Una due giorni di convegno sulle PARI OPPORTUNITÀ –
24-25 marzo 2023 Museo Diocesano e Capitolare Terni
di Silvia Ruspa
Il convegno che si è tenuto a Terni, ha mirato ad approfondire le tematiche dell’obiettivo 5 dell’ agenda 2030, divario di genere e diritti umani. Promosso dal SI d’Italia in collaborazione con il Comitato Consulte e Pari Opportunità e con il Soroptimist Club Terni ha rappresentato un’impor- tante occasione di confronto
Nella giornata del 24 marzo
Le presidenti e le referenti pari opportunità dei club partecipanti hanno illustrato al Comitato consulte e Pari opportunità SI d’Italia, le attività sul territorio. Numerosi i Club presenti: Ancona, Siena, Fermo, Valle Umbra, Terni, Napoli, Ascoli Piceno, Vercelli, Messina, Jesi, Follonica, Napoli Vesuvius, Milazzo, Roma Tiber, Perugia e le comunicazioni scritte di Prato e Livorno
Nella giornata del 25 marzo
Dopo i saluti istituzionali e della Presidente Nazionale Giovanna Guercio, la ministra Eugenia Roc- cella ha portato in video il suo saluto e gli auguri di buon lavoro. Maria Antonietta Lupi presidente del comitato nazionale consulte e pari opportunità ha introdotto il tema del convegno, presentando i punti dell’obiettivo 5 dell’agenda 2030 dell’ONU. Stefania Capponi presidente del club organizzato- re ha moderato il primo panel di relatori, che hanno rappresentato la situazione italiana rispetto alla parità di genere, le azioni positive per rimuovere gli ostacoli ad una effettiva parità delle donne. Si è affrontato il tema delle politiche pubbliche, delle attività effettuate dagli ordini professionali e da Confindustria giovani, con uno sguardo sulla legislazione del nostro Paese, dalla legge Golfo Mosca, alla certificazione di genere. Inoltre una riflessione sugli stereotipi di genere e sul ruolo fondamentale dei mass media nel veicolare messaggi più rispettosi e inclusivi.
Nel secondo tempo, moderato da Daniela Farone, componente del comitato consulte e pari opportunità, si è trattato il tema della violenza di genere e dei diritti umani violati in molte parti del mondo attraverso appassionate riflessioni di giudici, psicologhe, avvocate, professoresse universita- rie, associazioni, per concludere con l’argomento dell’incremento della violenza nei confronti del personale sanitario.
Al termine Fiorella Chiappi, componente del comitato consulte e pari opportunità, ha relazionato sugli spunti offerti dai club nel workshop del pomeriggio
Dei numerosi e significativi interventi, di seguito le testimonianze di alcune relatrici che hanno par- tecipato alle varie sessioni.
Mi sono posta come obiettivo di attuare politiche concrete a supporto delle mie colleghe, ben consapevole che il percorso per eliminare il gender gap è ancora lungo
H imparato a parlare dell’esigenza di superare le barriere al progresso delle donne, paradossalmente, dopo esser diventata Presidente dell’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano.
Prima, nel mio percorso di crescita, davo quasi per scontato che professionisti con le mie stesse competenze fossero maggiormente apprezzati… ritenendo di dare di meno perché parte del mio tempo lo dedicavo alla mia famiglia. Non consideravo le tante ore che, fuori dagli orari canonici, dedicavo alla formazione, al la- voro e all’impegno all’interno della categoria. Tutto mi sembrava sempre troppo poco.
I colleghi andavano avanti e per me era giusto così! Solo il tempo mi ha insegnato che, invece, il problema era culturale, da parte di chi privilegiava, sicuramente in buona fede, i colleghi uomini istintivamente attribuendo a loro maggiore autorevolezza e da parte mia che consideravo normale tali scelte. Poi grazie a un collega che ha effettuato la selezione per la Com- missione del Consiglio Nazionale e, senza conoscermi (ma basandosi solo sul mio CV) mi ha nominata in essa, ho cominciato a crescere anche all’interno della categoria fino a raggiungere ad una posizione apicale e ho capito che era questo l’approccio giusto.
Ora tocca a me e proprio in forza della mia esperienza, posso e devo essere volano di un cambiamento di passo anche in questo ambito. Mi sono posta come obiettivo di attuare
politiche concrete a supporto delle mie colleghe, ben consapevole che il percorso per eliminare il gender gap è ancora lungo. Per questo motivo, primo Ordine in Italia, ho proposto al mio Consiglio, che ha accettato all’unanimità, di avviare un iter per la certificazione della parità di gene- re nell’ente da me diretto. Questo ha dato vita ad azioni concrete nel por- re attenzione che, nelle nomine delle posizioni apicali delle Commissioni di Studio dell’Ordine, vi fosse un’a- deguata presenza femminile, come anche nei numerosi eventi dell’Ordi- ne vigesse la regola di porre accanto a relatori anche relatrici e garantire che nei tavoli di lavoro nei quali l’en- te è chiamato a partecipare ci siano sia colleghi che colleghe.
Questo approccio molto pragmati- co ha, in fase iniziale, destabilizzato l’organizzazione, ma ora è diventata routine. Credo che questa sia la strada da percorrere e che il cambiamento possa e debba venire con il coinvol- gimento di tutti, ma, in primo luogo, di chi è al vertice e può introdurre li- nee strategiche innovative.
Questa mia esperienza gratificante ha permesso a molte colleghe di cogliere molte opportunità che diversamente sarebbero risultate per loro molto più difficili. Un’altra cosa è certa: l’Ordine ne è risultato rafforzato ed arricchito: testimonianza di come l’assenza del gender gap è un obiettivo che deve essere perseguito, non in difesa delle donne, ma per far crescere al meglio il tessuto economico e sociale del nostro Paese.
VIOLENZA di Genere e Violazione dei diritti umani di Monica Velletti, presidente facente funzioni del Tribunale di Terni, presidente della Sezione Civile del Tribunale di Terni, già consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, costituita nella XVIII legislatura
Nei procedimenti civili e minorili si fa poca luce sulle relazioni familiari
Alcune buone notizie: dopo 60 anni dall’ingresso delle donne in Magistratura, è stata nominata la Prima Presidente donna della Corte di Cassazione, Pres. Margherita Cassano. Dal 2015 la componente femminile in magistratura ha superato quella maschile; nell’ultimo concorso in magistratura ben il 69% delle nuove magistrate è donna.
