FASANO-NUOVA

La città dei 15 minuti

di Laura Fasano

Abitare la prossimità: dolce utopia o nuova sfida? La pandemia ha cambiato il modo in cui viviamo in città, gli spazi urbani sono in crisi. E si parla sempre più di un modello di progettazione urbana con alla base l’idea che ogni servizio essenziale debba essere raggiungibile con una passeggiata lunga o una pedalata, al massimo, in 15 minuti. Mai come ora, in questo periodo in cui siamo così concentrati su ciò che è locale, ci sembra importante la sensazione di essere connessi e sostenuti. Il 2020 ha portato molte cose, la maggior parte delle quali inaspettate e indesiderate, ma l’attenzione sul luogo dove viviamo sta al cuore di ciò che ci è stato consegnato da questo momento introspettivo. Mai prima d’ora siamo stati costretti a immergerci nelle nostre comunità e a sollevare il velo su ciò che costituisce veramente i nostri quartieri. L’interconnessione tra il progetto delle nostre città e la felicità dei residenti è un racconto che conosciamo bene, ed è proprio la focalizzazione sulla salute e sulla prosperità che ha portato all’importante narrazione del “quartiere dei 15 minuti”. 

Conciliare le esigenze della città sostenibile, ma anche i nuovi ritmi con altri modi di vivere, di abitare, di lavorare, di godere del tempo libero passa allora attraverso una trasformazione dello spazio urbano ancora fortemente funzionale, con la città centro e le sue diverse specializzazioni verso una città policentrica, sostenuta da 4 componenti principali: la vicinanza, la diversità, la densità e l’ubiquità. È la città del 1/4 dell’ora, dell’iper-prossimità, dell’“accessibile” a tutti e in qualsiasi momento. Quella in cui, in meno di 15 minuti, un abitante può soddisfare i suoi bisogni essenziali di vita. Mettere al centro le persone e le loro esigenze, senza dimenticare l’ambiente, questa la sfida. Un centro urbano che avvicina i servizi, ne semplifica l’accesso, riduce le disuguaglianze e migliora la coesione sociale dando valore ad una nuova dimensione sostenibile di vicinato. I vantaggi di questa nuova città dove tutto è “a portata di mano” sono molteplici: ottimizza gli spostamenti, contribuisce alla riduzione dell’inquinamento, permette il ripensamento dello spazio urbano e ne accelera la trasformazione, incoraggia il movimento, dà nuovo valore al tempo, in sintesi: migliora la vita delle persone e punta a preservare l’ambiente, nel breve e nel  lungo periodo.

Se ti domandassero quale sia la caratteristica della tua città ideale… cosa risponderesti? Più verde? Più ricca di attrazioni? Con più servizi? Per tanti, molti, in questo ultimo periodo la risposta giusta è quella che disegna una città dove si impiega massimo un quarto d’ora del proprio tempo per raggiungere, a piedi o in bicicletta (sicuramente non in macchina) il luogo di lavoro, i bar, il supermercato, il teatro, l’ospedale e tutto ciò che può servire nella propria vita. L’idea non è di certo nuova, venne proposta per la prima volta addirittura nel 1923 in un concorso nazionale di architettura di Chicago per costruire nuovi quartieri residenziali compatti. Ma è con le amministrative del 2020, in piena pandemia, che l’idea, grazie alla riconfermata sindaca di Parigi Anne Hidalgo, ha preso nuovo slancio basandosi sulle proposte di Carlos Moreno, docente di urbanistica presso l’Istitut d’administration  des entreprises  della Sorbona. Ed è proprio seguendo i suoi studi che la città dei 15 minuti ha assunto una concezione diversa dall’idea di prossimità orientandosi soprattutto verso un’impostazione sempre più votata allo sviluppo sostenibile. Il compito di urbanisti e architetti, al giorno d’oggi, non è più quindi soltanto fare in modo che le persone possano raggiungere i luoghi di interesse in poco tempo, a bordo di auto, metro o treni, ma dislocare quegli stessi luoghi più vicini alle persone in modo che possano recarsi a piedi o in bici. Il beneficio, naturalmente, sta nel permettere ai cittadini di muoversi di meno o solo con le proprie gambe, abbattendo di fatto anche le emissioni di gas nocivi per noi e per il nostro pianeta.

“Vivere diversamente significa soprattutto cambiare il nostro rapporto con il tempo, essenzialmente tempo relativo alla mobilità che ha fortemente degradato la qualità della vita – spiega lo stesso Moreno – È tempo di passare dalla pianificazione della città alla pianificazione della vita urbana e trasformare lo spazio cittadino attraverso le sei funzioni sociali essenziali: vivere, lavorare, rifornirsi, prendersi cura di sé, imparare e divertirsi”. 

In Europa c’è già qualcuno che su questo versante primeggia: sono i Paesi Bassi. Attraverso una progettazione efficace del territorio e del suo tessuto economico e commerciale, in Olanda per esempio oltre l’89% degli insediamenti rientrano a pieno titolo nella Città dei 15 minuti.

