Schermata-2023-07-03-alle-13.07.27

Tornare ad essere Comunità Educanti

adulti più consapevoli, giovani meno fragili

Intervista di Francesca Pompaa Elena Littamè Psicologa – Direttrice Generale di Fondazione IREA Morini

Generazione Z, così vengono identificati i nati tra il 1997 e 2012; figli della Generazione X (1965 – 1980) e dell’ancor prima Baby Bummer (1946 – 1964). È la prima generazione ad essersi sviluppata godendo dell’accesso ad Internet sin dall’infanzia: i cosiddetti “nativi digitali”*.

Una generazione controversa per es- sere rappresentata da un lato come quella meno violenta, più tollerante ed inclusiva degli ultimi anni, e dall’altra come una generazione con forte propensione all’individualismo, concentrata a fare più che ad essere, incline al successo personale piuttosto che alle relazioni sociali, familiari, oppure agli hobby.

La Generazione Z offre un quadro del tutto nuovo del mondo dei giovani con una visione etica per certi versi più vicina a quella delle generazioni passate.

Onestà, affidabilità, impegno, sono valori fondanti di questa generazione; come mai invece la cronaca spesso ci riporta episodi di altra narrazione?

«Da psicologa, mamma di una adolescente Gaia di nome e di fatto, responsabile di un progetto che tra il 2019 e il 2022 ha coinvolto più di 600 alunni della scuola secondaria di primo grado del territorio in cui vivo e lavoro e circa 300 adulti di riferimento (genitori, insegnanti, educatori, allenatori..) mi chiedo spesso perché questa nuova Generazione Z occupi sempre più spesso la cronaca con episodi plateali, ad esempio di bullismo nei confronti di coetanei ed adulti, ripresi e postati come “trofei”, talvolta minimizzati, quasi giustificati da genitori che non vogliono vedere la gravità dell’accaduto».

Episodi che nascono forse dal bisogno di “essere visti”, e qui entriamo nell’uso che i giovani fanno del web come strumento di relazione.

«Quanti follower hai? Nell’era dei social network e dei social media sembra che il successo di una persona, di un progetto, di un prodotto o di un’idea dipenda unicamente dal numero di follower e di like che riescono a collezionare: “se non posti non sei/non fai”.

Anche Amadeus al Sanremo di quest’anno si è fatto convince- re dalla top influencer Ferragni ad aprire un nuovo profilo su Instagram e ha coinvolto il pubblico del Festival nella conta dei nuovi amici virtuali che il conduttore ha avviato nelle sera- te più chiacchierate dei nostri palinsesti televisivi italiani.

Del resto, se qualcuno ti followa, vuol dire che ti segue e se ti segue vuol dire che “ti vede”!»

La maggior parte della Generazione Z accusa quelle precedenti di non aver preservato ma lasciato un mondo
in cui vivere è diventato difficile, come se avvertisse la necessità di salvarsi da sola, tagliando col passato e creando nuovi paradigmi, nuovi linguaggi. Intercettare i loro pensieri non è semplice.

«Ma non impossibile. “Io ti vedo” desiderano sentirsi dire. Essere visti e riconosciuti infondo non è il bisogno che tutti noi abbiamo? Se l’essere visti passa solamente attraverso quell’appendice che ormai ciascuno di noi maneggia continua- mente durante il giorno, il nostro telefono, le app e i social, essa diventa il principale strumento per raggiungere l’obiettivo. Ma se ci fossero anche altri modi? La prima volta che ho visto Avatar (il film di James Cameron) ricordo quanto mi abbia colpito quell’“io ti vedo” con cui i protagonisti si salutano. “I see you” – io ti vedo – “It’s not just ’I’m seeing you in front of me’; it’s: ‘I see into you, I accepted you, I understand you’” – “Non è ‘ti vedo di fronte a me’; è ‘io vedo dentro di te, ti accetto, ti capisco’”. Un nuovo modo di vedere “l’altro” e di connettersi con lui».

Diventa urgente cercare soluzioni inserendo elementi che possano ingaggiare gli adulti e i giovani, sarebbe un ottimo modo per far incontrare passato e presente.

«Se come adulti fossimo più capaci, nella complessità delle nostre quotidianità, di “vedere” i nostri figli e i figli delle comunità in cui viviamo – questi avrebbero meno bisogno di gesti plateali per richiamare la nostra attenzione e quella dei loro coetanei (che, ahimè, a loro volta non vedono e non li vedono!). Forse la comunità educante inizia da qui. Da un “Io ti vedo” che non sia di corsa, che non sia superficiale, che non sia scontato… Gli adolescenti di oggi sono sempre di più supereroi fragili, all’apparenza forti e invincibili, nella realtà nascondono insicurezze e vulnerabilità».

