Si è cercato di stimolare la sensibilità delle ragazze e dei ragazzi nei confronti della cosa pubblica, con l’intento di sviluppare la cultura della legalità e della partecipazione attiva alla vita delle istituzioni e a favorire un loro rapporto partecipativo e paritario alla vita collettiva
di Silvia Di Batte
Dal luglio 2022, quando il progetto è stato lanciato dalla PN Giovanna Guercio, sono passati mesi di grande lavoro, sia per i Club che hanno aderito, sia per i ragazzi delle scuole che sono stati coinvolti. Per non parlare di Paola D’Ascanio, club dell’Aquila, referente nazionale e del gruppo di lavoro, composto da Gianna Colagrande, anche lei dell’Aquila e da Linda Schipani, del club di Messina.
Il progetto nasce nell’ambito dell’i- dea progettuale complessiva di “La città che vorrei” ed è stato organizzato per coinvolgere in modo attivo e propositivo i giovani, gli studenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e di secondo grado e degli Istituti Tecnici Superiori, con l’obiettivo di stimolare i giovani a proporre idee di retrofitting dello spazio urbano o proposte totalmente innovative. Il parterre dei soggetti coinvolti in questo lavoro va dunque dalle socie dei Club che hanno aderito, dai docenti degli istituti scolastici, da- gli esperti di pianificazione urbana ad animatori/conduttori di gruppi di lavoro, ad Amministratori locali, ordini professionali, fino ad arrivare
ai componenti della giuria per la valutazione degli elaborati. Il successo è stato notevole, se si prendono in considerazione i dati numerici dei Club coin- volti, del numero degli elaborati che sono ar- rivati e delle classi che hanno partecipato (si veda a proposito i dati a lato).
Un lavoro “corale”, dunque, con la finalità di sondare le modalità con cui i giovani si relazionano con l’ambiente urbano in cui vivono, di scoprire quali sono le criticità che essi vi riscontrano e, soprattutto, di raccogliere le loro idee, proposte di miglioramento, progetti sui vari temi chiave, dall’assetto urbano alla valorizzazione del patrimonio culturale, all’efficienza dei servizi, alla riduzione dell’impatto ambientale.Si è cercato di stimolare la sensibilità delle ragazze e dei ragazzi nei confronti della cosa pubblica, con l’intento di sviluppare la cultura della legalità e della partecipazione attiva alla vita delle istituzioni e a favorire un loro rapporto partecipativo e paritario alla vita collettiva. In breve, un grande esercizio di cittadinanza attiva.
A conclusione del progetto il 6 giugno 2023 è prevista, in Campidoglio, a Roma, la premia- zione dei team di giovani che hanno superato le selezioni a livello nazionale.
La Giuria che esamina gli elaborati e proclama i vincitori è composta da Massimo Roj, architetto, fondatore e AD di Progetto CMR da Donatella Caniani, ingegnere ambientale, docente della Università di Potenza (Soroptimist club Potenza) e da Valeria Villa, storica dell’arte, conservatrice – restauratrice, socia fondatrice di Cultura-Valore Milano (Soroptimist club Varese).
Abbiamo chiesto ai giurati il loro punto di vi- sta e le loro impressioni “a caldo”, mentre an- cora stavano esaminando i lavori dei ragazzi.
Chiediamo alle due giurate soroptimiste Valeria Villa, Club di Varese e Donatella Caniani, Club di Potenza, come hanno affrontato il loro compito. È utile far notare che la scelta è ricaduta su due socie i cui club di appartenenza non hanno partecipatoal progetto e che avevano le necessarie competenze in campo di urbanistica.
I ragazzi sono stati molto critici nel riconoscere dapprima alcune criticità dei contesti in cui vivono e nel proporre soluzioni di valorizzazione e tutela decisamente innovative e fantasiose.
di Valeria Villa
Con quale spirito hai accolto la proposta di far parte della giuria?
Ho accolto l’invito con piacere e riconoscenza, pur consapevole di aggiungere carico alla mole di lavoro che già mi impegna abbondantemente, ma con spi- rito di servizio e grande curiosità per il vero Patrimonio umano che detiene il nostro Paese: i nostri giovani.
Quali sono le tue aspettative rispetto alla capacità di analisi dei ragazzi?
Da donna Soroptimista, mamma di due ragazzi ormai grandi, attiva da sem- pre a livello didattico e formativo per l’educazione al Patrimonio culturale, ero certa di trovare importanti spunti di riflessione e idee innovative. I ragazzi difficilmente tradiscono tali aspettative: creatività, fantasia, ricer- ca, critica, proposizione sono solo alcuni degli aspetti salienti intercettati nei progetti esaminati.
Dagli elaborati dei ragazzi che idea ti stai facendo del loro modo di essere cittadini?
Attraverso le proposte esaminate si evince un forte influsso educativo prove- niente dal corpo docente, dalle famiglie di provenienza e dal contesto sociale dal quale provengono i ragazzi.
Notevole la differenza degli approcci tra le scuole primarie e seconda- rie ma in tutti i lavori esaminati, provenienti da città di differenti am- biti geografici, con valenze e problematiche differenti, noto a comune denominatore l’assimilazione di un processo educativo molto evoluto. I ragazzi mi paiono presenti, consapevoli e propositivi; mi hanno sorpre- so in modo particolare la presa di coscienza del valore del Patrimonio naturalistico, architettonico, urbanistico e storico-artistico, il tentativo di valorizzarlo con proposte di sostenibilità economica e ambientale, con particolare attenzione rivolta ai bisogni effettivi delle giovani gene- razioni, aspiranti a creare luoghi di incontro, di scambio, condivisione e inclusione sociale. Credo potranno essere cittadini consapevoli e impegnati per la salva- guardia, tutela e valorizzazione del Patrimonio nazionale.
Hanno saputo individuare criticità? Hanno saputo proporre delle soluzioni?
Certamente sono stati molto critici nel riconoscere dapprima alcune criticità dei contesti in cui vivono e nel proporre soluzioni di valoriz- zazione e tutela decisamente innovative e fantasiose. Alcuni di essi si sono spinti a trovare e proporre soluzioni tecniche, di natura architettonica e addirittura tecnologica, votate alla sostenibilità ambientale, all’efficientamento energetico, alla mitigazione dell’impat- to sull’ambiente: insomma un processo di sintesi che parte dall’appro- fondimento delle conoscenze per giungere a innovative soluzioni eco- sostenibili: grande lavoro!
Saranno cittadini attivi o passivi?
Indubbiamente saranno cittadini critici, capace di discernere, di interrogarsi, di analizzare, studiare e ricercare per poter risolvere problemi e proporre miglioramenti, mitigazione di cause di degrado, in un’ottica di cittadinanza consapevole, educata ed inclusiva. Credo che questo progetto, come altri analoghi o perlomeno orientati alla formazione di una futura generazione di cittadinanza attiva e consapevole, siano processi preziosi di affiancamento alle Istituzioni e che la disseminazione degli esiti di tali importanti progetti debba essere lo step ulteriore del nostro impegno: senza condivisione della grande mole di lavoro svolta da Soroptimist, dai docenti, dalle scuole, dai ragazzi, dai professionisti chiamati a studiare e valutare, tutto questo importante lavoro decadrebbe a breve. Suggerisco pertanto di mettere a sistema queste testimonianze in una raccolta di best practices da promuovere e divulgare con soluzioni innovative di comunicazione, magari attraverso le fonti ministeriali di comunicazione.
Donatella Caniani
Far parte della giuria di questo concorso cosa ha significato per te?
Far parte di questa giuria ha rappresentato, per me, una vera e propria quadratura del cerchio, il com- pimento di una serie di attività, che sto svolgendo come docente universitaria di Ingegneria Sanita- ria-Ambientale, legate allo sviluppo di progetti per la creazione ed il rafforzamento di Comunità di cit- tadini, che si aggregano e coagulano attorno ai temi della salvaguardia e della sostenibilità ambientale. La creazione di nuove e più solide comunità di cit- tadini è, infatti, al contempo strumento ed obiettivo degli interventi di rigenerazione urbanistica, am- bientale e sociale di aree urbane degradate. Il suc- cesso di tali azioni passa anche attraverso la robusta e vivace collaborazione tra cittadini consapevoli e correttamente informati.
C’è quindi uno stretto legame tra la rigenerazione sociale, intesa anche come costruzione di nuove comunità di cittadini, e le questioni legate alla protezione dell’ambiente?