E in Italia? A che punto siamo? Come in Francia recentemente anche i nostri politici hanno cominciato a pensare all’impostazione della città dei 15 minuti. A Milano per esempio sta prendendo piede la visione di quartieri residenziali, anche lontani dal centro storico, caratterizzati da un’integrazione di servizi e proposte: l’operazione di riqualificazione milanese, in nome della micro mobilità salva tempo, non sarebbe comunque un’impresa facile, visto che servirebbe un restyling completo della metropoli. A Roma la proposta è stata avanzata durante la campagna elettorale dal candidato (poi sindaco) Roberto Gualtieri. Non resta che vedere quanto queste promesse trovino poi concreta attuazione nella realtà. D’altronde la scommessa piace agli italiani: secondo un sondaggio realizzato per Legambiente, diffuso di recente, l’idea incontra molti favori e piacciono persino le politiche di limitazione quasi totale della circolazione di auto e moto. La maggioranza degli intervistati ritiene però al tempo stesso che si tratti di un progetto “non realistico”. La pista è quella giusta, insomma, ma il sospetto che si tratti soltanto di uno slogan (almeno al momento) è altrettanto polare. Ma una cosa è certa: fra i benefici della città dei 15 minuti c’è innanzitutto una migliore qualità della vita grazie al tempo che si risparmia negli spostamenti e una maggiore funzionalità dello spazio urbano, che riduce lo stress e incoraggia il movimento. Non solo, un altro importante punto a favore di questo modo di costruire gli spazi urbani è quello di promuovere un maggior senso di prossimità e di comunità, entrambi riscoperti forzatamente in tempi di pandemia, ma che appaiono sempre più un patrimonio del quale volersi appropriare in pianta stabile, sfruttando al massimo le opportunità offerte in tal senso dalla tecnologia. 

Le città devono e possono rinnovare il proprio significato costruendolo insieme e attorno ai propri cittadini, utilizzando la tecnologia come l’attore abilitante per una urban experience efficace e realizzando una interfaccia che risponda alle differenti nature dei suoi utenti. 

Nel parco Bruno Kreisky sono stati creati posti a sedere in un’area chiaramente organizzata.
ORF/Louis Ebner

Vienna, tutta da vivere

di Elisabetta Heindl, Studentessa di Scienze naturali e Lingue

Vienna è considerata una pioniera nella pianificazione urbana orientata al gender. Sotto il concetto del gender mainstreaming, la città di Vienna si impegna da oltre 15 anni a pianificare l’urbanistica in base alle esigenze quotidiane delle donne.

La “pianificazione di genere” è una strategia di garanzia della qualità nella pianificazione urbana che tiene conto in modo specifico gli interessi e le esigenze dei diversi gruppi sociali. Nei quartieri, non solo il genere ma anche i ruoli sociali e i diversi gruppi sociali, le persone di tutte le età e i diversi contesti culturali sono inclusi nella pianificazione. Era centrale il fatto che tutto il necessario fosse disponibile nelle immediate vicinanze: ambulatori medici, scuole, negozi.

Già 30 anni fa questo concetto veniva chiamato “città delle brevi distanze”. Oggi si parla di “città di 15 minuti”, ed è diventato un concetto riconosciuto a livello internazionale. Questo concetto descrive l’uso di strutture miste attraverso le quali si possono raggiungere tutto ciò di cui si ha bisogno per la vita quotidiana entro i 15 minuti. Una mostra intitolata “Chi possiede lo spazio pubblico? Women’s Everyday Life in the City” ha affrontato per la prima volta il tema del camminare, degli spazi di paura e di benessere, nonché dell’importanza dei parchi e degli spazi verdi per i bambini, gli anziani e le persone che se ne prendono cura.

Inoltre, si tratta di essere in grado di coprire queste distanze in modo confortevole e sicuro. Ad esempio, se i marciapiedi non sono abbastanza larghi da permettere a una carrozzina di camminare accanto a un altro bambino, rappresentano un problema per le giovani famiglie. Anche loro, così come le persone in sedia a rotelle o con deambulatori, trarrebbero beneficio da un maggior numero di rampe nel paesaggio urbano. Anche per i bambini e gli anziani è fondamentale disporre di posti a sedere sufficienti negli spazi pubblici per riposare e trattenersi. Come progetto pilota, queste stesse misure sono state ampliate a Mariahilf.

Le amache del Bruno-Kreisky-Park sono pensate per invitare le persone a soffermarsi. ORF/Louis Ebner

La percezione della sicurezza è un altro aspetto da tenere in considerazione nella pianificazione. Statisticamente, i giovani uomini sono i più frequenti autori e vittime di esperienze di violenza negli spazi pubblici. Le ragazze e le donne, tuttavia, sono molto più frequentemente esposte ad aggressioni e molestie sessuali. L’obiettivo di una pianificazione che risponda alle esigenze di genere è quello di progettare gli spazi pubblici in modo che le persone possano orientarsi facilmente.

Perciò anche nei parchi si è riflettuto sulle esigenze di comfort e sicurezza delle donne e delle ragazze della città. Ad esempio, nel parco Alois Drasche è stata garantita una maggiore sicurezza grazie alla scelta di piantare cespugli bassi e di integrare una migliore illuminazione, che rendono il parco un luogo sicuro soprattutto anche di notte.