Nel corso della mia quasi ventennale carriera come magistrata esperta nel diritto di famiglia e dei minori, nella trattazione di procedimenti di separazione, divorzio, affidamento figli nati fuori del matrimonio ho potuto constatare la sottovalutazione del fenomeno della violenza domestica che, nonostante l’inasprimento delle pene, continua ad aumentare. A mio avviso ciò è accaduto in quanto i reati di violenza domestica statisticamente più ricorrenti, spesso sono commessi da uomini incensurati, e pertanto le pene, quando irrogate, non sono elevate e in molti casi sono so- spese.
Sembra incomprensibile ma nei giudizi civili e minorili si è prestata poca attenzione all’accertamento della violenza domestica nelle relazioni familiari. Occorre interrogarsi sulle ragioni di questa apparentemen- te ed inspiegabile “invisibilità” della violenza domestica nei procedimenti civili e minorili. La ragione risiede nella presenza di consolidati stereotipi, che radicati nella cultura italiana, hanno condizionato l’azione giudiziaria.
Per comprendere le radici del fenomeno ho cercato di individuare gli stereotipi più ricorrenti, nella convinzione che solo il loro superamento potrà, nel tempo, avere incidenza sul superamento della violenza domestica.
Alcune buone notizie: dopo 60 anni dall’ingresso delle donne in Magistratura, è stata nominata la Prima Presidente donna della Corte di Cassazione, Pres. Margherita Cassano. Dal 2015 la componente femminile in magistratura ha superato quella maschile; nell’ultimo concorso in magistratura ben il 69% delle nuove magistrate è donna.
Nel corso della mia quasi ventennale carriera come magistrata esperta nel diritto di famiglia e dei minori, nella trattazione di procedimenti di separazione, divorzio, affida- mento figli nati fuori del matrimonio ho potuto constatare la sottovalutazione del fenomeno della violenza domestica che, nonostante l’inasprimento delle pene, continua ad aumentare. A mio avviso ciò è accaduto in quanto i reati di violenza domestica statisticamente più ricorrenti, spesso sono commessi da uomini incensurati, e pertanto le pene, quando irrogate, non sono elevate e in molti casi sono so- spese.
Sembra incomprensibile ma nei giudizi civili e minorili si è prestata poca attenzione all’accertamento della violenza domestica nelle relazioni familiari. Occorre interrogarsi sulle ragioni di questa apparentemente ed inspiegabile “invisibilità” della violenza domestica nei procedimenti civili e minorili. La ragione risiede nella presenza di consolidati stereotipi, che radicati nella cultura italiana, hanno condizionato l’azione giudiziaria.
Per comprendere le radici del fenomeno ho cercato di individuare gli stereotipi più ricorrenti, nella convinzione che solo il loro superamento potrà, nel tempo, avere incidenza sul superamento della violenza domestica.
In questo contesto ratio del “Progetto Pilota” è riservare uno specifico trattamento ai procedimenti nei quali siano presenti domande di affida- mento dei figli minori in presenza di allegazioni di violenza domestica, assicurando sinergie e scambio di informazioni tra le diverse autorità che nella maggior parte dei casi sono investite, ciascuna nei rispettivi ambiti di competenza, dell’accertamento di condotte di violenza domestica.
In concreto il “Progetto Pilota” prevede che, già dal momento della presentazione dei ricorsi aventi ad oggetto domande di affidamento di figli minori (che possono essere presenti in ricorsi per separazione, divorzio, per l’affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, nei rispettivi proce- dimenti di modifica) vengano individuati quelli che presentano allegazioni di violenza domesti- ca, ossia la mera affermazione di una delle parti (quasi sempre la donna) di essere stata vittima di violenza con descrizione delle condotte subite. In presenza di tali allegazioni, il procedimento viene indirizzato in una “corsia differenziata e preferenziale” al fine di garantirne una rapida trattazione, avendo cura di assicurare la neces- saria informazione tra le diverse autorità giudi- ziarie.
Nella concreta applicazione del Progetto Pilo- ta citato posso confermare di aver avuto quasi sempre conferma delle affermazioni delle donne vittime di violenza. Con attenta analisi delle di- chiarazioni della vittima si viene quasi sempre a scoprire che vicini di casa, parenti, a volte in- segnati, in un caso un parroco, hanno assistito ad aggressioni. Quando il procedimento penale era ancora agli inizi, convocando, con l’utilizzo dei poteri officiosi, queste persone nell’udienza civile, prima dell’adozione dei provvedimenti provvisori ho avuto conferma degli episodi di violenza.
Posso riportare gli esiti del Progetto Pilota in essere da circa tre anni nel Tribunale di Terni: i risultati sono stati molto positivi. All’inizio dell’attuazione del Progetto Pilota, io e l’ottima
collega dr.ssa Marzia Di Bari che con me si oc- cupa della materia, eravamo preoccupate prima di tutto delle possibili reazioni dei violenti, che fortunatamente fino ad ora non ci sono state. Poi temevamo un numero elevato di reclami in appello avverso questi provvedimenti provvisori: nessun provvedimento è stato reclamato. L’accertamento dei fatti che è alla base del lavoro del giudice rende il provvedimento comprensibile anche all’autore della violenza che capisce di essere stato “intercettato” e nella maggior par- te dei casi accetta di seguire i percorsi proposti al fine di liberarsi dalla “patente di cattivo genitore”.