Una Comunità Educante più consapevole, fatta di adulti, genitori, educatori, insegnanti, allenatori, guide capaci di invertire la rotta…

«Bisogna essere consapevoli che si nasce figli ma che genitori si diventa giorno dopo giorno, insieme ai nostri figli che crescono, at- traverso le piccole conquiste quotidiane e l’alleanza educativa che riusciamo a creare di accompagnamento alla crescita, che significa dare amore (“Io ti vedo”), sicurezza (fondamentale!), ruoli distinti (io sono l’adulto) e confini precisi (i “no” aiutano a crescere). Non esistono genitori perfetti e non è questo a cui dobbiamo aspi- rare. Serve piuttosto essere una mamma (un papà, un genitore) sufficientemente buona, spontanea, autentica, come ci insegna il famoso psicanalista inglese Donald Winnicot. Con le proprie ansie e preoccupazioni, stanchezze e sensi di colpa, cercando di trasmet- tere sicurezza e amore.

Così come si diventa insegnanti ed educatori nelle sfide quoti- diane, condividendo con bambini e giovani un percorso dove si apprendono conoscenze (il sapere), competenze (saper fare), soft skill (saper essere) e la necessità di continuare ad imparare (saper diventare). Occorre una forte alleanza educativa tra scuola, famiglia e Comunità Educante, per invertire la rotta: lavorare insieme per avere meno “supereroi” ma rendere questi figli, questi alunni, questi ragazzi, meno fragili».

Quale può essere la chiave di volta per “sopravvivere” più serenamente in questo periodo storico così complesso?

«Essere visti e viste, essere riconosciuti come persone, per quello che siamo e non per le caratteristiche che abbiamo. Essere consapevoli che ciò che siamo ci unisce e ciò che abbiamo (storie, provenienze, caratteristiche, desideri, culture, posizioni sociali) ci rende diversi e unici.

Essere e Avere sono due parole che mi sono particolarmente care. Nella mia quotidianità di direttrice di una Fondazione che da cento anni si oc- cupa di educazione e da cinquanta ha come cuore pulsante progetti e ser- vizi per persone con disabilità, diamo molta importanza al linguaggio che utilizziamo. Chiedo di non usare più il termine “disabili” e di sostituirlo con “persone con disabilità” a cui prima riconosciamo il diritto di essere un bambino, una donna, un adulto, un anziano… con desideri, aspettative, bisogni che vengono prima della sua disabilità! Con questa consapevolezza potremmo diventare i primi follower di noi stessi, dei nostri figli e dei nostri ragazzi e valorizzare le relazioni come la nostra vera e più preziosa ricchezza».

La rete è diventata ormai la sede indiscussa del dibattito sociale, un approccio individualistico meno interessato alle vicende politiche, un nuovo agglomerato di pensiero, fuori dai luoghi del passato.

«Abbiamo passato gli ultimi anni, come generazione di adulti, a delegittimare le istituzioni (scuola, sanità, chiesa, forze dell’ordine…) e la politica. Non sarà forse il caso che riprendiamo a rispettarle e a dar valore a questi pilastri della nostra società perché possano essere punti fermi, certezze, riferimenti più credibili e importanti anche per le nuove generazioni?

I ragazzi che tanto denigriamo per gli atti di bullismo che leggiamo sui giornali sono gli stessi coetanei di Greta Thumberg che lottano per pre- servare l’ambiente, sono i cittadini del mondo che non si danno confini nelle amicizie e nei progetti, sostengono valori e etica che spesso superano ogni nostro “credo”. Forse hanno solo un po’ più bisogno di una Comunità Educante intorno a loro fatta di adulti più consapevoli del proprio ruolo, capaci di “educere”, di tirar fuori il loro vero “essere”. Proviamoci. Io ti vedo, io vi vedo!»

Le generazioni culturali

• Generazione perduta (1883-1900)
• Greatest Generation (1901-1927)
• Generazione silenziosa (1928-1945)
• Baby boomers o “Boomers” (1946-1964)
• Generazione X (1965-1980)
• Generazione Y o “Millennials” (1981-1996)
• Generazione Z o “Centennials”(1997-2012)
• Generazione Alpha o “Screenagers”(2013-oggi)

1copertina

Educare per Contrastare

di Patrizia Salmoiraghi

Perché Soroptimist International Italia deve occuparsi di bullismo e di cyberbullismo?
Perché Soroptimist International Italia
deve occuparsi di educazione?