Il passaggio nel parco Alois Drasche è illuminato e i cespugli sono tagliati bassi.ORF/Louis Ebner

I luoghi che potenzialmente scatenano il disagio sono chiamati spazi della paura. La sensazione di sicurezza può essere supportata da piani di misure, come l’installazione di specchi, il taglio delle siepi e l’illuminazione dei luoghi.

In questo modo, aumentano anche i parcheggi per le donne in tutta la città. Questi sono collocati in luoghi facilmente visibili, ben illuminati e di solito anche in prossimità di uscite. In questo modo, come donna, ci si sente più sicure nell’ambiente circostante e si può chiedere aiuto rapidamente in caso di emergenza.

In un confronto internazionale, Vienna si distingue soprattutto per la progettazione di parchi sensibili al gender. Alcuni studi hanno dimostrato che a partire dall’età di circa nove anni le bambine trascorrono meno tempo nei parchi. Ciò è dovuto al fatto che le strutture logistiche e sportive erano fortemente orientate alle esigenze dei giovani maschi.

Spesso le ragazze giovane vengono cacciate dalle aree di calcio perché i ragazzi sono dell’opinione che non abbiano diritto di stare qui, un comportamento definito dai sociologi come “il diritto del più forte”. Allo stesso tempo, però, si sapeva dai sondaggi che le ragazze trovavano interessante il calcio, ad esempio. Perciò in alcuni parchi, come nel parco Alois Drasche, i responsabili del parco organizzano regolarmente dei tornei di calcio specialmente per le ragazze.

Progetti speciali Seestadt e Sonnwendviertel

Nelle aree di sviluppo urbano Seestadt e Sonnwendviertel si è cercato di combinare molte di queste misure. Inoltre, in entrambe le aree è stato dato un segnale per quanto riguarda l’intitolazione di strade e piazze: Quasi tutte le strade e le piazze portano il nome di artiste e scienziate. Perché nel resto di Vienna, un numero sproporzionato di luoghi porta il nome di uomini. Kail afferma: “Si può dire che è una politica simbolica, ma è un segnale importante e serve da modello per i bambini e i giovani.

La riprogettazione del Reumannplatz è considerata un progetto modello per la partecipazione dei cittadini. Il prolungamento della linea metro U1 ha reso possibile la rimozione dei binari del tram che dividevano Reumannplatz in due. L’ufficio di pianificazione del paesaggio «tilia» ha pianificato attività con offerte per diversi gruppi. Ad esempio, le persone sono state interrogate sulle loro esigenze in varie sedi con caffè e dolci in diverse lingue.

“Un tema molto importante è il cosiddetto lavoro di cura”, afferma Eva Kail, esperta di pianificazione equa di genere presso il Dipartimento di Urbanistica, in un’intervista rilasciata a Radio Vienna. Si tratta del lavoro domestico e familiare, come i compiti di cura e la casa. Il design della città può sostenere o limitare le persone nel perseguire questo lavoro. Inoltre, ci sono semplicemente interessi diversi. Le ragazze tendono a praticare sport di equilibrio come la pallavolo e a preferire ritiri comunicativi protetti. I progetti modello sono stati realizzati con il coinvolgimento attivo delle ragazze.

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Educare per Contrastare

di Patrizia Salmoiraghi

Perché Soroptimist International Italia deve occuparsi di bullismo e di cyberbullismo?
Perché Soroptimist International Italia
deve occuparsi di educazione?

Patrizia Salmoiraghi, Past Presidente Nazionale
Referente nazionale Progetto SI contrasta il bullismo e il cyberbullismo

La risposta è negli obiettivi di Soroptimist, fra i primi la promozione dei diritti umani, e, fra questi, l’educazione e la formazione delle giovani generazioni.
E se l’educazione è minata da una crisi che va via via degenerando e aggredendo fasce sempre più ampie e più precoci della nostra gioventù, la “società civile” deve misurarsi col problema, investendo forze, risorse, competenze ed energie.
E SII possiede le forze – una squadra di quasi 5.500 donne –, le risorse, capacità progettuali e organizzative, le competenze, le professioni più diverse in collaborazione sinergica, le energie, la forza contrattuale locale e la tenacia e l’entusiasmo delle sue socie.
Ecco dunque la progettualità di “SI contrasta il Bullismo e il Cyberbullismo”, che in primo luogo parte da una guida per genitori e docenti, nata dal lavoro di un gruppo (di studio sull’argomento e di azione per l’operatività), formato da socie professioniste in sinergia, gruppo che si è ingrandito ogni volta che abbiamo capito che occorrevano un’altra voce, un’altra prospettiva, altre competenze.
E a questo gruppo si sono poi aggiunte altre e diversificate collaborazioni, che vanno a formare quella che abbiamo chiamato la nostra task force contro il bullismo e il cyberbullismo. Su richiesta di alcuni club la nostra task force ha sviluppato, nella speranza che possano essere utili a tutti, proposte operative mirate su target di adulti (docenti, genitori) o di scolari e studenti che potranno essere realizzate nelle scuole e nelle associazioni: brevi video di informazione e di formazione, percorsi didattici differenziati guidati da una nostra esperta e attività integrate.