Nel quadro della crescente pressione a cui produ- zione e consumi sottopongono le risorse mondiali e l’ambiente, la transizione verso un’economia cir- colare risponde al desiderio di crescita sostenibile, e, contrapponendosi al modello di sviluppo lineare, si orienta verso altre priorità, verso valori antichi che sembravano perduti ma che diventano il fulcro del nuovo modello di sviluppo: riutilizzare, aggiustare, rinnovare, riciclare. L’attenzione crescente verso l’u- so e il riuso effificiente delle risorse naturali e il riciclo dei rififiuti come ‘materia prima-seconda’, mi ha spin- to a sviluppare progetti specififici, che mirano a co- struire nuovi modelli circolari di valorizzazione dei rifififiuti. Tali obiettivi possono essere raggiunti, però, solo utilizzando un approccio centrato sulle persone, responsabilizzando la società civile e promuovendo modelli di aggregazione che rappresentano, a loro volta, terreno fertile per la divulgazione delle proble- matiche ambientali, e contribuiscono allo sviluppo di strategie comunicative integrate, ad esempio con
informazioni personalizzate, per promuovere il cam- biamento dei comportamenti, modificare conoscen- ze, consapevolezza e atteggiamenti. I giovani sono senz’altro i nostri “modelli” più efficaci di divulga- zione e propagazione di comportamenti virtuosi. An- che dallo studio dei loro bisogni bisognerà partire se si vorranno ri-progettare città e quartieri sempre più vivibili e rispettosi dell’ambiente.
I ragazzi hanno saputo individuare criticità? Hanno saputo proporre delle soluzioni?
I ragazzi non deludono mai. Quando li si coinvolge con un bel progetto, rispondono dando il meglio di loro stessi. Con il supporto dei loro docenti, hanno saputo, attraverso lucide analisi critiche, in alcuni casi supportate da indagini sociologiche, condotte anche attraverso la somministrazione di questiona- ri, individuare le criticità e i bisogni, tanto a scala di città quanto a quella di quartiere e di singolo proget- to, proporre soluzioni contestualizzate, concrete e realizzabili, molto ben sviluppate dal punto di vista tecnico e metodologico, caratterizzate in molti casi da un notevole livello di originalità e innovazione.
Gli elaborati mi lasciano ben sperare per il futuro. Le città saranno sempre più interessate da azioni di rigenerazione per obiettivi quali riciclo di materiali, effifificienza energetica, forestazione urbana, mobilità sostenibile.
I recenti sviluppi delle politiche pubbliche e della rigenerazione urbana richiederanno sempre di più la partecipazione diretta e sempre più attiva dei cit- tadini. I giovani saranno i nostri migliori alleati, i veri buoni cittadini del futuro, che contribuiranno con le loro idee a ripensare e ri-generare le nostre città alla luce delle analisi degli indicatori della pia- nifificazione per insediamenti sicuri e green e sempre di più a misura delle nuove generazioni.
Tornano i valori del passato su cui costruire oggi il futuro dei giovani.
Intanto che attendiamo di ascoltare la voce dei giovani studenti attraversogli elaborati del concorso del Soroptimist “Rigenerazione città giovani”,ci interessa avere una visione su come oggi ridisegnare la città per essere attrattiva soprattutto per i giovani.Lo chiediamo a Massimo Roj, architetto con molteplici esperienze internazionali, fondatore e amministratore delegato di Progetto CMR.
Sicuramente la città va pensata come un luogo più inclusivo, più rispettoso delle diversità e delle esigenze delle persone. Noi progettisti dobbiamo cercare di progettare per le persone che useranno gli spazi, tutto deve partire dalle necessità dell’essere umano. Il periodo critico che abbiamo vissuto negli ultimi anni ci ha fatto riscoprire alcuni valori che nella città di oggi forse ci eravamo dimenticati, come i negozi di vicinato, i luoghi dell’incontro e socializzazione, la piazza, il giardino…
Quando noi eravamo piccoli c’erano, ad esempio, anche gli oratori.
Bisogna pensare oggi a degli oratori laici dove giovani e bambini possono iniziare a incontrarsi, ma dove anche le diverse fasce di età possono trovare una modalità di interazione innescando nuove forme di comunità: ad esempio gli anziani possono prendersi cura dei bambini, così come anche il giovane può aiutare l’anziano e viceversa.Scendere da casa e trovare il negozio invece di prendere la macchina e andare al centro commerciale è un fattore di miglioramento della vita. Riducendo i consumi e l’inquinamento, la presenza di questi luoghi diventa l’elemento stesso della nostra evoluzione. Ricordiamoci che tutto è nato intorno al fuoco del campo, quando gli uomini, gli antenati, i cacciatori, si incontravano e alla fine della giornata parlavano delle loro gesta, della caccia piuttosto che delle esperienze avute. Il fuoco è diventato la piazza e intorno ad essa è cresciuto prima il paese, poi la città e poi le grandi metropoli.
La città di oggi deve essere sempre più policentrica, in ognuno dei suoi quartieri devono essere presenti tutte quelle funzioni vitali che permettono alla popolazione di muoversi all’interno del quartiere stesso, trovando tutto quello che è necessario alla propria esistenza. Quindi dall’abitazione al lavoro, dal commercio alla scuola, alla sanità e soprattutto ai luoghi di incontro. Una città aperta a tutti, eliminando l’effetto “ghetto” che abbiamo creato negli anni passati con le migrazioni che le città hanno subito e la desertificazione dei servizi.
Ci sono quartieri di grandi città come Roma e Milano, dove tutto ciò è estremamente evidente, ma anche piccoli centri urbani hannoquesta caratterizzazione.
Bisogna riportare spazio vivibile all’interno dei centri urbani, iniziando con il rivisitare quello che abbiamo, magari anche attraverso un processo che liberi il suolo. Se vogliamo pensare che il futuro non sia più definito per aree di estrazione sociale ma che ci sia molta più inclusione, anche i criteri di assegnazione delle case non possono essere solo esclusivamente legati al reddito, ma alla possibilità di far convivere le diverse fasce anche in termini di età come dicevo prima. Dai più giovani ai più anziani, entrambi parte di una stessa realtà.
Riemergono, quindi, i valoridel passato, quando nel quartiereci si sentiva “a casa”?
Mi piace dire sempre che per disegnare il futuro dobbiamo comprendere e ricordare il passato. I nostri antenati vivevano in condizioni comunque piacevoli, con delle città a misura d’uomo. Però negli anni 50 c’è stato chi ha teorizzato la città suddivisa per funzioni: il quartiere per dormire, quello per lavorare e un altro per comprare. Modello che, dalle città americane, grazie al potere economico degli Stati Uniti, si è esteso negli altri Paesi in via di sviluppo. Sono nate così le piazze artificiali, i grandi scatoloni dei centri commerciali che hanno ucciso i negozi di vicinato. Molti dei nostri Paesi medievali, dei nostri borghi antichi sono morti proprio al nascere di questi nuovi fenomeni.
Lei vede possibile un ritornoal passato con i centri commerciali che, potenti come sono, cercheranno di ostacolare questo processo?
Ritorno al passato è un ritorno alla modalità di vita che era più consona alla storia della nostra evoluzione. Abbiamo vissuto un cinquantennio stordente. Oggi anche nei paesi in via di sviluppo si stanno ripensando i luoghi del vivere in modo che permettano la compresenza di funzioni diverse. Non più andare in un luogo per fare un’attività specifica: in quest’ottica, mi piace parlare del passaggio da quello che definiamo in termini inglesi “office space”, ossia degli spazi di lavoro, a “living place”, luoghi del vivere dove lavorare, studiare, abitare, fare diverse attività .
Un esempio pratico di come usarei luoghi diversamente?
Le nostre città in gran parte delle giornate rimangono vuote: pensiamo agli uffici, che vengono occupati 8 – 10 ore al giorno, come pure gli alberghi. Perchè non pensare a funzioni che possono in qualche modo mettere insieme diverse attività e quindi occupare tutto l’arco della giornata? Noi abbiamo progettato, naturalmente con degli accorgimenti, un luogo del genere funzionante 24 ore su 24: l’abbiamo chiamato “officetel”, ufficio di giorno e albergo di sera.
Per accogliere una visione del genere però occorrono menti brillanti, lungimiranti.
La città è frutto di un’azione politica. Il problema da noi è che si va direttamente con la progettazione senza prima porre a monte una programmazione ventennale/ trentennale con una pianificazione a medio e breve tempo soggetta a revisioni periodiche in funzione dei cambiamenti sociali che avvengono all’interno dello sviluppo della nostra amata terra.
Questo tipo di percorso permetterebbe il cambio di rotta che tanto auspichiamo.
Come possono spingere i giovaniper andare in questa direzione?