L’ordinamento non deve avere nessuna tolleranza per i violenti, che sono molto bravi a mani- polare i fatti e a giustificare le condotte violente. Bisogna essere fermi nel chiarire che occorre curare l’incapacità di contenere gli agiti violenti prima di valutare il pieno ripristino nell’esercizio delle capacità genitoriali. La grande soddisfazione è che il Progetto Pilota del Tribunale di Terni (citato nella relazione redatta dalla Commissione Femminicidio, cfr. pag. 94) è ora divenuto legge. Nei tavoli di lavoro per la redazione della riforma del processo civile, di cui ho fatto parte nel 2021/2022 come esperta nominata dal Ministero della giustizia, ho riportato questa esperienza e sono stata incaricata di riprodurla nel testo normativo. Sette nuovi articoli, inseriti dalla riforma c.d. Cartabia, nel codice di procedura civile (dal 473.bis. 40 al 473.bis.46 c.p.c.) prevedono che in presenza di allegazione di violenza bisognerà indirizzare i procedimenti di famiglia e minorili su una corsia differenziata e preferenziale, chiedere gli atti al Pubblico Ministero, il giudice avrà il dovere di accertare la violenza prima di emette- re i provvedimenti provvisori e i provvedimenti dovranno, qualora la violenza sia stata accertata, garantire la tutela della vittima e i minori vittime dirette della violenza assistita.
L’impegno contro la violenza domestica deve es- sere massimo, per estirpare questo cancro della società.
VIOLENZA di Genere e Violazione dei diritti umani di Elvira Reale, psicologa, responsabile centro Dafne ospedale Cardarelli Napoli, consulente Commissione Femminicidio XVIII legislatura
Il Codice Rosa è un percorso sanitario attuato nei Pronto Soccorso a favore delle donne vittime di violenza mettendo in luce come questa abbia ripercussioni su ogni ambito della vita delle donne, compreso quello della salute.
L’allarme mondiale arriva dall’OMS che segnala come molte patologie, sia psichiche sia fisiche come le cardiovascolari, a larga diffusione nella popolazione femminile, hanno una frequente eziologia da violenza. Per questo nel mondo sanitario, quando si ha di fronte una donna che parla dei suoi malesseri, delle sue patologie, è opportuno individuare anche l’eventuale presenza di violenza nel contesto della sua vita in quanto essa, oltre a causare un danno alla salute, è anche un ostacolo al tema tanto dibattuto della parità uomo/donna. Lo dice la Convenzione di Istanbul che la violenza è radicata nel differenziale di potere uomo/donna, e che la violenza è uno strumento per mantenere le donne in dipendenza e sottoposizione agli uomini. Quindi la violenza è il nodo centrale di tutte le questioni legate alla parità, al potere e alla salute.
Il referto psicologico
Tornando al percorso/codice rosa in pronto soccorso, questo non deve limitarsi alla sola valutazione delle lesioni fisiche, ma an- che di quelle psichiche dovute alla così detta violenza invisibile, come si verifica da anni in Campania. Qui la Regione ha delibe- rato che, ad integrazione del referto medico avvenisse anche la stesura del referto psicologico finalizzato a valutare la lesione psichica oltre quella fisica della vittima.
Il referto psicologico, all’interno del percorso sanitario, è uno strumento di difesa delle donne, perché permette di vedere e far vede- re a terzi (compresi gli operatori della giustizia) i vari nodi psico- logici della relazione maltrattante, quei nodi sottili che vincolano la donna con ricatti, minacce, offese, ingiurie, squalificazioni, controllo, ecc. ecc. Il cuore della violenza psicologica contro le donne è il cd. “controllo coercitivo”, esso non è altro che la misura della limitazione della libertà femminile da parte del partner violento. Il controllo coercitivo fa la differenza tra la violenza maschile e quella femminile che è una violenza di coppia residuale rappresentata nelle statistiche internazionali da un 15% rispetto a quella maschile che occupa l’85%. Le donne possono fare anche loro violenza fisica e psicologica ai loro partner, come oramai gli uomini dicono pretendendo anche loro un ruolo di vittime, ma in effetti queste violenze sono minori e non accompagnate dal controllo coercitivo con la limitazione della libertà persona- le. Difficilmente un uomo ha paura di una donna, e difficilmente limita i suoi movimenti perché si sente minacciato e in pericolo, cosa che accade in- vece quotidianamente alle donne. Ecco allora che il referto psicologico ha la mission di rappresentare questa condizione di costrizione della donna nella relazione di coppia, al di là anche delle botte e delle aggressioni fisiche, più facili da identificare e refertare per un operatore sanitario. Il referto psicologico è quindi uno strumento che aiuta le donne a rappresentare la loro condizione di vittime presso i tribunali anche quando le loro ferite sono invisibili ad occhio nudo.
Vittimizzazione secondaria
Abbiamo anche altri nodi da sciogliere, per aiu- tare le donne a far emergere la loro condizione di vittime incolpevoli; nodi che sono stati messi in evidenza dall’inchiesta sulla “vittimizzazione se- condaria” promossa da Valeria Valente, presiden- te della Commissione femminicidio della XVIII legislatura.
Il tema della “vittimizzazione secondaria”, ov- vero dell’essere donne vittimizzate due volte, riguarda il rapporto con i tribunali – e in parti- colare quelli civili e per i minorenni – ai quali le donne si rivolgono, dopo aver denunciato i loro partner, per le questioni di affido dei figli. Il segno di questa vittimizzazione si misura con i dati della Commissione (nell’inchiesta parallela a quella sulla vittimizzazione secondaria, l’in- chiesta sul femminicidio) che ci hanno rivelato ad esempio che solo il 15% delle donne assassinate aveva denunciato il partner. Le molte altre avevano evidentemente avuto paura di farlo e in questa mancata denuncia si ravvisa non solo il timore della reazione del partner, ma anche la paura di perdere i figli a causa dei giudizi misogini che abitano i nostri tribunali e le altre istituzioni (l’80 % circa delle donne vittime di violenza ha figli minori, come emerge dai dati del centro ospedaliero Cardarelli di Napoli).
La paura delle donne di perdere i figli non è infondata. Scopriamo attraverso l’inchiesta sulla vitti- mizzazione secondaria che nel 34% dei percorsi giudiziali per l’affido di minori ci sono allegazioni di violenza (denunce, referti, testimonianze varie, ecc.) ma queste, nella quasi totalità dei casi, non vengono valutate e prese in considerazione. Così accade che si determinano le condizioni di un af- fido senza tenere conto della violenza, mettendo i due genitori sullo stesso piano e poi chiedendo alla donna, vittima di violenza, di superare tutto, di non essere conflittuale e di agevolare il rappor- to padre figlio, anche quando vi sia un bambino spaventato dalla violenza cui ha assistito e che ri- fiuta di incontrare il padre.