Patrizia Salmoiraghi, Past Presidente Nazionale
Referente nazionale Progetto SI contrasta il bullismo e il cyberbullismo

La risposta è negli obiettivi di Soroptimist, fra i primi la promozione dei diritti umani, e, fra questi, l’educazione e la formazione delle giovani generazioni.
E se l’educazione è minata da una crisi che va via via degenerando e aggredendo fasce sempre più ampie e più precoci della nostra gioventù, la “società civile” deve misurarsi col problema, investendo forze, risorse, competenze ed energie.
E SII possiede le forze – una squadra di quasi 5.500 donne –, le risorse, capacità progettuali e organizzative, le competenze, le professioni più diverse in collaborazione sinergica, le energie, la forza contrattuale locale e la tenacia e l’entusiasmo delle sue socie.
Ecco dunque la progettualità di “SI contrasta il Bullismo e il Cyberbullismo”, che in primo luogo parte da una guida per genitori e docenti, nata dal lavoro di un gruppo (di studio sull’argomento e di azione per l’operatività), formato da socie professioniste in sinergia, gruppo che si è ingrandito ogni volta che abbiamo capito che occorrevano un’altra voce, un’altra prospettiva, altre competenze.
E a questo gruppo si sono poi aggiunte altre e diversificate collaborazioni, che vanno a formare quella che abbiamo chiamato la nostra task force contro il bullismo e il cyberbullismo. Su richiesta di alcuni club la nostra task force ha sviluppato, nella speranza che possano essere utili a tutti, proposte operative mirate su target di adulti (docenti, genitori) o di scolari e studenti che potranno essere realizzate nelle scuole e nelle associazioni: brevi video di informazione e di formazione, percorsi didattici differenziati guidati da una nostra esperta e attività integrate.

Questi esperti/e sono a disposizione per sviluppare percorsi operativi, rispondere a domande sull’argomento, risolvere dubbi e sostenere le attività nelle scuole e/o in altri ambiti interessati (consultori, associazioni genitori, scout …).