La politica si deve fare partecipe e attore fondamentale. I giovani possono spingere, però c’è sempre meno amore, lo si vede anche dall’assenteismo elettorale, non c’è più la scuola di politica che c’era magari una volta e quindi oggi scarseggiano i giovani che possano arrivare a fare politica per migliorare le condizioni complessive del Paese. C’è da lavorare tanto anche su questo e se ne rendono conto i giovani stessi. Iniziative come il vostro concorso del Soroptimist sono sicuramente interessanti ed estremamente utili, perché ci aiutano a capire come questi ragazzi vedono il loro futuro e quali sono le loro speranze e i loro sogni
L’Italia non è un paese per giovani. A fotografare la situazione dei giovani italiani è l’Istat che come ogni anno raccoglie dati e produce statistiche su tutti gli aspetti che riguardano la vita dei giovani: dall’istru- zione al mondo del lavoro alla condizione socio-eco- nomica. Giovani che, a malincuore, scappano sem pre più all’estero, dove è più facile trovare lavoro. Le previsioni sul futuro demografico del Paese, ag- giornate al 2021, confermano infatti un potenziale quadro di crisi. Secondo l’Istat infatti la popolazione residente è in decrescita: da 59,2 milioni al primo gennaio 2021 a 57,9 milioni nel 2030, a 54,2 milioni nel 2050 fino a 47,7 milioni nel 2070. Il rapporto tra individui in età lavorativa (15-64 anni) e non (0-14 e 65 anni e più) passerà da circa tre a due nel 2021, a circa uno a uno nel 2050. Entro dieci anni, in quattro Comuni su cinque è atteso un calo di popolazione, in nove su 10 nel caso di Comuni di zone rurali. Anche per quanto riguarda le famiglie la situazione non è delle migliori: entro il 2041 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non ne avrà.
Fuga all’estero
Gli italiani, soprattutto i giovani, dopo gli anni legati alla pandemia hanno ripreso a muoversi. In particolare, nel 2021 sono rimpatriati 75mila italiani, un numero più alto del 10% rispetto al periodo pre-pandemia. E sono rientra- ti soprattutto dal Regno Unito (anche per l’effetto della Brexit) e dalla Germania. In più della metà dei casi si tratta di uomini (56%). Per contro, 94mila giovani hanno invece lasciato l’Italia per trasferirsi all’estero. Tre su quattro sono italiani nati in Italia, uno su quattro è un italiano nato all’e- stero. Oltre la metà parte dalle regioni del Nord (Nord-ovest 30,6% e Nord-est 22,5%), mentre l’età media è 33 anni per gli uomini e 30 per le donne. Anche nel caso degli espatri prevale la componente maschile, ma questo non vale per i più giovani: fino ai 25 anni non si rilevano infatti differenze di genere. I Paesi più gettonati sono quelli europei, solo il 4% sceglie gli Usa e il 2% l’Australia.
I giovani fra i 25 e i 34 anni espatriati fra 2012 e 2021 sono circa 337mila, di cui oltre 120mila laureati. I coeta- nei rimpatriati nello stesso periodo sono 94mila, di cui 41mila laureati. Questo significa che in 10 anni l’Italia ha perso 79mila giovani laureati. Una dinamica che comunque cambia da re- gione a regione: nell’ultimo decennio infatti il Nord ha azzerato le perdite e, anzi, ha un saldo positivo di giovani laureati poiché ha accolto quelli che si sono spostati dalle regioni del Mezzo- giorno; allo stesso modo il Centro ha pressoché azzerato le perdite, mentre il Mezzogiorno, fra chi è andato all’e- stero e chi si è mosso verso le regioni
del Centro-Nord, ha subito una perdita netta di circa 157mila giovani laureati. Guardando i dati del 2022, si evince come il tasso di occupazione in Italia, considerando l’età compresa tra i 25 e i 34 anni, si attesta al 67,2%, in calo rispetto al 2004 anno in cui la percen- tuale era del 70%.
Indietro sull’Istruzione
Nel campo dell’istruzione l’Italia re- sta indietro rispetto agli altri Paesi eu- ropei. Un gap molto ampio se si con- sidera che l’Italia è penultimo posto in Europa relativamente al possesso di un titolo di studio terziario (diploma di tecnico superiore, diploma acca- demico, laurea o dottorato di ricerca) riferito ai giovani di età compresa tra i25ei34anni.InItalia,nel2021,i 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario sono il 26,8%, una percentuale nettamente inferiore alla media europea che raggiunge il 41,6%. L’obiettivo europeo è raggiungere il 45% entro il 2030 nella classe 25-34 anni, come definito nella risoluzione del Consiglio sul “Quadro strategico per la cooperazione europea nel setto- re dell’istruzione e della formazione”. In questa situazione, ad essere partico- larmente svantaggiato è il Mezzogior- no, dove si è laureato un giovane su cinque (20,7%), contro tre giovani su dieci nel Centro e nel Nord (30%). Il divario con l’Europa è più marcato per gli uomini rispetto alle donne: in Italia possiede un titolo terziario il 20,4%, dei giovani (contro una media Ue del 36,3%) e il 33,3% delle giovani, a fronte di una media europea del 47%. Un gap che appare difficile da colmare e che affonda le radici in tante ragioni, a cominciare dalla disponibilità limi- tata di corsi terziari di ciclo breve pro- fessionalizzanti, erogati dagli Istituti
Tecnici Superiori, che sono invece molto diffusi in molti Paesi europei. Anche il contesto familiare è un altro fat- tore associato al conseguimento di un titolo di studio ed è determinante per il raggiungimento di più elevati livelli di istruzione. Nelle famiglie con almeno un genitore diploma- to, infatti, la quota di figli 30-34enni in possesso di un titolo terziario si ferma al 39,3%, mentre sale al 70,1% quando almeno un genitore è laureato. Eppure l’istruzione premia: il tasso di occupazione dei giovani laureati di 30-34 anni supera di oltre 12 punti quello dei coetanei diplomati.
Consiglio nazionale dei giovani
Una condizione di disagio, quella vissuta dai giovani in Italia, che è emersa anche dall’ultimo rapporto realizzato dal Consiglio nazionale dei giovani (CNG) nel 2022 sulla “Disuguaglianza intergenerazionale e accesso alle opportunità”. Per il 79% dei giovani intervistati infatti in Italia si vive peggio rispetto al resto d’Europa. L’indagine ha ana- lizzato le condizioni di vita delle nuove generazioni e la loro capacità di accedere all’istruzione, al mondo del la- voro e alla politica attraverso la partecipazione ai processi decisionali. Per quanto riguarda l’istruzione, e in particolare il giudizio sull’orientamento scolastico da cui dipende il percorso formativo e lavorativo dello studente, dall’analisi si rilevano diverse criticità: il 75% degli intervistati, infatti, si dichiara insoddisfatto dell’orientamento in uscita dalle scuole superiori. Una forte insofferenza emerge an- che nei confronti delle condizioni del mercato del lavoro: poco più della metà degli under 35 (51%) ritiene che gli stipendi non siano affatto soddisfacenti e il 75% degli intervistati si dichiara poco o per niente soddisfatto ri- guardo all’allineamento del lavoro rispetto alle proprie competenze. La quasi totalità dei giovani (89%) definisce poi problematica la situazione relativa alle opportunità di lavoro in Italia rispetto all’estero. Per quanto riguarda infine la politica, la quasi totalità dei giovani (89%) de- finisce inadeguata l’offerta politica rivolta dai partiti alle nuove generazioni e l’86% sostiene di non essere soddisfatto delle opportunità di crescita all’interno dei partiti. Insomma, la situazione non è certo facile, per questo bi- sognerebbe ripensare le politiche pubbliche generazionali, magari sfruttando al meglio le opportunità offerte, come quelle introdotte da Next Generation Eu, devono innescare un reale e concreto cambiamento.
Intervista di Francesca Pompaa Elena Littamè Psicologa – Direttrice Generale di Fondazione IREA Morini
Generazione Z, così vengono identificati i nati tra il 1997 e 2012; figli della Generazione X (1965 – 1980) e dell’ancor prima Baby Bummer (1946 – 1964). È la prima generazione ad essersi sviluppata godendo dell’accesso ad Internet sin dall’infanzia: i cosiddetti “nativi digitali”*.
Una generazione controversa per es- sere rappresentata da un lato come quella meno violenta, più tollerante ed inclusiva degli ultimi anni, e dall’altra come una generazione con forte propensione all’individualismo, concentrata a fare più che ad essere, incline al successo personale piuttosto che alle relazioni sociali, familiari, oppure agli hobby.
La Generazione Z offre un quadro del tutto nuovo del mondo dei giovani con una visione etica per certi versi più vicina a quella delle generazioni passate.
Onestà, affidabilità, impegno, sono valori fondanti di questa generazione; come mai invece la cronaca spesso ci riporta episodi di altra narrazione?
«Da psicologa, mamma di una adolescente Gaia di nome e di fatto, responsabile di un progetto che tra il 2019 e il 2022 ha coinvolto più di 600 alunni della scuola secondaria di primo grado del territorio in cui vivo e lavoro e circa 300 adulti di riferimento (genitori, insegnanti, educatori, allenatori..) mi chiedo spesso perché questa nuova Generazione Z occupi sempre più spesso la cronaca con episodi plateali, ad esempio di bullismo nei confronti di coetanei ed adulti, ripresi e postati come “trofei”, talvolta minimizzati, quasi giustificati da genitori che non vogliono vedere la gravità dell’accaduto».