I tribunali dell’affido non tengono conto di quan- to l’art. 31 della Convenzione di Istanbul impone in tema dei diritti di protezione e sicurezza della coppia madre – bambino e dispongono, in contra- sto con esso, l’affido condiviso e il mantenimento della relazione con il partner violento nel ruolo di genitore indispensabile allo sviluppo del minore. L’affido condiviso poggia su un principio distorto, se inteso come principio assoluto e inderogabile, che è quello della bigenitorialità, principio spesso concepito erroneamente come superiore all’inte- resse del minore ad essere tutelato dalla violenza e dal genitore violento.
Il decifit della bigenitorialità
Se c’è violenza la bigenitorialità, che non è un diritto primario (e finalmente abbiamo le ultime Cassazioni, 9691/22;. 21425/22, che ne parlano come un diritto recessivo), deve fare un passo in- dietro e i tribunali devono garantire l’applicazione dell’art. 31 della Convenzione di Istanbul.
Nei casi speciali esaminati (36 casi oltre i casi ri- levati dal campione statistico) nell’inchiesta della Commissione, abbiamo individuato un percorso giudiziario che si ripeteva dal momento che veniva negata la presenza della violenza e dal momento che questa veniva declinata come semplice conflittualità equiparando le responsabilità tra i due partner. Questo percorso standard prevedeva un decreto provvisorio con l’affido condiviso e visite libere al padre e, nel caso di una supposta elevata conflittualità, un monitoraggio dei servizi. Queste decisioni provvisorie sull’affido condiviso in caso di allegazioni di violenza, si rivelavano essere una vera e propria polveriera, perché quei partner violenti dopo la separazione (in sintonia con le statistiche internazionali che ci dicono che le violenze nella fase post-separativa continuano nel 50% dei casi) continuavano a perseguitare le donne anche attraverso la gestione condivisa dei figli e attraverso gli stessi procedimenti giudiziari (stalking giudiziario). Cosi nella maggioranza dei casi esaminati, le violenze continuavano e i bambini non volevano vedere quel padre che era stato violento con la madre (maltrattamento assistito) e che era con loro anche autoritario e impositivo. Il percorso prosegue con le accuse dei padri di alienazione parentale: i padri attaccano le madri accusandole di condizionare i figli e di manipolar- li al fine di ottenere da loro il rifiuto agli incontri con il padre.
L’alienazione parentale
È un costrutto definito ascientifico ma che continua a sopravvivere nelle aule dei tribunali grazie ad una classe di psicologi forensi che è sua strenua paladina. Partendo dalla violenza negata, che giustificherebbe sia il comportamento della madre come protettivo e sia il rifiuto del figlio come difensivo, si afferma che il rifiuto del bambino verso il padre non è genuino ma indotto dal condizionamento materno: la madre da tutelante diviene ostacolante e quindi pericolosa perché sottrae al bambino il rapporto con il padre, considerato spesso, in maniera sovrastimata, il rapporto principale per il suo sviluppo, in grado finanche di veicolare un rischio psicopatologico (indimo- strato e non comprovato dalle autorità scientifiche). E su questo si va avanti, i giudici avallano le consulenze tecniche che parlano di inconscio e di condizionamento senza prove, senza fatti, negan- do gli unici fatti evidenti e cioè che quel bambino rifiuta il padre perché ne ha paura. Ma c’è ancora un punto di caduta più basso per tutto il sistema psico-giudiziario: per ripristinare la bigenitorialità, messa in crisi dal rifiuto del minore, i tribunali con il supporto dei consulenti, tolgono il bambino a quella madre con cui è cresciuto e da cui si sente protetto, lo sradicano da tutto il suo contesto di vita, lo mettono in una struttura estranea a lui, in cui non vedrà più la madre, ma in cui ricomincia in modo obbligato a rivedere il padre, fin quando assuefatto a questo nuovo regime, sarà pronto ad andare a vivere con il padre. Questo trattamento inumano e degradante per un bambino, costretto spesso anche manu militari a lasciare la sua casa, è spesso accompagnato da provvedimenti in cui si vieta per anni l’accesso della madre al figlio. E alla fine si scopre l’arcano: non si voleva ripristinare la bigenitorialità ma solo riaffermare il diritto paterno, la genitorialità paterna che evidentemente nonostante la legge del 1975 continua a valere più della genitorialità materna.
Tutto ciò accade sempre e solo perché non viene valutato l’incipit della vicenda separativa e cioè la violenza domestica e il maltrattamento assisti- to che genera paura, timori e rifiuto nel bambino verso il padre. Oggi la riforma Cartabia ispirata dall’inchiesta della Commissione ha indicato nel Capo III le disposizioni speciali in caso di violenza domestica e di genere, focalizzando l’attenzione sulle allegazioni e stabilendo quindi i criteri per affrontare in modo corretto la violenza.
VIOLENZA di Genere Il contributo del Soroptimist di Fiorella Chiappi
A Terni, il 25 aprile, sono stati sintetizzati i progetti di pari opportunità presentati dalle referenti di Club, provenienti da sette Regioni. Campania: Napoli, Napoli Vesuvius; Lazio: Roma Tiber; Marche: Ancona, Ascoli Piceno, Fermo e Jesi; Piemonte: Torino, Vercelli; Sicilia: Messina, Milazzo; Toscana: Arezzo, Follonica, Livorno, Siena; Umbria: Perugia, Terni e Valle Umbra.
Per le azioni di sensibilizzazione culturale sul territorio sono state utilizzate varie metodologie comunicative, fra cui spettacoli teatrali su specifici temi, materiali video, role model.