La guida contro il bullismo
1personaggi-coppia

Le Forze di Polizia e il cyberbullismo

di Silvia Nanni
Ispettrice Polizia di Varese
esperta in contrasto alla violenza

Il disagio e la devianza minorile, il bullismo nella sua forma cibernetica insidiosa e difficile da “decodificare” sono tra le emergenze del nostro tempo che, ormai quotidianamente, le Forze di Polizia sono chiamate ad arginare. L’utilizzo sempre più massiccio delle tecnologie, il web e la sua indiscriminata capacità di diffusione immediata di immagini e giudizi sommari, le innumerevoli insidie del mondo virtuale hanno provocato cambiamenti epocali e di conseguenza la necessità di una formazione “specialistica, multiprofessionale e sinergica” per i professionisti della Giustizia, del Diritto, dell’Ordine e della Sicurezza pubblica. Il cyberbullismo è una forma di devianza messa in atto tramite l’utilizzo del mezzo tecnologico che si manifesta attraverso azioni intenzionali offensive e violente, comportamenti aggressivi, prevaricazioni e oppressioni psicologiche reiterate nel tempo, perpetrate da un giovane che si ritiene più forte o da un gruppo di giovani ai danni di un altro percepito come più debole. La vittima è spesso un coetaneo fragile anche nell’aspetto fisico, generalmente incapace di difendersi. L’intenzione dell’autore di cyberbullismo è in primo luogo quella di incutere timore − anche in coloro che restano spettatori della vicenda − perché agire con violenza e imporre la propria autorità lo fa sentire superiore agli altri, capace di avere tutto e tutti sotto controllo. L’anonimato che molte piattaforme consentono e l’effetto moltiplicatore delle azioni denigratorie e violente che possono essere guardate e riguardate in rete da chiunque, a qualsiasi ora e in qualsiasi parte del pianeta rendono il cyberbullo addirittura più pericoloso del bullo tradizionale. Come è noto, il nostro Codice Penale non contempla i reati di bullismo e cyberbullismo, ma i comportamenti che caratterizzano i due fenomeni presentano molte analogie con il reato di “Stalking o Atti persecutori”, introdotto dal Legislatore nel 2009 all’art. 612 bis c.p.: una fattispecie criminosa che si configura a fronte di condotte assillanti e ossessionanti.
Il termine Stalking è tratto dal lessico anglosassone e significa accerchiare la preda senza lasciarle via di scampo con vessazioni, offese, continue ricerche di contatto, appostamenti virtuali.
È quanto subisce la vittima di cyberbullismo accerchiata e perseguitata mediante dinamiche dolorose e subdole che troppo spesso prendono vita tra le mura scolastiche e “si nutrono” delle relazioni e dei silenzi di chi è più fragile con conseguenze che incidono prepotentemente sul suo equilibrio psicofisico. Quando i comportamenti del cyberbullo sono penalmente rilevanti è necessario informare senza ritardo le Forze di Polizia. Gli operatori della Questura, del Commissariato di P.S., del presidio dei Carabinieri più vicino, oppure direttamente gli specialisti della Polizia Postale a cui sono affidati il monitoraggio della rete e la prevenzione e il contrasto del crimine informatico, diventano quindi referenti privilegiati per ogni insegnante, per ogni genitore, per ogni educatore e operatore del sociale che deve fronteggiare il fenomeno. L’intervento tempestivo da parte del personale di uno degli Uffici di Polizia Giudiziaria preposti e presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale favorirà infatti l’interruzione delle dinamiche gravemente pregiudizievoli, consentirà di tutelare rapidamente il minore vittima, di individuare i responsabili e di ripristinare l’uso corretto della Rete. Gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria chiamati ad operare in prima linea contro bullismo e cyberbullismo hanno oggi più che mai una formazione “dedicata” e sono pronti ad interagire con vittime e autori coniugando preparazione tecnica e capacità di empatia, comprensione e riconoscimento dei sentimenti e delle emozioni proprie e altrui. Strumento prezioso nelle azioni volte a prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo è senza dubbio l’Ammonimento del Questore introdotto all’art. 7 della Legge 71 del 2017: un provvedimento amministrativo con lo scopo di bloccare l’escalation delle condotte con cui uno o più minori ledono via web altri minori. È un atto attraverso il quale un giovane vittima di condotte bullistiche in Rete (ingiurie, diffamazioni, minacce, ricatti, furto d’identità…) in presenza di un genitore o esercente la potestà genitoriale può presentare all’Autorità di Pubblica Sicurezza la richiesta di ammonire il minore autore. L’Ufficiale di Pubblica Sicurezza convocherà quindi il cyberbullo (unitamente ad almeno un genitore o esercente la responsabilità genitoriale) al fine di ingenerare in lui la consapevolezza del disvalore delle condotte agite e intimare il cessare di ogni azione vessatoria. Il provvedimento ha una connotazione preventiva e mira a coinvolgere i genitori nel cammino di presa di coscienza del giovane ammonito.
Per prevenire efficacemente le dolorose dinamiche del bullismo e del cyberbullismo che feriscono così profondamente infanzia e adolescenza è comunque essenziale un dialogo costruttivo e continuo a più voci tra famiglia, scuola, servizi sociali, forze di polizia e autorità giudiziaria per individuare e programmare azioni sinergiche e multidisciplinari volte ad intercettare in tempi rapidi gli indicatori di un disagio, a riconoscere e arginare l’immaturità emotiva che muove tanta violenza e a colmare quei vuoti educativi che minano pensieri e cuore di molta gioventù. Un grido di allarme deve farci riflettere: “i social e la Rete sono pieni di giovani che fanno male e si fanno male per riempire le loro solitudini!”… è dunque nostro dovere non lasciarli soli, ma diventare per loro interlocutori preziosi, osservarli, ascoltarli e dialogare con loro in terreni non apertamente conflittuali, comprenderne i reali bisogni e costruire momenti di condivisione. Solo così potremo conoscere e indagare quelle “geografie tecnologiche” che animano molte loro solitudini: gli accessi on line, le frequentazioni, le mode, le sfide che temono… e guidarli verso un utilizzo adeguato, consapevole e virtuoso della Rete.

COMMUNITY2

I progetti dei Club sul Bullismo

Club di Como

Progetto “Bullout 2.0”

di Matilde Pellerin

Il club di Como ha cominciato a occuparsi di lotta e contrasto al bullismo e al cyberbullismo nel 2017 e, poco dopo l’avvio del progetto, è stata costituita la Rete Provinciale sul tema della quale fa parte e che comprende attualmente 40 scuole (27 istituti comprensivi e 13 scuole secondarie di secondo grado) oltre ad associazioni ed enti formativi.