Episodi che nascono forse dal bisogno di “essere visti”, e qui entriamo nell’uso che i giovani fanno del web come strumento di relazione.
«Quanti follower hai? Nell’era dei social network e dei social media sembra che il successo di una persona, di un progetto, di un prodotto o di un’idea dipenda unicamente dal numero di follower e di like che riescono a collezionare: “se non posti non sei/non fai”.
Anche Amadeus al Sanremo di quest’anno si è fatto convince- re dalla top influencer Ferragni ad aprire un nuovo profilo su Instagram e ha coinvolto il pubblico del Festival nella conta dei nuovi amici virtuali che il conduttore ha avviato nelle sera- te più chiacchierate dei nostri palinsesti televisivi italiani.
Del resto, se qualcuno ti followa, vuol dire che ti segue e se ti segue vuol dire che “ti vede”!»
La maggior parte della Generazione Z accusa quelle precedenti di non aver preservato ma lasciato un mondo in cui vivere è diventato difficile, come se avvertisse la necessità di salvarsi da sola, tagliando col passato e creando nuovi paradigmi, nuovi linguaggi. Intercettare i loro pensieri non è semplice.
«Ma non impossibile. “Io ti vedo” desiderano sentirsi dire. Essere visti e riconosciuti infondo non è il bisogno che tutti noi abbiamo? Se l’essere visti passa solamente attraverso quell’appendice che ormai ciascuno di noi maneggia continua- mente durante il giorno, il nostro telefono, le app e i social, essa diventa il principale strumento per raggiungere l’obiettivo. Ma se ci fossero anche altri modi? La prima volta che ho visto Avatar (il film di James Cameron) ricordo quanto mi abbia colpito quell’“io ti vedo” con cui i protagonisti si salutano. “I see you” – io ti vedo – “It’s not just ’I’m seeing you in front of me’; it’s: ‘I see into you, I accepted you, I understand you’” – “Non è ‘ti vedo di fronte a me’; è ‘io vedo dentro di te, ti accetto, ti capisco’”. Un nuovo modo di vedere “l’altro” e di connettersi con lui».
Diventa urgente cercare soluzioni inserendo elementi che possano ingaggiare gli adulti e i giovani, sarebbe un ottimo modo per far incontrare passato e presente.
«Se come adulti fossimo più capaci, nella complessità delle nostre quotidianità, di “vedere” i nostri figli e i figli delle comunità in cui viviamo – questi avrebbero meno bisogno di gesti plateali per richiamare la nostra attenzione e quella dei loro coetanei (che, ahimè, a loro volta non vedono e non li vedono!). Forse la comunità educante inizia da qui. Da un “Io ti vedo” che non sia di corsa, che non sia superficiale, che non sia scontato… Gli adolescenti di oggi sono sempre di più supereroi fragili, all’apparenza forti e invincibili, nella realtà nascondono insicurezze e vulnerabilità».
Una Comunità Educante più consapevole, fatta di adulti, genitori, educatori, insegnanti, allenatori, guide capaci di invertire la rotta…
«Bisogna essere consapevoli che si nasce figli ma che genitori si diventa giorno dopo giorno, insieme ai nostri figli che crescono, at- traverso le piccole conquiste quotidiane e l’alleanza educativa che riusciamo a creare di accompagnamento alla crescita, che significa dare amore (“Io ti vedo”), sicurezza (fondamentale!), ruoli distinti (io sono l’adulto) e confini precisi (i “no” aiutano a crescere). Non esistono genitori perfetti e non è questo a cui dobbiamo aspi- rare. Serve piuttosto essere una mamma (un papà, un genitore) sufficientemente buona, spontanea, autentica, come ci insegna il famoso psicanalista inglese Donald Winnicot. Con le proprie ansie e preoccupazioni, stanchezze e sensi di colpa, cercando di trasmet- tere sicurezza e amore.
Così come si diventa insegnanti ed educatori nelle sfide quoti- diane, condividendo con bambini e giovani un percorso dove si apprendono conoscenze (il sapere), competenze (saper fare), soft skill (saper essere) e la necessità di continuare ad imparare (saper diventare). Occorre una forte alleanza educativa tra scuola, famiglia e Comunità Educante, per invertire la rotta: lavorare insieme per avere meno “supereroi” ma rendere questi figli, questi alunni, questi ragazzi, meno fragili».
Quale può essere la chiave di volta per “sopravvivere” più serenamente in questo periodo storico così complesso?
«Essere visti e viste, essere riconosciuti come persone, per quello che siamo e non per le caratteristiche che abbiamo. Essere consapevoli che ciò che siamo ci unisce e ciò che abbiamo (storie, provenienze, caratteristiche, desideri, culture, posizioni sociali) ci rende diversi e unici.
Essere e Avere sono due parole che mi sono particolarmente care. Nella mia quotidianità di direttrice di una Fondazione che da cento anni si oc- cupa di educazione e da cinquanta ha come cuore pulsante progetti e ser- vizi per persone con disabilità, diamo molta importanza al linguaggio che utilizziamo. Chiedo di non usare più il termine “disabili” e di sostituirlo con “persone con disabilità” a cui prima riconosciamo il diritto di essere un bambino, una donna, un adulto, un anziano… con desideri, aspettative, bisogni che vengono prima della sua disabilità! Con questa consapevolezza potremmo diventare i primi follower di noi stessi, dei nostri figli e dei nostri ragazzi e valorizzare le relazioni come la nostra vera e più preziosa ricchezza».
La rete è diventata ormai la sede indiscussa del dibattito sociale, un approccio individualistico meno interessato alle vicende politiche, un nuovo agglomerato di pensiero, fuori dai luoghi del passato.
«Abbiamo passato gli ultimi anni, come generazione di adulti, a delegittimare le istituzioni (scuola, sanità, chiesa, forze dell’ordine…) e la politica. Non sarà forse il caso che riprendiamo a rispettarle e a dar valore a questi pilastri della nostra società perché possano essere punti fermi, certezze, riferimenti più credibili e importanti anche per le nuove generazioni?
I ragazzi che tanto denigriamo per gli atti di bullismo che leggiamo sui giornali sono gli stessi coetanei di Greta Thumberg che lottano per pre- servare l’ambiente, sono i cittadini del mondo che non si danno confini nelle amicizie e nei progetti, sostengono valori e etica che spesso superano ogni nostro “credo”. Forse hanno solo un po’ più bisogno di una Comunità Educante intorno a loro fatta di adulti più consapevoli del proprio ruolo, capaci di “educere”, di tirar fuori il loro vero “essere”. Proviamoci. Io ti vedo, io vi vedo!»
Le generazioni culturali
• Generazione perduta (1883-1900) • Greatest Generation (1901-1927) • Generazione silenziosa (1928-1945) • Baby boomers o “Boomers” (1946-1964) • Generazione X (1965-1980) • Generazione Y o “Millennials” (1981-1996) • Generazione Z o “Centennials”(1997-2012) • Generazione Alpha o “Screenagers”(2013-oggi)
Esploratori e romanzieri hanno definito “Isole delle donne”, le Laccadive, le Eolie, Kihnu, la Isla Mujeres sacra alla Dea Ixchel in Messico. Ma chi sono le donne delle isole? Sono quelle, ci ha detto Giovanna Garbo, ‘che mettono nei loro progetti il fine dell’affezione al territorio come madre terra, la dea madre da cui non puoi fuggire per mare’.
“A te che sogni una stella ed un velieroche ti portino su isole dal cielo più vero”.
(Rino Gaetano, Ti ti ti ti, 1980)
SICILIA
Borghi rinati
Carmelina Ricciardello non solo non è nata su un’i- sola, ma arriva addirittura dall’Australia. Eppure, è una vera pioniera che, dopo aver girato il mondo, è tornata nell’isola dei suoi antenati ed ha incominciato testardamente un progetto che ora dà lavoro a molte famiglie. Eppure, molti anni fa, (intervistata per il mio sito www.g-r-t.org) mi raccontava scoraggiatissima che “a parlare con i politici di rimettere a posto il nostro Paese trovo un muro di gomma perché sono una donna, vado io ad innaffiare le aiuole, a convincere gli abitanti ad aprire le porte e i giovani a non andarsene”. Piano piano, nel borgo di Sant’Ambrogio, sono venute da lei gruppi di donne finlandesi per i corsi di pittura, siciliani a comprare i formaggi, emigrati alla ricerca delle radici, turisti che non conoscevano le Madonie e si sono moltiplicate le iniziative fino a diventare un punto di riferimento. Così ora, nel comprensorio degli Eblei e delle Madonie, nei borghi aperti all’ospitalità, Carmelina periodicamente organizza i suoi trekking favoriti, ma soprattutto vi consiglia altri percorsi dalle amiche siciliane. Giovanna Garbo, con il suo franto- io, le degustazioni, la raccolta delle olive, le leggende, il vecchio forno, le donne di Sant’Ambrogio che de- corano le strade. Giovanna Gebbia guida ambientale escursionista nelle Alte Madonie, con le camere di Cas’Antica Soprana nel borgo medievale di Pietralia Soprana. Stefania Greco, con i trekking tra speleologia e archeologia, i laboratori sulle erbe spontanee, le fiere dei sapori, la transumanza. In una grande rete di ospitalità e esperienze, incontri con artisti e artigiani, fiere del gusto, vie inaspettate e soggiorni nelle più belle case locali. Per finire con l’entusiasmante centro Serra Guarneri di educazione ambientale e campi estivi per ragazzi, nel Parco delle Madonie. Perché, come dice Carmelina: “Per capire un posto devi conoscere le persone, la storia è importante, ma è quello che conosci che ti tocca nel cuore”.