Questi esperti/e sono a disposizione per sviluppare percorsi operativi, rispondere a domande sull’argomento, risolvere dubbi e sostenere le attività nelle scuole e/o in altri ambiti interessati (consultori, associazioni genitori, scout …).

La guida contro il bullismo
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Le Forze di Polizia e il cyberbullismo

di Silvia Nanni
Ispettrice Polizia di Varese
esperta in contrasto alla violenza

Il disagio e la devianza minorile, il bullismo nella sua forma cibernetica insidiosa e difficile da “decodificare” sono tra le emergenze del nostro tempo che, ormai quotidianamente, le Forze di Polizia sono chiamate ad arginare. L’utilizzo sempre più massiccio delle tecnologie, il web e la sua indiscriminata capacità di diffusione immediata di immagini e giudizi sommari, le innumerevoli insidie del mondo virtuale hanno provocato cambiamenti epocali e di conseguenza la necessità di una formazione “specialistica, multiprofessionale e sinergica” per i professionisti della Giustizia, del Diritto, dell’Ordine e della Sicurezza pubblica. Il cyberbullismo è una forma di devianza messa in atto tramite l’utilizzo del mezzo tecnologico che si manifesta attraverso azioni intenzionali offensive e violente, comportamenti aggressivi, prevaricazioni e oppressioni psicologiche reiterate nel tempo, perpetrate da un giovane che si ritiene più forte o da un gruppo di giovani ai danni di un altro percepito come più debole. La vittima è spesso un coetaneo fragile anche nell’aspetto fisico, generalmente incapace di difendersi. L’intenzione dell’autore di cyberbullismo è in primo luogo quella di incutere timore − anche in coloro che restano spettatori della vicenda − perché agire con violenza e imporre la propria autorità lo fa sentire superiore agli altri, capace di avere tutto e tutti sotto controllo. L’anonimato che molte piattaforme consentono e l’effetto moltiplicatore delle azioni denigratorie e violente che possono essere guardate e riguardate in rete da chiunque, a qualsiasi ora e in qualsiasi parte del pianeta rendono il cyberbullo addirittura più pericoloso del bullo tradizionale. Come è noto, il nostro Codice Penale non contempla i reati di bullismo e cyberbullismo, ma i comportamenti che caratterizzano i due fenomeni presentano molte analogie con il reato di “Stalking o Atti persecutori”, introdotto dal Legislatore nel 2009 all’art. 612 bis c.p.: una fattispecie criminosa che si configura a fronte di condotte assillanti e ossessionanti.
Il termine Stalking è tratto dal lessico anglosassone e significa accerchiare la preda senza lasciarle via di scampo con vessazioni, offese, continue ricerche di contatto, appostamenti virtuali.
È quanto subisce la vittima di cyberbullismo accerchiata e perseguitata mediante dinamiche dolorose e subdole che troppo spesso prendono vita tra le mura scolastiche e “si nutrono” delle relazioni e dei silenzi di chi è più fragile con conseguenze che incidono prepotentemente sul suo equilibrio psicofisico. Quando i comportamenti del cyberbullo sono penalmente rilevanti è necessario informare senza ritardo le Forze di Polizia. Gli operatori della Questura, del Commissariato di P.S., del presidio dei Carabinieri più vicino, oppure direttamente gli specialisti della Polizia Postale a cui sono affidati il monitoraggio della rete e la prevenzione e il contrasto del crimine informatico, diventano quindi referenti privilegiati per ogni insegnante, per ogni genitore, per ogni educatore e operatore del sociale che deve fronteggiare il fenomeno. L’intervento tempestivo da parte del personale di uno degli Uffici di Polizia Giudiziaria preposti e presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale favorirà infatti l’interruzione delle dinamiche gravemente pregiudizievoli, consentirà di tutelare rapidamente il minore vittima, di individuare i responsabili e di ripristinare l’uso corretto della Rete. Gli Ufficiali e gli Agenti di Polizia Giudiziaria chiamati ad operare in prima linea contro bullismo e cyberbullismo hanno oggi più che mai una formazione “dedicata” e sono pronti ad interagire con vittime e autori coniugando preparazione tecnica e capacità di empatia, comprensione e riconoscimento dei sentimenti e delle emozioni proprie e altrui. Strumento prezioso nelle azioni volte a prevenire e contrastare il fenomeno del cyberbullismo è senza dubbio l’Ammonimento del Questore introdotto all’art. 7 della Legge 71 del 2017: un provvedimento amministrativo con lo scopo di bloccare l’escalation delle condotte con cui uno o più minori ledono via web altri minori. È un atto attraverso il quale un giovane vittima di condotte bullistiche in Rete (ingiurie, diffamazioni, minacce, ricatti, furto d’identità…) in presenza di un genitore o esercente la potestà genitoriale può presentare all’Autorità di Pubblica Sicurezza la richiesta di ammonire il minore autore. L’Ufficiale di Pubblica Sicurezza convocherà quindi il cyberbullo (unitamente ad almeno un genitore o esercente la responsabilità genitoriale) al fine di ingenerare in lui la consapevolezza del disvalore delle condotte agite e intimare il cessare di ogni azione vessatoria. Il provvedimento ha una connotazione preventiva e mira a coinvolgere i genitori nel cammino di presa di coscienza del giovane ammonito.
Per prevenire efficacemente le dolorose dinamiche del bullismo e del cyberbullismo che feriscono così profondamente infanzia e adolescenza è comunque essenziale un dialogo costruttivo e continuo a più voci tra famiglia, scuola, servizi sociali, forze di polizia e autorità giudiziaria per individuare e programmare azioni sinergiche e multidisciplinari volte ad intercettare in tempi rapidi gli indicatori di un disagio, a riconoscere e arginare l’immaturità emotiva che muove tanta violenza e a colmare quei vuoti educativi che minano pensieri e cuore di molta gioventù. Un grido di allarme deve farci riflettere: “i social e la Rete sono pieni di giovani che fanno male e si fanno male per riempire le loro solitudini!”… è dunque nostro dovere non lasciarli soli, ma diventare per loro interlocutori preziosi, osservarli, ascoltarli e dialogare con loro in terreni non apertamente conflittuali, comprenderne i reali bisogni e costruire momenti di condivisione. Solo così potremo conoscere e indagare quelle “geografie tecnologiche” che animano molte loro solitudini: gli accessi on line, le frequentazioni, le mode, le sfide che temono… e guidarli verso un utilizzo adeguato, consapevole e virtuoso della Rete.

