alla scuola, alla sanità e soprattutto ai luoghi di incontro. Una città aperta a tutti, eliminando l’effetto “ghetto” che abbiamo creato negli anni passati con le migrazioni che le città hanno subito e la desertificazione dei servizi.

Ci sono quartieri di grandi città come Roma e Milano, dove tutto ciò è estremamente evidente, ma anche piccoli centri urbani hanno questa caratterizzazione.

Bisogna riportare spazio vivibile all’interno dei centri urbani, iniziando con il rivisitare quello che abbiamo, magari anche attraverso un processo che liberi il suolo. Se vogliamo pensare che il futuro non sia più definito per aree di estrazione sociale ma che ci sia molta più inclusione, anche i criteri di assegnazione delle case non possono essere solo esclusivamente legati al reddito, ma alla possibilità di far convivere le diverse fasce anche in termini di età come dicevo prima. Dai più giovani ai più anziani, entrambi parte di una stessa realtà.

Riemergono, quindi, i valori del passato, quando nel quartiere ci si sentiva “a casa”?

Mi piace dire sempre che per disegnare il futuro dobbiamo comprendere e ricordare il passato. I nostri antenati vivevano in condizioni comunque piacevoli, con delle città a misura d’uomo. Però negli anni 50 c’è stato chi ha teorizzato la città suddivisa per funzioni: il quartiere per dormire, quello per lavorare e un altro per comprare. Modello che, dalle città americane, grazie al potere economico degli Stati Uniti, si è esteso negli altri Paesi in via di sviluppo. Sono nate così le piazze artificiali, i grandi scatoloni dei centri commerciali che hanno ucciso i negozi di vicinato. Molti dei nostri Paesi medievali, dei nostri borghi antichi sono morti proprio al nascere di questi nuovi fenomeni.

Lei vede possibile un ritorno al passato con i centri commerciali che, potenti come sono, cercheranno di ostacolare questo processo?

Ritorno al passato è un ritorno alla modalità di vita che era più consona alla storia della nostra evoluzione. Abbiamo vissuto un cinquantennio stordente. Oggi anche nei paesi in via di sviluppo si stanno ripensando i luoghi del vivere in modo che permettano la compresenza di funzioni diverse. Non più andare in un luogo per fare un’attività specifica: in quest’ottica, mi piace parlare del passaggio da quello che definiamo in termini inglesi “office space”, ossia degli spazi di lavoro, a “living place”, luoghi del vivere dove lavorare, studiare, abitare, fare diverse attività .

Un esempio pratico di come usare i luoghi diversamente?

Le nostre città in gran parte delle giornate rimangono vuote: pensiamo agli uffici, che vengono occupati 8 – 10 ore al giorno, come pure gli alberghi. Perchè non pensare a funzioni che possono in qualche modo mettere insieme diverse attività e quindi occupare tutto l’arco della giornata? Noi abbiamo progettato, naturalmente con degli accorgimenti, un luogo del genere funzionante 24 ore su 24: l’abbiamo chiamato “officetel”, ufficio di giorno e albergo di sera.

Per accogliere una visione del genere però occorrono menti brillanti, lungimiranti.

La città è frutto di un’azione politica. Il problema da noi è che si va direttamente con la progettazione senza prima porre a monte una programmazione ventennale/ trentennale con una pianificazione a medio e breve tempo soggetta a revisioni periodiche in funzione dei cambiamenti sociali che avvengono all’interno dello sviluppo della nostra amata terra.

Questo tipo di percorso permetterebbe il cambio di rotta che tanto auspichiamo.

Come possono spingere i giovani per andare in questa direzione?

La politica si deve fare partecipe e attore fondamentale. I giovani possono spingere, però c’è sempre meno amore, lo si vede anche dall’assenteismo elettorale, non c’è più la scuola di politica che c’era magari una volta e quindi oggi scarseggiano i giovani che possano arrivare a fare politica per migliorare le condizioni complessive del Paese. C’è da lavorare tanto anche su questo e se ne rendono conto i giovani stessi. Iniziative come il vostro concorso del Soroptimist sono sicuramente interessanti ed estremamente utili, perché ci aiutano a capire come questi ragazzi vedono il loro futuro e quali sono le loro speranze e i loro sogni

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