Fra i progetti, numerosi quelli per il contrasto alla violenza di genere, domestica, assistita e con azioni preventive anche per i rischi di femminicidio, di sensibilizzazione culturale, educazione e formazione, inclusi Master universitari. Numerose anche le azioni per lo sviluppo dell’empowerment femminile: orientamento STEM, superamento del digital divide, imprenditoria femminile, formazione e avvio al lavoro di donne svantaggiate, azioni per lo sviluppo dei diritti di parità e lo spirito critico rispetto al sessismo e agli stereotipi di genere e bilanciamento di genere nella visibili- à storica e nella toponomastica. Per le azioni di sensibilizzazione culturale sul territorio sono state utilizzate varie metodologie comunicative, fra cui spettacoli teatrali su specifici temi, materiali video, role model.
Dal confronto è emersa l’esigenza di consolidare il rapporto con i comuni, le reti collaborative territoriali e fra club per progetti condivisi. È stato posto l’accento sull’esigenza, in un paese come il nostro all’ultimo posto in Europa per occupazione lavorativa, di approfondire aspetti del lavoro così come di altri intimamente connessi: gestione dei tempi, condivisione familiare, conciliazione lavoro/tempi di vita. In particolare sono stati indicati come prioritari alcuni temi: PNRR, Certificazione di parità di genere, strategie per la crescita di occupazione, reddito e carriere femminil
Esploratori e romanzieri hanno definito “Isole delle donne”, le Laccadive, le Eolie, Kihnu, la Isla Mujeres sacra alla Dea Ixchel in Messico. Ma chi sono le donne delle isole? Sono quelle, ci ha detto Giovanna Garbo, ‘che mettono nei loro progetti il fine dell’affezione al territorio come madre terra, la dea madre da cui non puoi fuggire per mare’.
“A te che sogni una stella ed un velieroche ti portino su isole dal cielo più vero”.
(Rino Gaetano, Ti ti ti ti, 1980)
SICILIA
Borghi rinati
Carmelina Ricciardello non solo non è nata su un’i- sola, ma arriva addirittura dall’Australia. Eppure, è una vera pioniera che, dopo aver girato il mondo, è tornata nell’isola dei suoi antenati ed ha incominciato testardamente un progetto che ora dà lavoro a molte famiglie. Eppure, molti anni fa, (intervistata per il mio sito www.g-r-t.org) mi raccontava scoraggiatissima che “a parlare con i politici di rimettere a posto il nostro Paese trovo un muro di gomma perché sono una donna, vado io ad innaffiare le aiuole, a convincere gli abitanti ad aprire le porte e i giovani a non andarsene”. Piano piano, nel borgo di Sant’Ambrogio, sono venute da lei gruppi di donne finlandesi per i corsi di pittura, siciliani a comprare i formaggi, emigrati alla ricerca delle radici, turisti che non conoscevano le Madonie e si sono moltiplicate le iniziative fino a diventare un punto di riferimento. Così ora, nel comprensorio degli Eblei e delle Madonie, nei borghi aperti all’ospitalità, Carmelina periodicamente organizza i suoi trekking favoriti, ma soprattutto vi consiglia altri percorsi dalle amiche siciliane. Giovanna Garbo, con il suo franto- io, le degustazioni, la raccolta delle olive, le leggende, il vecchio forno, le donne di Sant’Ambrogio che de- corano le strade. Giovanna Gebbia guida ambientale escursionista nelle Alte Madonie, con le camere di Cas’Antica Soprana nel borgo medievale di Pietralia Soprana. Stefania Greco, con i trekking tra speleologia e archeologia, i laboratori sulle erbe spontanee, le fiere dei sapori, la transumanza. In una grande rete di ospitalità e esperienze, incontri con artisti e artigiani, fiere del gusto, vie inaspettate e soggiorni nelle più belle case locali. Per finire con l’entusiasmante centro Serra Guarneri di educazione ambientale e campi estivi per ragazzi, nel Parco delle Madonie. Perché, come dice Carmelina: “Per capire un posto devi conoscere le persone, la storia è importante, ma è quello che conosci che ti tocca nel cuore”.
SICILIA
Rocce e capperi
“Mi sento figlia dell’Etna, ’aMuntagna” che, come una mamma, ci dà tanti prodotti della terra, ma può essere anche severa con il tuo- no potente delle sue eruzioni”, ci racconta Ilaria Monaco, geologa e guida ambientale AIGAE. Da qui arrivano le storie raccontate dalle rocce, il racconto del magma fuso a migliaia di gradi, con cui noi guide facciamo i laboratori per i bambini, le leggende dei pastori, di vigne, ulivi e agrumi dove lavorava mio nonno”. Infatti, Ilaria ha lavorato come geologa ambientale, ma è tornata a Catania per fare la guida, perché dalle sue radici partono le sue affascinanti descrizioni di un mondo di roccia ed i suoi consigli di vacanze, nelle isole del Mediterraneo. Due esempi? Seguendola sull’Etna, si attraversano boschi di betulle, faggi e ginestre, tra valloni rocciosi, colate nere e grotte in cui si sente il respiro della lava nel buio, prima di salire tra i fumanti crateri centrali. Al ritorno, ci si siede ai tavoli della trattoria “Mareneve” a Fornazzo per gli gnocchetti con crema di zucca, ricotta fresca e pistacchio di Bronte, o si scende per l’imperdibile “siciliana” con tuma e acciuga, da Donna Peppina, nella piazza di Zafferana Etnea affacciata sullo Ionio. Sui Monti Nebrodi, Ilaria ci porta sulle calcaree “Rocche del Crasto”, ma poi scendiamo a conoscere le sue amiche, nei borghi di Longi, pernottando dagli abitanti e visitando un bellissimo telaio per la tessitura a mano ancora funzionante. Alle Isole Eolie scopriamo con lei altri paesaggi mozzafiato sul blu: a Salina ora sono fioriti i sentieri del Monte Fossa delle Felci e del Monte dei Porri, ma giù ci si ferma a gustare la granita alla ricotta con capperi tra uno stuolo di piatti eoliani dal fascinoso “Paperò al Glicine” a Rinella.