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I progetti dei Club sul Bullismo

Club di Como

Progetto “Bullout 2.0”

di Matilde Pellerin

Il club di Como ha cominciato a occuparsi di lotta e contrasto al bullismo e al cyberbullismo nel 2017 e, poco dopo l’avvio del progetto, è stata costituita la Rete Provinciale sul tema della quale fa parte e che comprende attualmente 40 scuole (27 istituti comprensivi e 13 scuole secondarie di secondo grado) oltre ad associazioni ed enti formativi.

Il volantino del lancio del Progetto


Il club di Como si è rivolto a Pepita Onlus, una cooperativa sociale con esperienza ventennale e composta da professionisti del settore educativo, perché strutturasse un progetto di intervento nelle scuole per fronteggiare il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo. Una socia del Club aveva avuto occasione di conoscere l’attività di Pepita Onlus, ha condiviso l’esperienza, la cooperativa è stata interpellata e il progetto del Club di Como ha preso forma.
Poco dopo l’inizio degli interventi nelle scuole, nel 2017 è stato vinto il primo Bando regionale per la prevenzione e il contrasto del bullismo e del cyberbullismo: la disponibilità di risorse economiche in più rispetto a quelle stanziate dal Club di Como ha consentito di ampliare l’intervento, proponendolo ad altre classi rispetto a quelle originariamente coinvolte.
Dal 2017 a oggi il Club di Como con la Rete provinciale e le realtà ad essa afferenti lavorano con le scuole su questo tema drammaticamente attuale.
Quest’anno il progetto “BullOut 2.0” ha preso avvio a marzo (due mesi dopo il previsto a causa dell’emergenza pandemica) e le scuole destinatarie sono state scelte tra quelle che non avevano mai beneficiato di questo tipo di interventi ovvero che avevano segnalato problematiche specifiche.
In totale per quest’anno si interverrà in 11 istituti comprensivi e in 6 scuole secondarie di secondo grado. Il progetto si articola su tre punti:
sensibilizzazione/formazione della comunità scolastica (studenti, docenti, genitori);
costituzione di un team operativo con il compito di supportare le vittime di atti di bullismo o cyberbullismo;
promozione di programmi di recupero rivolti agli autori di atti di bullismo e cyberbullismo.
I corsi sono tenuti da Pepita Onlus per le scuole secondarie di primo e secondo grado e da Cooperativa Attivamente per le scuole primarie. 
Pepita Onlus dedica a ciascun Istituto 6 ore, ovvero un percorso di 3 incontri per ciascuna classe, selezionata dal docente referente del bullismo come più idonea alla proposta. 
I topic e gli obiettivi degli appuntamenti educativi sono:
promuovere la consapevolezza di far parte di una rete di relazioni e la coscienza di vivere un ambiente digitale, approfondendone le principali caratteristiche (pubblico/privato, reputazione digitale, opportunità e rischi nella Rete);
riflettere sul linguaggio e sulle parole usate nell’ambiente digitale;
sviluppare pensiero e spirito critico rispetto ai modelli promossi dalla Rete (influencer, testimonial, challenge);
rendere coscienti gli studenti circa alcuni comportamenti abituali ma non corretti o etici, anche analizzando gli aspetti giuridici (imputabilità, responsabilità dei genitori/tutori, ammonimento);
incentivare il dialogo con gli adulti di riferimento quando si è vittime o si assiste a episodi di cyberbullismo, contrastando l’omertà.
La metodologia di interazione è attiva e partecipativa: non si basa sulla trasmissione di concetti, ma sull’emersione collettiva di istanze sociali e sulla co-creazione con i beneficiari di un sistema di valori condiviso. La conduzione è facilitata dal ricorso a strumenti audiovisivi, video-testimonianze, attivazioni ludiche, simulazioni, giochi di ruolo, giochi cooperativi, laboratori. 
Sui medesimi spunti e nelle logiche del supporto alla genitorialità e alla didattica si sviluppa l’offerta agli adulti di riferimento del ciclo secondario di II grado: sono organizzati gli incontri formativi per i docenti e gli appuntamenti di sensibilizzazione per i familiari.