Il volantino del lancio del Progetto


Il club di Como si è rivolto a Pepita Onlus, una cooperativa sociale con esperienza ventennale e composta da professionisti del settore educativo, perché strutturasse un progetto di intervento nelle scuole per fronteggiare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Una socia del Club aveva avuto occasione di conoscere l’attività di Pepita Onlus, ha condiviso l’esperienza, la cooperativa è stata interpellata e il progetto del Club di Como ha preso forma.
Poco dopo l’inizio degli interventi nelle scuole, nel 2017 è stato vinto il primo Bando regionale per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo: la disponibilità di risorse economiche in più rispetto a quelle stanziate dal Club di Como ha consentito di ampliare l’intervento, proponendolo ad altre classi rispetto a quelle originariamente coinvolte.
Dal 2017 a oggi il Club di Como con la Rete provinciale e le realtà ad essa afferenti lavorano con le scuole su questo tema drammaticamente attuale.
Quest’anno il progetto “BullOut 2.0” ha preso avvio a marzo (due mesi dopo il previsto a causa dell’emergenza pandemica) e le scuole destinatarie sono state scelte tra quelle che non avevano mai beneficiato di questo tipo di interventi ovvero che avevano segnalato problematiche specifiche.
In totale per quest’anno si interverrà in 11 istituti comprensivi e in 6 scuole secondarie di secondo grado. Il progetto si articola su tre punti:
sensibilizzazione/formazione della comunità scolastica (studenti, docenti, genitori);
costituzione di un team operativo con il compito di supportare le vittime di atti di bullismo o cyberbullismo;
promozione di programmi di recupero rivolti agli autori di atti di bullismo e cyberbullismo.
I corsi sono tenuti da Pepita Onlus per le scuole secondarie di primo e secondo grado e da Cooperativa Attivamente per le scuole primarie. 
Pepita Onlus dedica a ciascun Istituto 6 ore, ovvero un percorso di 3 incontri per ciascuna classe, selezionata dal docente referente del bullismo come più idonea alla proposta. 
I topic e gli obiettivi degli appuntamenti educativi sono:
promuovere la consapevolezza di far parte di una rete di relazioni e la coscienza di vivere un ambiente digitale, approfondendone le principali caratteristiche (pubblico/privato, reputazione digitale, opportunità e rischi nella Rete);
riflettere sul linguaggio e sulle parole usate nell’ambiente digitale;
sviluppare pensiero e spirito critico rispetto ai modelli promossi dalla Rete (influencer, testimonial, challenge);
rendere coscienti gli studenti circa alcuni comportamenti abituali ma non corretti o etici, anche analizzando gli aspetti giuridici (imputabilità, responsabilità dei genitori/tutori, ammonimento);
incentivare il dialogo con gli adulti di riferimento quando si è vittime o si assiste a episodi di cyberbullismo, contrastando l’omertà.
La metodologia di interazione è attiva e partecipativa: non si basa sulla trasmissione di concetti, ma sull’emersione collettiva di istanze sociali e sulla co-creazione con i beneficiari di un sistema di valori condiviso. La conduzione è facilitata dal ricorso a strumenti audiovisivi, video-testimonianze, attivazioni ludiche, simulazioni, giochi di ruolo, giochi cooperativi, laboratori. 
Sui medesimi spunti e nelle logiche del supporto alla genitorialità e alla didattica si sviluppa l’offerta agli adulti di riferimento del ciclo secondario di II grado: sono organizzati gli incontri formativi per i docenti e gli appuntamenti di sensibilizzazione per i familiari.

Un momento del convegno


A chiusura del progetto, il Club di Como di solito organizza un evento che vede coinvolti i ragazzi, le scuole e i genitori per lasciare a tutti i giovani che hanno lavorato con serietà ed impegno sul tema un segno concreto di stima.
Ora che la lotta al bullismo e al cyberbullismo è assurta a progetto nazionale dell’Unione, il Club di Como è lieto di poter dire che è stato pionieristico e con vero piacere condivide con tutti i Club d’Italia la propria esperienza.

Mabasta

MABASTA

Le proposte dal mondo dei giovani

di Silvia Di Batte

MaBasta è un movimento anti bullismo ideato nel 2016 da un gruppo di studenti pugliesi di una classe di prima superiore.
Ad animarlo è Mirko, oggi ventenne, che ha condotto e conduce la sua battaglia contro il bullismo con i suoi compagni di classe.
La decisione di “fare qualcosa” scaturisce da un episodio riportato da tutti i media nazionali, il tentato suicidio di una dodicenne di Pordenone, “bullizzata” dai suoi compagni.
Mirko e i suoi amici decidono allora di lanciare un progetto che si basa su azioni concrete, una specie di metodo “comportamentale” per prevenire, contrastare e debellare ogni forma di bullismo e cyberbullismo.
Subito dopo l’annuncio, la notizia è rimbalzata di quotidiano in quotidiano, in radio e in televisione. Tanto che il Presidente Mattarella ha concesso ai ragazzi di MaBasta la medaglia di Alfiere della Repubblica.
I ragazzi di MaBasta sono molto attivi nelle scuole di tutto il paese, hanno creato un sito web (www.mabasta.org) e stanno progettando di trasformarsi da semplice movimento studentesco in impresa sociale.