GRECIA
L’isola delle donne
Tra le 6000 isole greche, ce n’è una indomita, che ha lottato contro tutte le invasioni ed è sempre rimasta indipendente, in cui si parla ancora un dialetto arcaico, con la fama di ‘isola delle don- ne’ perché sono le ragazze a ‘comandare le danze’ nelle plateali affollatissime ‘panighiria’, ac- compagnate dai ritornelli che tornano all’infinito. Ikaria è anche il luogo del cuore di Francesca Benassai, che, come guida, conosce bene Lanzarote, Azzorre, Madeira, e Itaca, ma non rinuncia a portare qui ogni anno un gruppo (soprattutto) di viaggiatrici. Francesca ha girato Ikaria in lungo e in largo con una certezza: «Ikaria è femmina perché viscerale, pagana, eretica, appassionata per la sua società matriarcale. Ad Ikaria è onorata Artemide dea del selvatico, del parto e della Luna. È un esempio di comunità sobria ma vivacissima, solidale e creativa. Camminare qui è speciale per la varietà di esperienze e per i tanti orgogliosi greci che ci narrano la loro terra. Come Iannis col suo rifugio di pietra in cima al monte, Eugenia fraterna nostra ospite, Lefteris una giovane gui- da che ha deciso di tornare nella terra degli avi». Dopo le terme di Therma o di Lefkada, il castello di Koskina e il tempio di Artemide, inaspettata- mente, a Agios Dimitrios ci avvincono i profumi e i misteri delle erbe nella bottega di Irini. Più su, c’è la fattoria di Marion Arakara che ha realizzato il sogno di aprire una casa per i viaggiatori nella sua terra vicina al cielo, con passeggiate nell’or- to, fino alle tipiche “case anti-pirateria”, cucina e cene ascoltando musica. Nel paese di Christos Rachon si viene accolti dal profumo di dolci, per poi scoprire che proviene dalla pasticceria-bottega, ora anche e-shop, di sette donne intraprendenti: davanti ad un grande albero ecco marmellate, conserve, erbe, ma anche tessuti, oggetti di legno, biglietti artistici.
SARDEGNA
Le mille sfumature dei colori
In Sardegna le eredi di Eleonora d’Arborea, forti ed indipendenti per storia e cultura, sono attive e protagoniste in ogni paese. Noi abbiamo scelto le misteriose valli poco note dell’Oglastra, per un viaggio in poche righe, sui passi della guida Fulvia Adamo e di un gruppo di ragazze atttivissime per la loro terra. Siamo tra il Gennargentu, gli altopiani calcarei dei Tacchi d’Ogliastra, del Supramonte Baunei/Dorgali e il mare Tirreno, tra chilometri di strade deserte, paesaggi con tutte le sfumature di verdi, gialli e blu, nel silenzio totale e ogni tanto un campo con le mandrie. La prima sorpresa è la tappa alla ‘Stazione dell’arte’: il museo a cielo aperto di Ulassai dedicato a Maria Lai, la fantastica artista internazionale di ‘arte povera, relazionale, tessile’, che ha legato con i fili di lana le sue montagne. Per i resti nuragici si cammina nella macchia a Perda e’liana, mentre a Villagrande Strisaili, Osini, Cardedu, Jerzu, Lanusei si incontrano B+B pronti a coccolarvi, le panetterie con il pane come una volta, le sebadas con i mieli di stagione dell’apicultore Salvatore Sarega, il cannonau alla cantina sociale, i culurgiones chiusi a mano come si insegna di madre in figlia. Poi tra vigneti e ulivi, si passa da Giulia Mura, giovane imprenditrice che dopo un tour guidato dei suoi terreni vi farà degustare cannonau e olio evo. Per le spiagge, ogni viaggiatrice sceglierà il rosa sabbia o il rosso scoglio che preferisce, da Gairo Cardedu a Pedra Longa col Profondo Blu. Ma l’ultimo pezzo di costa prima di Arbatax ha ancora due tappe: alla cooperativa di pescatori per la botarga e al Chiostro di Ponente per le ostriche. Prossime iniziative: trekking delle erbe con Valentina Allegria, presentazioni di libri, primo cammino delle orchidee in aprile, le leggende medievali sulla rocca del castello di Quirra, il festival Itacà in settembre.
CAPRAIA
Trekking tra le fioriture
Le signore dell’isola si incontrano da Franca Cerri: unica bottega e forno, per comprare pane, miele, vino, olio locali, tra quattro chiacchere, su un fatto all’unisono: “Capraia è un’isola di donne”.
Una presenza importante è quella di Marida Bessi, perché, oltre a fare il sindaco, ha fondato l’Agenzia Viaggi Parco, che organizza gite turistiche, distribuisce informazioni, ospita ar- tisti locali, come Rossella Faleni ‘ar- tista del mare e artigiana itinerante’’. Tra le attivissime donne in rete, c’è
una capraiese doc come Sonia Severi, che, dopo essere stata direttrice del porto, ha appena aperto La Chiarantina, animatissimo bar in centro, con Rossella Corsi, esperta di moda vintage. Vera liason con la Capraia naturalistica è Elisabetta Stella – guida escursionistica ambientale e grande esperta di botanica –, che ha avuto l’idea di inserire le donne nei suoi itinerari sui sentieri più belli dell’isola e fa con loro fantastici trekking tra le fioriture. I sentieri salgono fino alla Mortola, alla Punta della Teja al Monte Le Penne, e scendono fino alla Cala di Porto Vecchio passando per l’agriturismo Valle di Portovecchio. Questo è il regno di Rossana Chierichetti: per gli ospiti una bella camera, orto da coltivare, frutteto e ulivi da potare, piatti della tradizione da gustare, come il dolce fecolino o la zuppa toscana con i cavoli e le verdure di stagione. Scesi in paese, vicino al Castello, c’è la tappa gastronomica obbligatoria, il Carabottino, ovvero l’apoteosi dell’Ittiturismo: dalla barca del marito alla tavola, Siria Petrucci cucina pesce per pochi e prenotatissimi tavoli sotto la pergola, in una teoria di carpacci, patè, tonnetti sott’olio. Per finire con una novità culturale: la curatrice della biblioteca pubblica Viola Viteritti, lancia quest’anno il Primo Premio Letterario Piero Ottone.