SICILIA
Rocce e capperi
“Mi sento figlia dell’Etna, ’aMuntagna” che, come una mamma, ci dà tanti prodotti della terra, ma può essere anche severa con il tuo- no potente delle sue eruzioni”, ci racconta Ilaria Monaco, geologa e guida ambientale AIGAE. Da qui arrivano le storie raccontate dalle rocce, il racconto del magma fuso a migliaia di gradi, con cui noi guide facciamo i laboratori per i bambini, le leggende dei pastori, di vigne, ulivi e agrumi dove lavorava mio nonno”. Infatti, Ilaria ha lavorato come geologa ambientale, ma è tornata a Catania per fare la guida, perché dalle sue radici partono le sue affascinanti descrizioni di un mondo di roccia ed i suoi consigli di vacanze, nelle isole del Mediterraneo. Due esempi? Seguendola sull’Etna, si attraversano boschi di betulle, faggi e ginestre, tra valloni rocciosi, colate nere e grotte in cui si sente il respiro della lava nel buio, prima di salire tra i fumanti crateri centrali. Al ritorno, ci si siede ai tavoli della trattoria “Mareneve” a Fornazzo per gli gnocchetti con crema di zucca, ricotta fresca e pistacchio di Bronte, o si scende per l’imperdibile “siciliana” con tuma e acciuga, da Donna Peppina, nella piazza di Zafferana Etnea affacciata sullo Ionio. Sui Monti Nebrodi, Ilaria ci porta sulle calcaree “Rocche del Crasto”, ma poi scendiamo a conoscere le sue amiche, nei borghi di Longi, pernottando dagli abitanti e visitando un bellissimo telaio per la tessitura a mano ancora funzionante. Alle Isole Eolie scopriamo con lei altri paesaggi mozzafiato sul blu: a Salina ora sono fioriti i sentieri del Monte Fossa delle Felci e del Monte dei Porri, ma giù ci si ferma a gustare la granita alla ricotta con capperi tra uno stuolo di piatti eoliani dal fascinoso “Paperò al Glicine” a Rinella.
GRECIA
L’isola delle donne
Tra le 6000 isole greche, ce n’è una indomita, che ha lottato contro tutte le invasioni ed è sempre rimasta indipendente, in cui si parla ancora un dialetto arcaico, con la fama di ‘isola delle don- ne’ perché sono le ragazze a ‘comandare le danze’ nelle plateali affollatissime ‘panighiria’, ac- compagnate dai ritornelli che tornano all’infinito. Ikaria è anche il luogo del cuore di Francesca Benassai, che, come guida, conosce bene Lanzarote, Azzorre, Madeira, e Itaca, ma non rinuncia a portare qui ogni anno un gruppo (soprattutto) di viaggiatrici. Francesca ha girato Ikaria in lungo e in largo con una certezza: «Ikaria è femmina perché viscerale, pagana, eretica, appassionata per la sua società matriarcale. Ad Ikaria è onorata Artemide dea del selvatico, del parto e della Luna. È un esempio di comunità sobria ma vivacissima, solidale e creativa. Camminare qui è speciale per la varietà di esperienze e per i tanti orgogliosi greci che ci narrano la loro terra. Come Iannis col suo rifugio di pietra in cima al monte, Eugenia fraterna nostra ospite, Lefteris una giovane gui- da che ha deciso di tornare nella terra degli avi». Dopo le terme di Therma o di Lefkada, il castello di Koskina e il tempio di Artemide, inaspettata- mente, a Agios Dimitrios ci avvincono i profumi e i misteri delle erbe nella bottega di Irini. Più su, c’è la fattoria di Marion Arakara che ha realizzato il sogno di aprire una casa per i viaggiatori nella sua terra vicina al cielo, con passeggiate nell’or- to, fino alle tipiche “case anti-pirateria”, cucina e cene ascoltando musica. Nel paese di Christos Rachon si viene accolti dal profumo di dolci, per poi scoprire che proviene dalla pasticceria-bottega, ora anche e-shop, di sette donne intraprendenti: davanti ad un grande albero ecco marmellate, conserve, erbe, ma anche tessuti, oggetti di legno, biglietti artistici.
SARDEGNA
Le mille sfumature dei colori
In Sardegna le eredi di Eleonora d’Arborea, forti ed indipendenti per storia e cultura, sono attive e protagoniste in ogni paese. Noi abbiamo scelto le misteriose valli poco note dell’Oglastra, per un viaggio in poche righe, sui passi della guida Fulvia Adamo e di un gruppo di ragazze atttivissime per la loro terra. Siamo tra il Gennargentu, gli altopiani calcarei dei Tacchi d’Ogliastra, del Supramonte Baunei/Dorgali e il mare Tirreno, tra chilometri di strade deserte, paesaggi con tutte le sfumature di verdi, gialli e blu, nel silenzio totale e ogni tanto un campo con le mandrie. La prima sorpresa è la tappa alla ‘Stazione dell’arte’: il museo a cielo aperto di Ulassai dedicato a Maria Lai, la fantastica artista internazionale di ‘arte povera, relazionale, tessile’, che ha legato con i fili di lana le sue montagne. Per i resti nuragici si cammina nella macchia a Perda e’liana, mentre a Villagrande Strisaili, Osini, Cardedu, Jerzu, Lanusei si incontrano B+B pronti a coccolarvi, le panetterie con il pane come una volta, le sebadas con i mieli di stagione dell’apicultore Salvatore Sarega, il cannonau alla cantina sociale, i culurgiones chiusi a mano come si insegna di madre in figlia. Poi tra vigneti e ulivi, si passa da Giulia Mura, giovane imprenditrice che dopo un tour guidato dei suoi terreni vi farà degustare cannonau e olio evo. Per le spiagge, ogni viaggiatrice sceglierà il rosa sabbia o il rosso scoglio che preferisce, da Gairo Cardedu a Pedra Longa col Profondo Blu. Ma l’ultimo pezzo di costa prima di Arbatax ha ancora due tappe: alla cooperativa di pescatori per la botarga e al Chiostro di Ponente per le ostriche. Prossime iniziative: trekking delle erbe con Valentina Allegria, presentazioni di libri, primo cammino delle orchidee in aprile, le leggende medievali sulla rocca del castello di Quirra, il festival Itacà in settembre.
CAPRAIA
Trekking tra le fioriture
Le signore dell’isola si incontrano da Franca Cerri: unica bottega e forno, per comprare pane, miele, vino, olio locali, tra quattro chiacchere, su un fatto all’unisono: “Capraia è un’isola di donne”.
Una presenza importante è quella di Marida Bessi, perché, oltre a fare il sindaco, ha fondato l’Agenzia Viaggi Parco, che organizza gite turistiche, distribuisce informazioni, ospita ar- tisti locali, come Rossella Faleni ‘ar- tista del mare e artigiana itinerante’’. Tra le attivissime donne in rete, c’è
una capraiese doc come Sonia Severi, che, dopo essere stata direttrice del porto, ha appena aperto La Chiarantina, animatissimo bar in centro, con Rossella Corsi, esperta di moda vintage. Vera liason con la Capraia naturalistica è Elisabetta Stella – guida escursionistica ambientale e grande esperta di botanica –, che ha avuto l’idea di inserire le donne nei suoi itinerari sui sentieri più belli dell’isola e fa con loro fantastici trekking tra le fioriture. I sentieri salgono fino alla Mortola, alla Punta della Teja al Monte Le Penne, e scendono fino alla Cala di Porto Vecchio passando per l’agriturismo Valle di Portovecchio. Questo è il regno di Rossana Chierichetti: per gli ospiti una bella camera, orto da coltivare, frutteto e ulivi da potare, piatti della tradizione da gustare, come il dolce fecolino o la zuppa toscana con i cavoli e le verdure di stagione. Scesi in paese, vicino al Castello, c’è la tappa gastronomica obbligatoria, il Carabottino, ovvero l’apoteosi dell’Ittiturismo: dalla barca del marito alla tavola, Siria Petrucci cucina pesce per pochi e prenotatissimi tavoli sotto la pergola, in una teoria di carpacci, patè, tonnetti sott’olio. Per finire con una novità culturale: la curatrice della biblioteca pubblica Viola Viteritti, lancia quest’anno il Primo Premio Letterario Piero Ottone.
