di Laura Fasano
Abitare la prossimità: dolce utopia o nuova sfida? La pandemia ha cambiato il modo in cui viviamo in città, gli spazi urbani sono in crisi. E si parla sempre più di un modello di progettazione urbana con alla base l’idea che ogni servizio essenziale debba essere raggiungibile con una passeggiata lunga o una pedalata, al massimo, in 15 minuti. Mai come ora, in questo periodo in cui siamo così concentrati su ciò che è locale, ci sembra importante la sensazione di essere connessi e sostenuti. Il 2020 ha portato molte cose, la maggior parte delle quali inaspettate e indesiderate, ma l’attenzione sul luogo dove viviamo sta al cuore di ciò che ci è stato consegnato da questo momento introspettivo. Mai prima d’ora siamo stati costretti a immergerci nelle nostre comunità e a sollevare il velo su ciò che costituisce veramente i nostri quartieri. L’interconnessione tra il progetto delle nostre città e la felicità dei residenti è un racconto che conosciamo bene, ed è proprio la focalizzazione sulla salute e sulla prosperità che ha portato all’importante narrazione del “quartiere dei 15 minuti”.
Conciliare le esigenze della città sostenibile, ma anche i nuovi ritmi con altri modi di vivere, di abitare, di lavorare, di godere del tempo libero passa allora attraverso una trasformazione dello spazio urbano ancora fortemente funzionale, con la città centro e le sue diverse specializzazioni verso una città policentrica, sostenuta da 4 componenti principali: la vicinanza, la diversità, la densità e l’ubiquità. È la città del 1/4 dell’ora, dell’iper-prossimità, dell’“accessibile” a tutti e in qualsiasi momento. Quella in cui, in meno di 15 minuti, un abitante può soddisfare i suoi bisogni essenziali di vita. Mettere al centro le persone e le loro esigenze, senza dimenticare l’ambiente, questa la sfida. Un centro urbano che avvicina i servizi, ne semplifica l’accesso, riduce le disuguaglianze e migliora la coesione sociale dando valore ad una nuova dimensione sostenibile di vicinato. I vantaggi di questa nuova città dove tutto è “a portata di mano” sono molteplici: ottimizza gli spostamenti, contribuisce alla riduzione dell’inquinamento, permette il ripensamento dello spazio urbano e ne accelera la trasformazione, incoraggia il movimento, dà nuovo valore al tempo, in sintesi: migliora la vita delle persone e punta a preservare l’ambiente, nel breve e nel lungo periodo.
Se ti domandassero quale sia la caratteristica della tua città ideale… cosa risponderesti? Più verde? Più ricca di attrazioni? Con più servizi? Per tanti, molti, in questo ultimo periodo la risposta giusta è quella che disegna una città dove si impiega massimo un quarto d’ora del proprio tempo per raggiungere, a piedi o in bicicletta (sicuramente non in macchina) il luogo di lavoro, i bar, il supermercato, il teatro, l’ospedale e tutto ciò che può servire nella propria vita. L’idea non è di certo nuova, venne proposta per la prima volta addirittura nel 1923 in un concorso nazionale di architettura di Chicago per costruire nuovi quartieri residenziali compatti. Ma è con le amministrative del 2020, in piena pandemia, che l’idea, grazie alla riconfermata sindaca di Parigi Anne Hidalgo, ha preso nuovo slancio basandosi sulle proposte di Carlos Moreno, docente di urbanistica presso l’Istitut d’administration des entreprises della Sorbona. Ed è proprio seguendo i suoi studi che la città dei 15 minuti ha assunto una concezione diversa dall’idea di prossimità orientandosi soprattutto verso un’impostazione sempre più votata allo sviluppo sostenibile. Il compito di urbanisti e architetti, al giorno d’oggi, non è più quindi soltanto fare in modo che le persone possano raggiungere i luoghi di interesse in poco tempo, a bordo di auto, metro o treni, ma dislocare quegli stessi luoghi più vicini alle persone in modo che possano recarsi a piedi o in bici. Il beneficio, naturalmente, sta nel permettere ai cittadini di muoversi di meno o solo con le proprie gambe, abbattendo di fatto anche le emissioni di gas nocivi per noi e per il nostro pianeta.
“Vivere diversamente significa soprattutto cambiare il nostro rapporto con il tempo, essenzialmente tempo relativo alla mobilità che ha fortemente degradato la qualità della vita – spiega lo stesso Moreno – È tempo di passare dalla pianificazione della città alla pianificazione della vita urbana e trasformare lo spazio cittadino attraverso le sei funzioni sociali essenziali: vivere, lavorare, rifornirsi, prendersi cura di sé, imparare e divertirsi”.
In Europa c’è già qualcuno che su questo versante primeggia: sono i Paesi Bassi. Attraverso una progettazione efficace del territorio e del suo tessuto economico e commerciale, in Olanda per esempio oltre l’89% degli insediamenti rientrano a pieno titolo nella Città dei 15 minuti.
E in Italia? A che punto siamo? Come in Francia recentemente anche i nostri politici hanno cominciato a pensare all’impostazione della città dei 15 minuti. A Milano per esempio sta prendendo piede la visione di quartieri residenziali, anche lontani dal centro storico, caratterizzati da un’integrazione di servizi e proposte: l’operazione di riqualificazione milanese, in nome della micro mobilità salva tempo, non sarebbe comunque un’impresa facile, visto che servirebbe un restyling completo della metropoli. A Roma la proposta è stata avanzata durante la campagna elettorale dal candidato (poi sindaco) Roberto Gualtieri. Non resta che vedere quanto queste promesse trovino poi concreta attuazione nella realtà. D’altronde la scommessa piace agli italiani: secondo un sondaggio realizzato per Legambiente, diffuso di recente, l’idea incontra molti favori e piacciono persino le politiche di limitazione quasi totale della circolazione di auto e moto. La maggioranza degli intervistati ritiene però al tempo stesso che si tratti di un progetto “non realistico”. La pista è quella giusta, insomma, ma il sospetto che si tratti soltanto di uno slogan (almeno al momento) è altrettanto polare. Ma una cosa è certa: fra i benefici della città dei 15 minuti c’è innanzitutto una migliore qualità della vita grazie al tempo che si risparmia negli spostamenti e una maggiore funzionalità dello spazio urbano, che riduce lo stress e incoraggia il movimento. Non solo, un altro importante punto a favore di questo modo di costruire gli spazi urbani è quello di promuovere un maggior senso di prossimità e di comunità, entrambi riscoperti forzatamente in tempi di pandemia, ma che appaiono sempre più un patrimonio del quale volersi appropriare in pianta stabile, sfruttando al massimo le opportunità offerte in tal senso dalla tecnologia.
Le città devono e possono rinnovare il proprio significato costruendolo insieme e attorno ai propri cittadini, utilizzando la tecnologia come l’attore abilitante per una urban experience efficace e realizzando una interfaccia che risponda alle differenti nature dei suoi utenti.