Sarebbe riduttivo definire La Città che vorrei come nuovo progetto nazionale di Soroptimist International Italia. Trattasi, piuttosto, di una proposta di percorso pedagogico e olistico, di trasformazione del contesto abitativo (città, paese, quartiere), improntata su valori fondamentali, ineludibili: sostenibilità, inclusione, sicurezza, sostenibilità economica, resilienza, rispetto e valorizzazione dei generi e della bellezza.
Non si tratta solamente di rigenerazione urbana ma anche di promozione di una cittadinanza attiva, responsabile e partecipe (da cui l’innesto del progetto/bando Ri-generazione città futura).
Per saperne di più, abbiamo intervistato la referente e anima pulsante della Città che vorrei, Bruna Floreani, commercialista esperta in ambito societario ed internazionale del Club Soroptimist di Milano alla Scala.
Da dove prende origine l’idea della Città che vorrei?
In realtà, i primi studi risalgano ad una decina di anni or sono, durante la Giunta Pisapia con la Delegata alle Pari Opportunità di allora, Francesca Zajczyk, docente di Sociologia Urbana presso l’Università degli Studi Bicocca di Milano. All’epoca fu elaborata una ricerca dal titolo, “Analisi comparata delle Politiche di Genere in Europa”, in cui si misero a confronto alcune capitali europee, quali Berlino, Barcellona, Vienna e Milano.
La ricerca è stata presentata nell’ottobre 2015, a Palazzo Marino, sede del Municipio di Milano ed è stata l’origine di approfondimenti circa la costruzione di un nuovo modello di Città che tenesse conto dei vissuti e dei bisogni delle donne e che fosse in grado di elaborare future prospettive.
Soroptimist Club Milano alla Scala, in collaborazione con Comune di Milano, Fondazione Etica e l’Associazione MiWorld, sempre nello stesso periodo, ha promosso un incontro dal titolo, “Costruire il futuro con uno sguardo di genere”, predittivo degli attuali sviluppi.
Costruire una città a misura di donna non è solo una rivendicazione di genere bensì porre la comunità umana al centro del cambiamento?
Per parlare di futuro, occorre seminare cambiamento nel territorio in cui si vive e l’80% della popolazione vive, produce economia, trascorre il proprio tempo libero, in città.
Ma le città, da sempre, sono disegnate a misura di uomo, un uomo che, producendo, inquina, non si cura della valorizzazione estetica del territorio, di creare cultura e sicurezza. Del resto l’ottanta per cento dei pianificatori urbani sono, a tutt’oggi, maschi.
L’orizzonte è eminentemente culturale ed il cambiamento è, ormai, ineludibile.
L’Agenda 2030 dell’ONU, coi suoi 17 obiettivi, mette in campo un orizzonte di contenuti e valori che non può essere tralasciata dalle donne.
Occorre elaborare una sorta di secondo Rinascimento in cui le donne siano protagoniste attive nei tavoli decisionali. Soroptimist International Italia grazie alla sua estensione geografica in Club sparsi su tutto il territorio nazionale, può e deve essere fra i soggetti promotori di campagne di advocacy che partendo da interlocuzioni con le Amministrazioni Locali (facilitate dalla firma di un Protocollo di intesa con l’ANCI, siglato a giugno di quest’anno) possa trasformarsi in concrete azioni e buone prassi.
Altro fattore facilitante, le risorse del Pnrr, bene prezioso ed imprescindibile che deve essere utilizzato per lanciare nuovi scenari urbani.
Quali le tappe di costruzione della città che vorrei?
Si è pensato a tre momenti iniziali, di lancio di questo laboratorio per un nuovo umanesimo, ovvero l’elaborazione di un questionario, la creazione di un manifesto, la pubblicizzazione tramite un evento.
Il questionario, elaborato con la società Lexis Ricerche srl, è stato somministrato ad un ampio campione di donne fra le quali le circa 5000 socie dei Club di cui si compone Soroptimist International Italia. L’obiettivo è stato di far emergere le proposte delle donne sulle città di oggi e sulla città ideale di un futuro prossimo.
La prima parte del questionario ha sondato il livello di soddisfazione su dieci aspetti del vivere urbano, ovvero Quartieri e Comunità, Sicurezza, Lavoro, Salute e Benessere, Abitazione, Sostenibilità ed Ambiente, Servizi Pubblici, Strutture educative.
La seconda parte, la scelta di dieci obiettivi per la costruzione della città che vorrei.
Dal questionario discende l’elaborazione del manifesto, una sorta di linea guida degli obiettivi prescelti fra i quali la promozione di partecipazione consapevole ed attiva del mondo femminile alla costruzione della città futura; l’istituzionalizzazione della partecipazione delle donne nelle scelte e percorsi di elaborazione del cambiamento urbano; la stipula di un impegno delle Istituzioni a trasformare le promesse in azioni concrete ed a fare accountability ai cittadini, tutti.
Ultima fase della start up, l’evento denominato “La città che vorrei, reinventare la città a misura di donna”, programmato per il 14 ottobre 2022 presso l’Auditorium di Assolombarda a Milano, patrocinato, fra gli altri, da Assolombarda, ANCI, AmbienteItalia ed il Corriere della Sera come Media Partner.
L’evento di presentazione è l’occasione per presentare i risultati del questionario e divulgare il manifesto.
Evento e non convegno perché si intende lanciare una concreta revisione olistica nella progettazione urbana del futuro che veda al centro la Persona, una persona che pone al centro dei propri interessi buone pratiche e rinnovati stili di vita.
La città dei cittadini, la città attrattiva, la città verde, sana, resiliente ma anche inclusiva e sicura e che abbia sguardo e riguardo su tutte le generazioni e su tutti i generi.
Si può parlare della Città che vorrei come di un percorso educativo?
Certamente e proprio perché è necessario attuare una netta trasformazione degli stili di vita e di produzione e progettazione, occorre favorirne e facilitarne l’avvio. Il processo è culturale, il cambiamento deve coinvolgere le giovani generazioni e deve essere proposto e stimolato sin dai primi anni di vita e durante tutto il periodo di formazione scolastica.
Proprio per questo si è immaginato e progettato un Bando “Ri-generazione città giovane rivolto a tutte le scuole di istruzione secondaria inferiore e superiore.