Mirco, l’animatore di Mabasta

Il Modello MaBasta: sei semplici azioni contro il bullismo
(Riportiamo in estrema sintesi quanto pubblicato sul sito www.mabasta.org)

  1. Il Mabasta Prof, un professore scelto dai ragazzi di ogni classe che ascolti e osservi i comportamenti.
  2. Il MaBa test: un questionario anonimo da sottoporre alla classe per sondare la situazione.
  3. Il Bullizziotto di classe, eletto dai ragazzi, che ha il compito di tenere gli occhi aperti per prevenire e contrastare il fenomeno.
  4. Il Bullibox, un’urna dove imbucare segnalazioni in forma anonima, gestito dal MaBasta Prof.
  5. Il MabaDAD, cioè il bullibox digitale, attivo sul sito del Movimento, dove poter fare segnalazioni anonime e attivare tutte le procedure necessarie.
  6. Ottenimento del titolo di Classe debullizzata, obiettivo che si può raggiungere quando la classe è consapevole di essere riuscita a combattere e vincere ogni forma di bullismo.
4Chiara-Massazza

Il bullismo al femminile

di Chiara Massazza, Psicologa, Club Ticino Olona

Ci siamo, forse, un po’ abituati a pensare che atteggiamenti prevaricatori, tipici di quello che viene chiamato comunemente ‘bullismo’, siano più frequenti in ambito maschile. In realtà così non è e, in particolare negli ultimi anni, si registra un forte incremento di casistica femminile, sia nei panni di ‘bulla’, sia in quelli di ‘vittima’.
Quali sono, allora, le principali differenze?
I comportamenti di prevaricazione attuati dalle bambine e dalle ragazze sono tendenzialmente meno fisici rispetto a quelli agiti dai maschi. La tipologia di violenza che viene esercitata si concentra, infatti, su aspetti sociali e relazionali, come ad esempio diffamazione, derisione, esclusione, minacce, ricatti: il bullismo femminile è meno materiale e possiamo definirlo, quindi, soprattutto indiretto. Questo anche perché, socialmente e tra pari, l’aggressività fisica esercitata da parte di individui di genere femminile è meno accettata, pertanto vengono sviluppate altre forme di espressione di rabbia o prevaricazione.
La modalità di interazione tipica tra bambine e ragazze si caratterizza, poi, anche per la maggiore attivazione della sfera emotiva che si esprime soprattutto attraverso le relazioni sociali create e mantenute nel tempo.
Quindi, se dovessimo stilare un profilo della bulla potremmo dire che, di solito, gode di particolare popolarità tra i pari e a scuola, ha facilità nell’instaurare rapporti e reti sociali (a prescindere dai metodi utilizzati), è capace di dettare tendenze e riesce ad ottenere molto seguito. Questi aspetti caratterizzano anche le dinamiche maschili, ma l’appartenenza ad un gruppo e l’accettazione sociale sono aspetti maggiormente prioritari per le ragazze. Avviene pertanto che molto del seguito ottenuto dalla bulla sia dovuto principalmente alla paura di ricoprire il ruolo di vittima se le si è, invece, contro. Nei maschi, diversamente, il gruppo e il seguito si creano soprattutto per condivisione di obiettivi e interessi. D’altro canto, ha maggiore probabilità di diventare vittima chi presenta alti livelli di sensibilità ed emotività, scarse autostima e popolarità, timidezza e maggiore difficoltà ad esprimere e sostenere proprie idee ed opinioni.
È stato rilevato che le ragazze proteggono la vittima con maggiore frequenza rispetto ai coetanei maschi, probabilmente anche in considerazione delle maggiori capacità empatiche femminili: la difesa tendenzialmente avviene sul medesimo livello su cui si verifica la prevaricazione, tanto è vero che nel bullismo femminile viene attuata attraverso strategie relazionali, strategiche e dialogiche piuttosto che di aggressione fisica.
Infine, è interessante notare che bambine e ragazze tendono anche a rivolgersi agli adulti in ricerca di aiuto per le vittime più spesso dei maschi. In particolare, se il rapporto con gli insegnanti è caratterizzato da apertura, confidenza e possibilità di espressione, la segnalazione di atteggiamenti violenti o di prevaricazione avviene, comprensibilmente, con maggiore facilità.