Un momento del convegno


A chiusura del progetto, il Club di Como di solito organizza un evento che vede coinvolti i ragazzi, le scuole e i genitori per lasciare a tutti i giovani che hanno lavorato con serietà ed impegno sul tema un segno concreto di stima.
Ora che la lotta al bullismo e al cyberbullismo è assurta a progetto nazionale dell’Unione, il Club di Como è lieto di poter dire che è stato pionieristico e con vero piacere condivide con tutti i Club d’Italia la propria esperienza.

Mabasta

MABASTA

Le proposte dal mondo dei giovani

di Silvia Di Batte

MaBasta è un movimento anti bullismo ideato nel 2016 da un gruppo di studenti pugliesi di una classe di prima superiore.
Ad animarlo è Mirko, oggi ventenne, che ha condotto e conduce la sua battaglia contro il bullismo con i suoi compagni di classe.
La decisione di “fare qualcosa” scaturisce da un episodio riportato da tutti i media nazionali, il tentato suicidio di una dodicenne di Pordenone, “bullizzata” dai suoi compagni.
Mirko e i suoi amici decidono allora di lanciare un progetto che si basa su azioni concrete, una specie di metodo “comportamentale” per prevenire, contrastare e debellare ogni forma di bullismo e cyberbullismo.
Subito dopo l’annuncio, la notizia è rimbalzata di quotidiano in quotidiano, in radio e in televisione. Tanto che il Presidente Mattarella ha concesso ai ragazzi di MaBasta la medaglia di Alfiere della Repubblica.
I ragazzi di MaBasta sono molto attivi nelle scuole di tutto il paese, hanno creato un sito web (www.mabasta.org) e stanno progettando di trasformarsi da semplice movimento studentesco in impresa sociale.

Mirco, l’animatore di Mabasta

Il Modello MaBasta: sei semplici azioni contro il bullismo
(Riportiamo in estrema sintesi quanto pubblicato sul sito www.mabasta.org)

  1. Il Mabasta Prof, un professore scelto dai ragazzi di ogni classe che ascolti e osservi i comportamenti.
  2. Il MaBa test: un questionario anonimo da sottoporre alla classe per sondare la situazione.
  3. Il Bullizziotto di classe, eletto dai ragazzi, che ha il compito di tenere gli occhi aperti per prevenire e contrastare il fenomeno.
  4. Il Bullibox, un’urna dove imbucare segnalazioni in forma anonima, gestito dal MaBasta Prof.
  5. Il MabaDAD, cioè il bullibox digitale, attivo sul sito del Movimento, dove poter fare segnalazioni anonime e attivare tutte le procedure necessarie.
  6. Ottenimento del titolo di Classe debullizzata, obiettivo che si può raggiungere quando la classe è consapevole di essere riuscita a combattere e vincere ogni forma di bullismo.
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Il bullismo al femminile

di Chiara Massazza, Psicologa, Club Ticino Olona

Ci siamo, forse, un po’ abituati a pensare che atteggiamenti prevaricatori, tipici di quello che viene chiamato comunemente ‘bullismo’, siano più frequenti in ambito maschile. In realtà così non è e, in particolare negli ultimi anni, si registra un forte incremento di casistica femminile, sia nei panni di ‘bulla’, sia in quelli di ‘vittima’.
Quali sono, allora, le principali differenze?
I comportamenti di prevaricazione attuati dalle bambine e dalle ragazze sono tendenzialmente meno fisici rispetto a quelli agiti dai maschi. La tipologia di violenza che viene esercitata si concentra, infatti, su aspetti sociali e relazionali, come ad esempio diffamazione, derisione, esclusione, minacce, ricatti: il bullismo femminile è meno materiale e possiamo definirlo, quindi, soprattutto indiretto. Questo anche perché, socialmente e tra pari, l’aggressività fisica esercitata da parte di individui di genere femminile è meno accettata, pertanto vengono sviluppate altre forme di espressione di rabbia o prevaricazione.
La modalità di interazione tipica tra bambine e ragazze si caratterizza, poi, anche per la maggiore attivazione della sfera emotiva che si esprime soprattutto attraverso le relazioni sociali create e mantenute nel tempo.
Quindi, se dovessimo stilare un profilo della bulla potremmo dire che, di solito, gode di particolare popolarità tra i pari e a scuola, ha facilità nell’instaurare rapporti e reti sociali (a prescindere dai metodi utilizzati), è capace di dettare tendenze e riesce ad ottenere molto seguito. Questi aspetti caratterizzano anche le dinamiche maschili, ma l’appartenenza ad un gruppo e l’accettazione sociale sono aspetti maggiormente prioritari per le ragazze. Avviene pertanto che molto del seguito ottenuto dalla bulla sia dovuto principalmente alla paura di ricoprire il ruolo di vittima se le si è, invece, contro. Nei maschi, diversamente, il gruppo e il seguito si creano soprattutto per condivisione di obiettivi e interessi. D’altro canto, ha maggiore probabilità di diventare vittima chi presenta alti livelli di sensibilità ed emotività, scarse autostima e popolarità, timidezza e maggiore difficoltà ad esprimere e sostenere proprie idee ed opinioni.
È stato rilevato che le ragazze proteggono la vittima con maggiore frequenza rispetto ai coetanei maschi, probabilmente anche in considerazione delle maggiori capacità empatiche femminili: la difesa tendenzialmente avviene sul medesimo livello su cui si verifica la prevaricazione, tanto è vero che nel bullismo femminile viene attuata attraverso strategie relazionali, strategiche e dialogiche piuttosto che di aggressione fisica.
Infine, è interessante notare che bambine e ragazze tendono anche a rivolgersi agli adulti in ricerca di aiuto per le vittime più spesso dei maschi. In particolare, se il rapporto con gli insegnanti è caratterizzato da apertura, confidenza e possibilità di espressione, la segnalazione di atteggiamenti violenti o di prevaricazione avviene, comprensibilmente, con maggiore facilità.