Sarebbe riduttivo definire La Città che vorrei come nuovo progetto nazionale di Soroptimist International Italia. Trattasi, piuttosto, di una proposta di percorso pedagogico e olistico, di trasformazione del contesto abitativo (città, paese, quartiere), improntata su valori fondamentali, ineludibili: sostenibilità, inclusione, sicurezza, sostenibilità economica, resilienza, rispetto e valorizzazione dei generi e della bellezza.
Non si tratta solamente di rigenerazione urbana ma anche di promozione di una cittadinanza attiva, responsabile e partecipe (da cui l’innesto del progetto/bando Ri-generazione città futura).
Per saperne di più, abbiamo intervistato la referente e anima pulsante della Città che vorrei, Bruna Floreani, commercialista esperta in ambito societario ed internazionale del Club Soroptimist di Milano alla Scala.
Da dove prende origine l’idea della Città che vorrei?
In realtà, i primi studi risalgano ad una decina di anni or sono, durante la Giunta Pisapia con la Delegata alle Pari Opportunità di allora, Francesca Zajczyk, docente di Sociologia Urbana presso l’Università degli Studi Bicocca di Milano. All’epoca fu elaborata una ricerca dal titolo, “Analisi comparata delle Politiche di Genere in Europa”, in cui si misero a confronto alcune capitali europee, quali Berlino, Barcellona, Vienna e Milano.
La ricerca è stata presentata nell’ottobre 2015, a Palazzo Marino, sede del Municipio di Milano ed è stata l’origine di approfondimenti circa la costruzione di un nuovo modello di Città che tenesse conto dei vissuti e dei bisogni delle donne e che fosse in grado di elaborare future prospettive.
Soroptimist Club Milano alla Scala, in collaborazione con Comune di Milano, Fondazione Etica e l’Associazione MiWorld, sempre nello stesso periodo, ha promosso un incontro dal titolo, “Costruire il futuro con uno sguardo di genere”, predittivo degli attuali sviluppi.
Costruire una città a misura di donna non è solo una rivendicazione di genere bensì porre la comunità umana al centro del cambiamento?
Per parlare di futuro, occorre seminare cambiamento nel territorio in cui si vive e l’80% della popolazione vive, produce economia, trascorre il proprio tempo libero, in città.
Ma le città, da sempre, sono disegnate a misura di uomo, un uomo che, producendo, inquina, non si cura della valorizzazione estetica del territorio, di creare cultura e sicurezza. Del resto l’ottanta per cento dei pianificatori urbani sono, a tutt’oggi, maschi.
L’orizzonte è eminentemente culturale ed il cambiamento è, ormai, ineludibile.
L’Agenda 2030 dell’ONU, coi suoi 17 obiettivi, mette in campo un orizzonte di contenuti e valori che non può essere tralasciata dalle donne.
Occorre elaborare una sorta di secondo Rinascimento in cui le donne siano protagoniste attive nei tavoli decisionali. Soroptimist International Italia grazie alla sua estensione geografica in Club sparsi su tutto il territorio nazionale, può e deve essere fra i soggetti promotori di campagne di advocacy che partendo da interlocuzioni con le Amministrazioni Locali (facilitate dalla firma di un Protocollo di intesa con l’ANCI, siglato a giugno di quest’anno) possa trasformarsi in concrete azioni e buone prassi.
Altro fattore facilitante, le risorse del Pnrr, bene prezioso ed imprescindibile che deve essere utilizzato per lanciare nuovi scenari urbani.
Quali le tappe di costruzione della città che vorrei?
Si è pensato a tre momenti iniziali, di lancio di questo laboratorio per un nuovo umanesimo, ovvero l’elaborazione di un questionario, la creazione di un manifesto, la pubblicizzazione tramite un evento.
Il questionario, elaborato con la società Lexis Ricerche srl, è stato somministrato ad un ampio campione di donne fra le quali le circa 5000 socie dei Club di cui si compone Soroptimist International Italia. L’obiettivo è stato di far emergere le proposte delle donne sulle città di oggi e sulla città ideale di un futuro prossimo.
La prima parte del questionario ha sondato il livello di soddisfazione su dieci aspetti del vivere urbano, ovvero Quartieri e Comunità, Sicurezza, Lavoro, Salute e Benessere, Abitazione, Sostenibilità ed Ambiente, Servizi Pubblici, Strutture educative.
La seconda parte, la scelta di dieci obiettivi per la costruzione della città che vorrei.
Dal questionario discende l’elaborazione del manifesto, una sorta di linea guida degli obiettivi prescelti fra i quali la promozione di partecipazione consapevole ed attiva del mondo femminile alla costruzione della città futura; l’istituzionalizzazione della partecipazione delle donne nelle scelte e percorsi di elaborazione del cambiamento urbano; la stipula di un impegno delle Istituzioni a trasformare le promesse in azioni concrete ed a fare accountability ai cittadini, tutti.
Ultima fase della start up, l’evento denominato “La città che vorrei, reinventare la città a misura di donna”, programmato per il 14 ottobre 2022 presso l’Auditorium di Assolombarda a Milano, patrocinato, fra gli altri, da Assolombarda, ANCI, AmbienteItalia ed il Corriere della Sera come Media Partner.
L’evento di presentazione è l’occasione per presentare i risultati del questionario e divulgare il manifesto.
Evento e non convegno perché si intende lanciare una concreta revisione olistica nella progettazione urbana del futuro che veda al centro la Persona, una persona che pone al centro dei propri interessi buone pratiche e rinnovati stili di vita.
La città dei cittadini, la città attrattiva, la città verde, sana, resiliente ma anche inclusiva e sicura e che abbia sguardo e riguardo su tutte le generazioni e su tutti i generi.
Si può parlare della Città che vorrei come di un percorso educativo?
Certamente e proprio perché è necessario attuare una netta trasformazione degli stili di vita e di produzione e progettazione, occorre favorirne e facilitarne l’avvio. Il processo è culturale, il cambiamento deve coinvolgere le giovani generazioni e deve essere proposto e stimolato sin dai primi anni di vita e durante tutto il periodo di formazione scolastica.
Proprio per questo si è immaginato e progettato un Bando “Ri-generazione città giovane rivolto a tutte le scuole di istruzione secondaria inferiore e superiore.
I giovani studenti, coordinati da un insegnante referente, avranno la possibilità di elaborare la riprogettazione di spazi urbani adeguandoli ai propri bisogni ed aspettative.
Una proposta concreta di coinvolgimento dei giovani per la costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile. Un ascolto delle voci della cittadinanza più giovane che creerà, di per sé, un’ulteriore sensibilizzazione anche verso le tematiche di educazione alla cittadinanza.
Il Soroptimist International d’Italia, nello spirito del motto “Acceleriamo il Cambiamento” lanciato dalla Presidente Giovanna Guercio, ha messo in opera tutta la forza dei tanti Club di donne presenti sul territorio nazionale per una serie di progetti rivolti in particolare all’obiettivo 11 dell’Agenda 2023 dell’ONU: “città e comunità sostenibili”.
Nell’ambizioso disegno il Soroptimist dà un ruolo rilevante proprio ai giovani chiamandoli a dare voce al loro contributo con idee da proporre alle Amministrazioni locali per rendere le proprie città più “sostenibili”.
È stato indetto un bando “Ri-Generazione città giovane” le cui domande di partecipazione al concorso da parte delle scuole dovranno pervenire al Soroptimist nazionale entro venerdì 14 febbraio 2023. Gli studenti potranno concorrere presentando le loro idee attraverso elaborati grafici, testi, illustrazioni, slides, video.
Paola D’Ascanio, coordinatrice nazionale del progetto stesso nonché nome storico e di grande prestigio del Club dell’Aquila, ci fornisce dettagli che fanno immaginare un futuro che può essere già oggi.
“Il Soroptimist ha siglato un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione il 16 giugno scorso e questo ci ha permesso di invitare le Scuole, pubbliche e private, secondarie di primo e secondo grado e gli ITS a coinvolgere gli alunni su come vorrebbero ri-generare la propria città”. Un invito vero e proprio a ripensare il territorio a misura delle nuove generazioni”.
È un atto molto importante che accredita il Soroptimist e apre alla possibilità di poter essere un interlocutore privilegiato nel mondo della scuola, come sta avvenendo appunto con l’inserimento nella programmazione scolastica dell’educazione alla città attiva. Entriamo nel pratico, come vi interfacciate con le scuole e con quale assetto?