Fabiola-Silvestri

Intervista a FABIOLA SILVESTRI

Dirigente della Polizia Postale e delle Telecomunicazioni di Piemonte e Valle d’Aosta

di Luigina Pileggi

Cyberbullismo in aumento, crescono i reati verso i minori

Sono nativi digitali. Abilissimi a utilizzare lo smartphone ma poi fragilissimi quando le loro immagini vengono condivise in modo scorretto. Il cyberbullismo continua a insidiare la vita dei più giovani, spesso vittime di azioni virtuali che però hanno effetti sulla vita reale. A spiegare il fenomeno, molto diffuso in Italia, è la dottoressa Fabiola Silvestri, dirigente della Polizia Postale e delle Telecomunicazioni di Piemonte e Valle d’Aosta, da anni impegnata contro i reati nella “rete” e soprattutto in campagne di sensibilizzazione nelle scuole.

Dottoressa Silvestri, quali sono i numeri del cyberbullismo in Italia?
Nel 2021 sono stati trattati presso gli uffici territoriali della Specialità 464 casi di cyberbullismo, con un aumento percentuale pari al 13% rispetto al 2020.

Ci sono regioni più “colpite” dal fenomeno?
Il fenomeno è trasversale a livello nazionale, fortemente legato ai tempi della vita scolastica (aumenta solitamente alla ripresa delle attività e si affievolisce durante la pausa estiva).

Chi sono in genere le vittime e che età hanno?
La fascia di età che più frequentemente sporge denuncia è rappresentata da ragazzi/e di età compresa tra i 14 e i 17 anni. Giova ricordare che per questa fascia di età esiste la possibilità di sporgere una denuncia anche in assenza dei genitori, elemento che può agevolare le vittime nel cercare una tutela non esponendosi al giudizio o all’imbarazzo di dirsi vittime di fronte ai genitori. Sorprende osservare che ci sono denunce di casi che riguardano vittime piccolissime di età inferiore ai 9 anni. Tale dato è un trend a cui si assiste già da qualche anno e che può essere riconnesso alla recente anticipazione dell’approccio dei bambini alle nuove tecnologie come effetto indiretto della pandemia da covid19.

Non tutti riescono però a denunciare…
È molto probabile che il numero oscuro di casi di cyberbullismo sia ancora molto alto in considerazione del fatto che i ragazzi tendono a voler risolvere a modo loro le conflittualità che si affacciano in rete. Il fenomeno del cyberbullismo inoltre è caratterizzato da una reiterazione delle azioni di prepotenza online e non è infrequente che, qualora la situazione riguardi ragazzi non imputabili (di età inferiore a 14 anni), la scuola o i genitori riescano ad intercettare il problema, dandone risoluzione senza che siano commessi reati.

Qual è l’impegno della Polizia di Stato nella lotta contro il cyberbullismo?
La Polizia Postale incontra quotidianamente migliaia di ragazzi e insieme a loro, con un dialogo aperto e fatto di linguaggi appetibili per loro, li conduce in una riflessione su come agire in rete in modo sicuro e legale. La campagna itinerante “Una vita da social” e la campagna teatrale “Cuori Connessi” sono solo due delle iniziative sistematiche realizzate secondo una logica di sinergia con istituzioni e privato attivo per la protezione dei minori, che capitalizzano l’impegno della Polizia di Stato nel creare occasioni di promozione della legalità presso i ragazzi.

Cosa dovrebbero fare genitori, insegnanti, educatori?
È importante che genitori, insegnanti ed educatori considerino questo rischio un tema importante del dialogo con i ragazzi, offrendo innanzitutto un’opportunità ostinata di ascolto e mostrando interesse per un mondo, quello online, che ha per le nuove generazioni un’importanza determinante. Banalizzare con il termine ragazzata o scherzo una presa in giro online che arriva a centinaia di coetanei rischia spesso di indurre l’idea che il rispetto dell’altro sia un valore vuoto in rete e il dolore di chi subisce inconsistente. La vittima è reale, pertanto è fondamentale che genitori insegnanti e caregivers in generale siano in grado di accogliere la richiesta di aiuto considerando le interazioni “virtuali” come elementi reali che attentano alla integrità e serenità dei minori.