Fabiola-Silvestri

Intervista a FABIOLA SILVESTRI

Dirigente della Polizia Postale e delle Telecomunicazioni di Piemonte e Valle d’Aosta

di Luigina Pileggi

Cyberbullismo in aumento, crescono i reati verso i minori

Sono nativi digitali. Abilissimi a utilizzare lo smartphone ma poi fragilissimi quando le loro immagini vengono condivise in modo scorretto. Il cyberbullismo continua a insidiare la vita dei più giovani, spesso vittime di azioni virtuali che però hanno effetti sulla vita reale. A spiegare il fenomeno, molto diffuso in Italia, è la dottoressa Fabiola Silvestri, dirigente della Polizia Postale e delle Telecomunicazioni di Piemonte e Valle d’Aosta, da anni impegnata contro i reati nella “rete” e soprattutto in campagne di sensibilizzazione nelle scuole.

Dottoressa Silvestri, quali sono i numeri del cyberbullismo in Italia?
Nel 2021 sono stati trattati presso gli uffici territoriali della Specialità 464 casi di cyberbullismo, con un aumento percentuale pari al 13% rispetto al 2020.

Ci sono regioni più “colpite” dal fenomeno?
Il fenomeno è trasversale a livello nazionale, fortemente legato ai tempi della vita scolastica (aumenta solitamente alla ripresa delle attività e si affievolisce durante la pausa estiva).

Chi sono in genere le vittime e che età hanno?
La fascia di età che più frequentemente sporge denuncia è rappresentata da ragazzi/e di età compresa tra i 14 e i 17 anni. Giova ricordare che per questa fascia di età esiste la possibilità di sporgere una denuncia anche in assenza dei genitori, elemento che può agevolare le vittime nel cercare una tutela non esponendosi al giudizio o all’imbarazzo di dirsi vittime di fronte ai genitori. Sorprende osservare che ci sono denunce di casi che riguardano vittime piccolissime di età inferiore ai 9 anni. Tale dato è un trend a cui si assiste già da qualche anno e che può essere riconnesso alla recente anticipazione dell’approccio dei bambini alle nuove tecnologie come effetto indiretto della pandemia da covid19.

Non tutti riescono però a denunciare…
È molto probabile che il numero oscuro di casi di cyberbullismo sia ancora molto alto in considerazione del fatto che i ragazzi tendono a voler risolvere a modo loro le conflittualità che si affacciano in rete. Il fenomeno del cyberbullismo inoltre è caratterizzato da una reiterazione delle azioni di prepotenza online e non è infrequente che, qualora la situazione riguardi ragazzi non imputabili (di età inferiore a 14 anni), la scuola o i genitori riescano ad intercettare il problema, dandone risoluzione senza che siano commessi reati.

Qual è l’impegno della Polizia di Stato nella lotta contro il cyberbullismo?
La Polizia Postale incontra quotidianamente migliaia di ragazzi e insieme a loro, con un dialogo aperto e fatto di linguaggi appetibili per loro, li conduce in una riflessione su come agire in rete in modo sicuro e legale. La campagna itinerante “Una vita da social” e la campagna teatrale “Cuori Connessi” sono solo due delle iniziative sistematiche realizzate secondo una logica di sinergia con istituzioni e privato attivo per la protezione dei minori, che capitalizzano l’impegno della Polizia di Stato nel creare occasioni di promozione della legalità presso i ragazzi.

Cosa dovrebbero fare genitori, insegnanti, educatori?
È importante che genitori, insegnanti ed educatori considerino questo rischio un tema importante del dialogo con i ragazzi, offrendo innanzitutto un’opportunità ostinata di ascolto e mostrando interesse per un mondo, quello online, che ha per le nuove generazioni un’importanza determinante. Banalizzare con il termine ragazzata o scherzo una presa in giro online che arriva a centinaia di coetanei rischia spesso di indurre l’idea che il rispetto dell’altro sia un valore vuoto in rete e il dolore di chi subisce inconsistente. La vittima è reale, pertanto è fondamentale che genitori insegnanti e caregivers in generale siano in grado di accogliere la richiesta di aiuto considerando le interazioni “virtuali” come elementi reali che attentano alla integrità e serenità dei minori.