“Certo l’obiettivo è ambizioso e richiede un impegno non da poco. Va detto che insieme a me c’è un team di lavoro che garantisce i contatti e la corretta esecuzione. Gianna Colagrande, soroptimista del mio stesso Club già dirigente scolastico e Linda Schipani, ingegnere ambientale, presidente del Club di Messina, sono le colonne portanti sotto la supervisione della nostra presidente Guercio.
È stata costituita anche una commissione esaminatrice degli elaborati che perverranno.
Svolgiamo un lavoro sinergico con gli stessi docenti, calibrato ai tempi della scuola. È già tutto calendarizzato”.
C’è grande mobilitazione nei Club per questo progetto?
“L’interesse è altissimo, ad oggi hanno aderito oltre venti Club e il numero è destinato a crescere di giorno in giorno. La presenza diffusa su tutto il nostro Paese amplifica enormemente la portata dell’operazione che, al di là di tutto, contribuisce a creare nei giovani una coscienza partecipativa circa le questioni che riguardano il loro presente e il loro futuro”. La restituzione dei risultati avverrà con un evento di proclamazione dei vincitori del concorso nonché con la diffusione del report finale presso i possibili stakeholder e i decisori politici e amministrativi.
Call for Students
C’è tempo fino al 14 febbraio per presentare gli elaborati, in formato esclusivamente digitale secondo le modalità previste dal Bando e previa compilazione dei relativi allegati disponibili online sul sito del Soroptimist International della propria città.
Il Soroptimist International ha deciso di promuovere il bando Ri-Generazione Città Giovane presso le scuole del territorio, dando la propria disponibilità a supportare l’introduzione del progetto presso gli Istituti che intenderanno aderire, premiare i progetti migliori e favorire la comunicazione dei risultati ottenuti a Istituzioni e cittadinanza. Invita le Scuole, pubbliche e private, secondarie di primo e secondo grado e gli ITS del Territorio a coinvolgere gli alunni ad esprimersi su come i giovani vorrebbero ri-generare la propria città.
Un progetto che vuole portare i ragazzi a riflettere, conoscere meglio, analizzare la propria città per proporre interventi per una città più a misura delle nuove Generazioni.
La call for Student Ri-Generazione Città Giovane pone particolare l’attenzione sull’obiettivo 11 dell’agenda 2030 dell’ONU: “Città e Comunità sostenibili” e lo fa invitando gli studenti a conoscere meglio la propria città per disegnare un cambiamento, proporre un’idea, descrivere un progetto che risponda alle loro reali esigenze o semplicemente ai loro sogni.
C’è tempo fino al 14 febbraio per presentare gli elaborati, in formato esclusivamente digitale secondo le modalità previste dal Bando e previa compilazione dei relativi allegati disponibili online sul sito del Soroptimist International della propria città.
I progetti ritenuti più di valore saranno esposti alle Istituzioni territoriali e parteciperanno alla selezione nazionale finalizzata ad una pubblicazione, curata dal Soroptimist International d’Italia, da presentarsi nell’ambito dell’evento nazionale conclusivo del progetto a giugno 2023.
Iginio Rossi è Architetto, si occupa del funzionamento urbano con particolare attenzione all’accessibilità a 360° delle città intesa come diritto fondamentale di tutte le persone e alla rivitalizzazione degli organismi urbani territoriali economici anche a livello territoriale in riferimento alla rigenerazione urbana, alla mobilità attiva, ai centri storici e al funzionamento delle attività miste diffuse.
Fondatore e coordinatore di “Città accessibili a tutti” e responsabile dell’omonima Community INU, Istituto Nazionale di Urbanistica.
Componente del CdA di Urbanistica Italiana srl, Urbanpromo. Coordinatore del blog “Territori Ciclici” all’interno del sito “urbanisticainformazioni.it”.
Come sono cambiate nel tempo le nostre città? Come sono cambiati i concetti di centro e periferia?
È un processo pluri millenario che in alcuni casi ha prodotto effetti positivi sugli insediamenti urbani ma in altri si è tradotto nella scomparsa della città, quella bella, attraente, incline al “bene-essere”. Anche oggi è così, a dettare percorsi e direzioni delle trasformazioni sono le persone: se le guidano visioni illuminate i luoghi migliorano crescendo se invece le ottiche sono “avare” i luoghi peggiorano, degradano e perdono caratteri, identità.
Per ciò che riguarda il rapporto centro/periferia, i fatti di cronaca nera degli ultimi mesi, confermano la presenza, per la verità non nuova, del conflitto socio-culturale-economico invece che spaziale. In alcune situazioni il centro è diventato marginale mentre la periferia ha assunto centralità, dinamismo, attrazione. Mi riferisco, per esempio, alle azioni condotte dal Politecnico di Milano nel quartiere San Siro all’interno del progetto “Off Campus” in cui si genera ricerca su contesti marginali, l’abitare, la povertà educativa e le segregazioni in contesti multiculturali.
Contemporaneamente hanno un ruolo di primo piano educazione e cultura con laboratori formativi, eventi culturali e confronti-scambi.
Le città sono microcosmi nei quali si riproducono fenomeni complessi: relazioni tra esseri umani, tra esseri umani e cose, tra esseri umani e spazi; rapporti di lavoro, incontri e scontri generazionali, convivenza tra diversi. Come si cerca di governarli attraverso l’urbanistica?
Il quadro di riferimento per sviluppare i governi urbani e territoriali oltre a essere complesso, articolato, è caratterizzato da dimensioni fortemente frammentarie. Mi limito a ricordare che la frammentazione riguarda non solo l’organizzazione politica, istituzionale e operativa delle amministrazioni ma concerne anche la democrazia, i diritti, le garanzie, le tutele, i servizi, cioè aspetti che incidono direttamente sulla qualità della vita delle persone contribuendo ulteriormente a incrementare fragilità, esclusione, povertà, disuguaglianze. Consapevole dell’importanza di risolvere questo nodo cruciale, l’INU ha dedicato il XXX Congresso nel 2019 proprio a cercare modalità in grado di governare la frammentazione. La soluzione è stata indicata nella costruzione di un patto per l’urbanistica che può consentire di rendere l’urbanistica socialmente utile. Subito dopo quel Congresso la community “Città accessibili” ha iniziato a lavorare al programma “Un patto per l’urbanistica città accessibili a tutti”. Dalla primavera 2021 abbiamo avviato una sperimentazione con 8 città (Ancona, Catania, Genova, Livorno, Mantova, Reggio Emilia, Spello e Udine) all’interno dei temi dell’accessibilità, inclusione, sostenibilità e bene-essere. In occasione di Urbanpromo città (11-14 ottobre 2022) presenteremo la sintesi di questa sperimentazione giunta alla conclusione della prima fase inerente lo sviluppo locale dalla quale prenderà avvio un successivo percorso per individuare entro il 2023 le soluzioni replicabili nella dimensione più ampia corrispondente alla visione Paese.
Un lavoro che deve necessariamente rimanere “aperto” considerata la velocità dei cambiamenti sociali e culturali nei nostri territori …Bisogna immaginare una città facilmente adattabile alle novità?
Nel 2016 all’interno dell’iniziativa “Il Paese che vorrei” collaterale al XXIX Congresso INU dedicato al “Progetto per il Paese” è stata presentata la costituzione di uno spazio collaborativo per il confronto su indirizzi, esperienze e prospettive di miglioramento del funzionamento urbano. La proposta sottoscritta da Fabrizio Vescovo, padre della normativa italiana inerente l’accessibilità integrata da Giorgio Raffaelli (Festival per le città accessibili di Foligno,) da Luigi Bandini Buti (Design for All Italia) e dal sottoscritto, ha dato avvio a “Città accessibili a tutti” un progetto a rete, indirizzato al confronto tra le professioni, gli studiosi, le associazioni e le istituzioni. Forte delle numerose adesioni, nel 2019 è stato pubblicato http://atlantecittaccessibili.inu.it/. Nella piattaforma sono raccolte le Linee guida per politiche integrate, un’articolazione di indirizzi e orientamenti rigardanti: progetti, strumenti, processi e formazione, costruita da un gruppo di lavoro esteso ed eterogeneo. Non un quadro statico bensì un riferimento metodologico; proprio in considerazione del continuo processo di cambiamento cui è sottoposto lo spazio urbano, anche l’accessibilità è un valore dinamico, legato alle condizioni storico-ambientale-culturali del momento. Per ciò dedichiamo da alcuni anni attenzione alle innovazioni provenienti dal “mondo” delle università e ricerche-studi. Dal 2019 abbiamo lanciato il Premio per tesi di laurea magistrali e ricerche-studi con il supporto della Camera di Commercio di Genova e la collaborazione del Ministero della Cultura, del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del Cerpa Italia Onlus. Il bando di questo anno è pubblicato in https://urbanpromo.it/info/call-for-paper-2022/ la scadenza è il 3 ottobre 2022.