3Elena-Ferraraweb

Intervista a ELENA FERRARA* Senatrice Legislatura 2013-2017

di Silvia Ruspa

Legge 71/2017
Primo provvedimento in Europa contro il cyberbullismo

Nata a Brescia, ma novarese d’adozione,
è stata eletta senatrice nel 2013.
È stata la prima firmataria
della legge 71/2017 di contrasto
al fenomeno del cyberbullismo

Il 7 febbraio2022, in occasione della giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo la Garante per l’Infanzia e Adolescenza ha presentato la traduzione del Commento Generale n. 25 dell’ONU del 2021 “sui diritti dei minori in ambiente digitale”. Alla luce di questo nuovo documento è ancora valida la sua legge datata 2017?

Ormai quasi dieci anni fa ho iniziato a interessarmi del fenomeno del cyberbullismo e ho sempre ritenuto urgente un aggiornamento della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rispetto al rinnovato contesto dell’era digitale. L’uso massivo delle tecnologie durante la pandemia e la maggiore consapevolezza di rischi e opportunità hanno creato nuove condizioni d’urgenza per la tutela dei minori sul web. L’attenzione ad un sano rapporto minori/new media deve evitare ulteriori fonti di disagio in un momento così segnato da eventi drammatici come quello che stiamo vivendo.
La Legge 71/17 è perfettamente allineata al Commento ONU ma non solo: quale prima legge di contrasto al fenomeno del cyberbullismo in Europa con il suo approccio educativo e preventivo, ispirato al diritto mite e partecipativo, ha avuto un ruolo di apripista prevedendo sistemi strutturali e coordinati di intervento ai diversi livelli di amministrazione e mettendo la scuola, quindi i ragazzi, al centro della strategia nazionale di contrasto a questa nuova piaga psico-sociale. Nel 2018 presentai a Strasburgo, in commissione Diritti Infanzia del Parlamento Europeo, i contenuti della legge italiana in funzione della stesura della raccomandazione europea – Rec CM (2018)7 – sui diritti dei minori in internet.

Intervista a Gemma Gualdi

Un fenomeno senza limiti di età

di Cinzia Grenci

Tra i giovani è aumentato il disagio psichico, lo stato di prostrazione che ha indotto molti ad isolarsi ancora di più. Ma anche gli adulti ne sono affetti,
a volte con conseguenze estreme.

Offese, vessazioni, abusi, aggressioni fisiche e psicologiche che costringono le vittime, perlopiù giovanissime, a isolarsi, a chiudersi in se stesse, a sperimentare una condizione di vera e propria depressione che può portare fino a conseguenze estreme. Il bullismo e il cyber bullismo alimentano quotidianamente le cronache. Siamo di fronte a una nuova emergenza a giudicare dal numero di episodi e dalla loro crescente gravità.
Di questo vogliamo parlare con Gemma Maria Gualdi, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano, magistrato di grande esperienza e particolarmente attenta a questo fenomeno.

Chiariamo subito. Come possiamo definire il bullismo e il cyberbullismo?

Ci riferiamo ad una serie di condotte di prevaricazione, violenza e molestie esercitate, nella gran parte dei casi da un gruppo (il branco), ai danni di qualcuno considerato più debole. Le caratteristiche principali di questi comportamenti sono la reiterazione, cioè il loro ripetersi continuo, l’aggressione fisica o psicologica in ragione dell’appartenenza della vittima predestinata a una etnia, a una classe sociale, del suo aspetto fisico o del suo orientamento sessuale o di una sua disabilità.
Il cyberbullismo è una condotta analoga realizzata però attraverso la rete, quindi mediante i social, il telefonino, i messaggi, le mail, spesso attraverso account anonimi o false generalità che si crede possano garantire un’invisibilità e dunque l’impunità. Ma abbiamo nelle forze di polizia competenze elevatissime che riescono comunque a individuarne le reali identità.

È vero che non esiste un reato di bullismo, ma certo, queste condotte configurano comunque una ampia serie di illeciti penali.
I reati che si commettono sono tanti: molestie, minacce, lesioni, diffamazione, atti persecutori, danneggiamento, furti ed estorsioni, incendio (specie tra adulti), fino all’induzione di atti di autolesionismo e all’istigazione al suicidio. Sulla rete anche quelli di sostituzione di persona, furto di identità e diffamazione aggravata (perché si raggiunge un gran numero di persone).

Quando parliamo di bullismo e cyberbullismo pensiamo al mondo giovanile, ma in realtà queste condotte non conoscono limiti di età.
Certo, pur con alcune differenze. C’è una sorta di gradualità, ma il fenomeno riguarda gli adolescenti come gli adulti. È frutto della medesima cultura del dominio sull’altro attraverso atti persecutori che sovente creano uno stato di perdurante ansia e paura, costringendo la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita. E in taluni casi, purtroppo, hanno conseguenze estreme come l’omicidio.