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Intervista a ELENA FERRARA* Senatrice Legislatura 2013-2017

di Silvia Ruspa

Legge 71/2017
Primo provvedimento in Europa contro il cyberbullismo

Nata a Brescia, ma novarese d’adozione,
è stata eletta senatrice nel 2013.
È stata la prima firmataria
della legge 71/2017 di contrasto
al fenomeno del cyberbullismo

Il 7 febbraio2022, in occasione della giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo la Garante per l’Infanzia e Adolescenza ha presentato la traduzione del Commento Generale n. 25 dell’ONU del 2021 “sui diritti dei minori in ambiente digitale”. Alla luce di questo nuovo documento è ancora valida la sua legge datata 2017?

Ormai quasi dieci anni fa ho iniziato a interessarmi del fenomeno del cyberbullismo e ho sempre ritenuto urgente un aggiornamento della Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza rispetto al rinnovato contesto dell’era digitale. L’uso massivo delle tecnologie durante la pandemia e la maggiore consapevolezza di rischi e opportunità hanno creato nuove condizioni d’urgenza per la tutela dei minori sul web. L’attenzione ad un sano rapporto minori/new media deve evitare ulteriori fonti di disagio in un momento così segnato da eventi drammatici come quello che stiamo vivendo.
La Legge 71/17 è perfettamente allineata al Commento ONU ma non solo: quale prima legge di contrasto al fenomeno del cyberbullismo in Europa con il suo approccio educativo e preventivo, ispirato al diritto mite e partecipativo, ha avuto un ruolo di apripista prevedendo sistemi strutturali e coordinati di intervento ai diversi livelli di amministrazione e mettendo la scuola, quindi i ragazzi, al centro della strategia nazionale di contrasto a questa nuova piaga psico-sociale. Nel 2018 presentai a Strasburgo, in commissione Diritti Infanzia del Parlamento Europeo, i contenuti della legge italiana in funzione della stesura della raccomandazione europea – Rec CM (2018)7 – sui diritti dei minori in internet.

Intervista a Gemma Gualdi

Un fenomeno senza limiti di età

di Cinzia Grenci

Tra i giovani è aumentato il disagio psichico, lo stato di prostrazione che ha indotto molti ad isolarsi ancora di più. Ma anche gli adulti ne sono affetti,
a volte con conseguenze estreme.

Offese, vessazioni, abusi, aggressioni fisiche e psicologiche che costringono le vittime, perlopiù giovanissime, a isolarsi, a chiudersi in se stesse, a sperimentare una condizione di vera e propria depressione che può portare fino a conseguenze estreme. Il bullismo e il cyber bullismo alimentano quotidianamente le cronache. Siamo di fronte a una nuova emergenza a giudicare dal numero di episodi e dalla loro crescente gravità.
Di questo vogliamo parlare con Gemma Maria Gualdi, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano, magistrato di grande esperienza e particolarmente attenta a questo fenomeno.

Chiariamo subito. Come possiamo definire il bullismo e il cyberbullismo?

Ci riferiamo ad una serie di condotte di prevaricazione, violenza e molestie esercitate, nella gran parte dei casi da un gruppo (il branco), ai danni di qualcuno considerato più debole. Le caratteristiche principali di questi comportamenti sono la reiterazione, cioè il loro ripetersi continuo, l’aggressione fisica o psicologica in ragione dell’appartenenza della vittima predestinata a una etnia, a una classe sociale, del suo aspetto fisico o del suo orientamento sessuale o di una sua disabilità.
Il cyberbullismo è una condotta analoga realizzata però attraverso la rete, quindi mediante i social, il telefonino, i messaggi, le mail, spesso attraverso account anonimi o false generalità che si crede possano garantire un’invisibilità e dunque l’impunità. Ma abbiamo nelle forze di polizia competenze elevatissime che riescono comunque a individuarne le reali identità.

È vero che non esiste un reato di bullismo, ma certo, queste condotte configurano comunque una ampia serie di illeciti penali.
I reati che si commettono sono tanti: molestie, minacce, lesioni, diffamazione, atti persecutori, danneggiamento, furti ed estorsioni, incendio (specie tra adulti), fino all’induzione di atti di autolesionismo e all’istigazione al suicidio. Sulla rete anche quelli di sostituzione di persona, furto di identità e diffamazione aggravata (perché si raggiunge un gran numero di persone).

Quando parliamo di bullismo e cyberbullismo pensiamo al mondo giovanile, ma in realtà queste condotte non conoscono limiti di età.
Certo, pur con alcune differenze. C’è una sorta di gradualità, ma il fenomeno riguarda gli adolescenti come gli adulti. È frutto della medesima cultura del dominio sull’altro attraverso atti persecutori che sovente creano uno stato di perdurante ansia e paura, costringendo la vittima a cambiare le proprie abitudini di vita. E in taluni casi, purtroppo, hanno conseguenze estreme come l’omicidio.