Il Soroptimist Italia ha promosso il progetto “La città che vorrei” per raccogliere idee, bisogni, proposte che configurino una realtà urbana a misura di donna. Secondo lei, una città che risponda ai desideri e alle istanze femminili è un ambiente in generale più vivibile per tutti?
Senza dubbio l’attenzione alle specificità di genere e la rispondenza alle richieste provenienti dalla presenza femminile consente alla città un funzionamento in grado di offrirle maggiore dignità, eguaglianza e libertà. Nell’Atlante, oltre i 200 casi, è documentata l’esperienza “Stare di casa nella città. Donne con disabilità” realizzata dalla “Casa delle donne Ravenna”, gestita dall’Associazione APS Liberedonne. Il percorso aveva evidenziato una totale assenza di partecipazione di donne con disabilità e una riflessione, molto parziale e solo accennata, del rapporto tra donne e città. Stare di casa nella città ha quindi cercato il coinvolgimento diretto di donne con disabilità e madri con figli/e con disabilità in modo da raccogliere quanti più punti di vista possibile rispetto ai temi della mobilità e della sicurezza urbana nel vivere quotidianamente la città. Il tema delle diseguaglianze – discriminazioni legate al genere è molto considerato al nostro interno. Nel gruppo di lavoro “Città accessibili a tutti” dall’inizio vantiamo la presenza di Piera Nobili, presidente del Cerpa Italia Onlus, da lungo tempo tra le persone studiose nonché militante più attente e impegnate per un cambio di paradigma sociale ma anche strutturale delle città in grado di migliorarne la fruizione di genere.
Il Pnrr offre strumenti progettuali ed economici per migliorare le nostre città, modernizzarle, adeguarle ai nuovi bisogni senza necessariamente perdere la loro “anima”, la loro storia, le loro peculiarità?
È decisamente difficile fornire una risposta seria in questa fase ancora tutta solo scritta nei progetti, molti dei quali usciti dal letargo dei cassetti, oppure abbozzata in ipotesi da definire. La dimensione complessiva è un po’ smisurata. Al Pnrr si affiancano gli altri numerosi programmi di finanziamento provenienti ancora dallo Stato e dall’Unione europea. Dal nostro punto di osservazione mi sembra utile sottolineare: la disarticolazione tra le istituzioni; le disposizioni farraginose nei differenti livelli di attuazione; la mancanza della continuità amministrativa; l’inesistenza di una visione comune per politiche di competenza regionale che possono arrivare a fare vivere alle persone (per assurdo) 20 modalità diverse e magari contrastanti nella relazione urbana. Ci sono però segnali positivi: è stata costituita una cabina di regia nell’ambito della Presidenza del Consiglio all’interno dell’Osservatorio sulle condizioni delle persone con disabilità che deve fornire una valutazione congrua per tutti i finanziamenti del Pnrr in termini di accessibilità e inclusione: se manca, il finanziamento non può essere emesso; il cronoprogramma continua a essere rispettato nonostante vastità e complessità che prima cui ho accennato; le amministrazioni pubbliche sebbene con organici sofferenti stanno ottemperando all’iter progettuale-attuativo.
Una città a misura di famiglia. Ma soprattutto a misura di donna. Dove servizi per l’infanzia, trasporti e sostegni sono alla portata di tutti e soprattutto di tutte. A raccontare come si vive a Bruxelles è Laura Ferrara, eurodeputata italiana (M5s), che da Cosenza (Calabria) ha deciso di trasferire tutta la sua famiglia nel cuore pulsante dell’Europa.
Da giovane donna e mamma, infatti, dopo un primo periodo da “pendolare”, ha deciso di portare con sé marito e i suoi due figli, che nel frattempo sono diventati tre. “Quando sono stata eletta nel 2014 mi spostavo solo io e cercavo di capire come organizzare la mia famiglia, avendo due bambini molto piccoli, uno di un anno e una di tre anni e mezzo. Viaggiavo continuamente e i miei figli li lasciavo sempre in Italia. Ogni volta però era una sofferenza. Per questo li ho iscritti a due asili privati: 15 giorni frequentavano quello di Bruxelles e altri 15 giorni quello di Cosenza. Una situazione che però non era affatto ideale, creando instabilità nei bambini che, appena stringevano un’amicizia venivano catapultati in un’altra realtà, dove bisognava ricominciare tutto daccapo”.
Poi un episodio ha fatto scattare nella giovane mamma la decisione di cambiare vita. “I bambini stavano spesso con i nonni – spiega Laura Ferrara – un giorno mia mamma mi disse al telefono che quando sarei tornata da Bruxelles avrei visto camminare il mio secondo figlio. Lì ho capito che stavo perdendo momenti importanti della vita dei miei figli. Di certo avrei potuto lasciare tutto com’era, e da grandi avrei potuto raccontare loro quello che ho fatto come europarlamentare. Ma non sarebbe stata una consolazione. Così con mio marito decidemmo di trasferirci tutti a Bruxelles e iscriverli alle scuole Statali”.
E se per i primi anni è stata una staffetta continua, perché poi il venerdì si ritornava in Calabria, tutto è cambiato con l’arrivo del Covid, in quanto a Bruxelles la scuola è sempre rimasta aperta.
Da qui la decisione di rimanere a vivere di più nel cuore dell’Europa.
“Bruxelles è una città bellissima con un unicum – evidenzia la giovane mamma – è una città multietnica, dove si ha la possibilità di conoscere persone da tutte le parti del mondo. Quando iscrissi mia figlia a scuola, chiesi alla maestra di avere un occhio di riguardo per mia figlia perché non parlava bene il francese, in quel momento scoprii che il 90 per cento dei bambini era nella stessa situazione di mia figlia: c’erano bambini di nazionalità indiana, cinese, brasiliana, turca. Tutti con genitori che si trovano a Bruxelles per motivi di lavoro. E questo è un valore aggiunto, peculiare e meraviglioso, perché apre la mente e dà la possibilità di conoscere senza alcun tipo di pregiudizio lingue e culture diverse”.
Ma oltre all’aspetto culturale e sociale, Bruxelles è anche una città che va incontro alle famiglie e soprattutto alle giovani coppie. Sono previsti infatti assegni, sussidi e diversi aiuti per fronteggiare le spese relative alla crescita dei figli. E questo favorisce la creazione di giovani famiglie e soprattutto le nascite: avere tre o quattro figli, a queste latitudini, è infatti normalissimo. Ben diversa invece la situazione in Italia, dove i sussidi sono quasi inesistenti. “Per una donna – prosegue Ferrara – conciliare la vita lavorativa con quella di mamma in Italia è molto difficile, soprattutto quando i figli sono piccoli. Gli asili nidi sono pochissimi e se non si ha la fortuna di avere nonni in forza fisica di stare dietro ai bambini diventa difficile poter conciliare l’attività professionale e lavorativa. Per le difficoltà organizzative ed economiche molti giovani rinunciano o ritardano il desiderio di avere una famiglia”.
E poi ci sono i servizi. “La città è piena di spazi verdi attrezzati per i più piccoli – spiega Laura Ferrara – con spazi dedicati a loro, giochi e percorsi ben tenuti e funzionali, cosa non proprio scontata dalle nostre parti. Nonostante il clima non proprio favorevole, si vive spesso all’aperto, anche quando c’è la pioggia”. Tantissime sono poi le attività parascolastiche organizzate quotidianamente, con un’offerta molto ampia che spazia dalle attività sportive a quelle musicali a corsi di manualità, falegnameria e creatività. Tutto promosso dai Comuni, scuole, associazioni e strutture sportive. E poi ci sono le domeniche di lettura al parco per i più piccoli.
Anche per quanto riguarda i trasporti, Bruxelles è a misura di famiglia. Metro e autobus collegano in modo capillare tutti i quartieri e questo permette di non perdere tempo per raggiungere il posto di lavoro o per spostarsi per qualsiasi altra attività. Si utilizzano i mezzi pubblici, che arrivano con precisione”.
Insomma, due mondi differenti, con un gap abissale per le famiglie. Ecco perché l’auspicio è quello di poter utilizzare al meglio i fondi del Pnrr, attuando riforme strutturali capaci di migliorare la condizione dell’Italia, che si trova attualmente in una situazione di arretratezza sotto tutti i punti di vista, dai trasporti alla digitalizzazione al sistema sanitario. “Se saputi utilizzare – conclude l’europarlamentare – i fondi per il Sud possono rappresentare un momento di ripartenza importante, che va saputa cogliere e non sprecare. Questa è un’occasione unica che non dobbiamo perdere. Perché altrimenti non avremo più scusanti”.