I giovani studenti, coordinati da un insegnante referente, avranno la possibilità di elaborare la riprogettazione di spazi urbani adeguandoli ai propri bisogni ed aspettative.
Una proposta concreta di coinvolgimento dei giovani per la costruzione di un futuro più inclusivo e sostenibile. Un ascolto delle voci della cittadinanza più giovane che creerà, di per sé, un’ulteriore sensibilizzazione anche verso le tematiche di educazione alla cittadinanza.
Il Soroptimist International d’Italia, nello spirito del motto “Acceleriamo il Cambiamento” lanciato dalla Presidente Giovanna Guercio, ha messo in opera tutta la forza dei tanti Club di donne presenti sul territorio nazionale per una serie di progetti rivolti in particolare all’obiettivo 11 dell’Agenda 2023 dell’ONU: “città e comunità sostenibili”.
Nell’ambizioso disegno il Soroptimist dà un ruolo rilevante proprio ai giovani chiamandoli a dare voce al loro contributo con idee da proporre alle Amministrazioni locali per rendere le proprie città più “sostenibili”.
È stato indetto un bando “Ri-Generazione città giovane” le cui domande di partecipazione al concorso da parte delle scuole dovranno pervenire al Soroptimist nazionale entro venerdì 14 febbraio 2023. Gli studenti potranno concorrere presentando le loro idee attraverso elaborati grafici, testi, illustrazioni, slides, video.
Paola D’Ascanio, coordinatrice nazionale del progetto stesso nonché nome storico e di grande prestigio del Club dell’Aquila, ci fornisce dettagli che fanno immaginare un futuro che può essere già oggi.
“Il Soroptimist ha siglato un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione il 16 giugno scorso e questo ci ha permesso di invitare le Scuole, pubbliche e private, secondarie di primo e secondo grado e gli ITS a coinvolgere gli alunni su come vorrebbero ri-generare la propria città”. Un invito vero e proprio a ripensare il territorio a misura delle nuove generazioni”.
È un atto molto importante che accredita il Soroptimist e apre alla possibilità di poter essere un interlocutore privilegiato nel mondo della scuola, come sta avvenendo appunto con l’inserimento nella programmazione scolastica dell’educazione alla città attiva. Entriamo nel pratico, come vi interfacciate con le scuole e con quale assetto?
“Certo l’obiettivo è ambizioso e richiede un impegno non da poco. Va detto che insieme a me c’è un team di lavoro che garantisce i contatti e la corretta esecuzione. Gianna Colagrande, soroptimista del mio stesso Club già dirigente scolastico e Linda Schipani, ingegnere ambientale, presidente del Club di Messina, sono le colonne portanti sotto la supervisione della nostra presidente Guercio.
È stata costituita anche una commissione esaminatrice degli elaborati che perverranno.
Svolgiamo un lavoro sinergico con gli stessi docenti, calibrato ai tempi della scuola. È già tutto calendarizzato”.
C’è grande mobilitazione nei Club per questo progetto?
“L’interesse è altissimo, ad oggi hanno aderito oltre venti Club e il numero è destinato a crescere di giorno in giorno. La presenza diffusa su tutto il nostro Paese amplifica enormemente la portata dell’operazione che, al di là di tutto, contribuisce a creare nei giovani una coscienza partecipativa circa le questioni che riguardano il loro presente e il loro futuro”. La restituzione dei risultati avverrà con un evento di proclamazione dei vincitori del concorso nonché con la diffusione del report finale presso i possibili stakeholder e i decisori politici e amministrativi.
Call for Students
C’è tempo fino al 14 febbraio per presentare gli elaborati, in formato esclusivamente digitale secondo le modalità previste dal Bando e previa compilazione dei relativi allegati disponibili online sul sito del Soroptimist International della propria città.
Il Soroptimist International ha deciso di promuovere il bando Ri-Generazione Città Giovane presso le scuole del territorio, dando la propria disponibilità a supportare l’introduzione del progetto presso gli Istituti che intenderanno aderire, premiare i progetti migliori e favorire la comunicazione dei risultati ottenuti a Istituzioni e cittadinanza. Invita le Scuole, pubbliche e private, secondarie di primo e secondo grado e gli ITS del Territorio a coinvolgere gli alunni ad esprimersi su come i giovani vorrebbero ri-generare la propria città.
Un progetto che vuole portare i ragazzi a riflettere, conoscere meglio, analizzare la propria città per proporre interventi per una città più a misura delle nuove Generazioni.
La call for Student Ri-Generazione Città Giovane pone particolare l’attenzione sull’obiettivo 11 dell’agenda 2030 dell’ONU: “Città e Comunità sostenibili” e lo fa invitando gli studenti a conoscere meglio la propria città per disegnare un cambiamento, proporre un’idea, descrivere un progetto che risponda alle loro reali esigenze o semplicemente ai loro sogni.
C’è tempo fino al 14 febbraio per presentare gli elaborati, in formato esclusivamente digitale secondo le modalità previste dal Bando e previa compilazione dei relativi allegati disponibili online sul sito del Soroptimist International della propria città.
I progetti ritenuti più di valore saranno esposti alle Istituzioni territoriali e parteciperanno alla selezione nazionale finalizzata ad una pubblicazione, curata dal Soroptimist International d’Italia, da presentarsi nell’ambito dell’evento nazionale conclusivo del progetto a giugno 2023.
Sono sempre stata una persona curiosa. Credo sia questa volontà di non smettere mai di scoprire che mi ha portata a continuare a studiare. Da quando sono entrata in prima elementare ho avuto il sogno di inventare qualcosa per l’umanità. È stata la mia sfida personale, che non si è ancora conclusa ai miei suonatissimi 28 anni.
Credetemi, però, se vi dico che non sono stata una bambina studiosa. Preferivo trascorrere i pomeriggi in giro per le strade tortuose del lago Maggiore piuttosto che leggere pagine e pagine di sussidiario. Se doveste, infatti, parlare con mia mamma, vi confesserebbe la preoccupazione che l’ha investita per tutti i miei primi anni di istruzione e ricorderebbe con una leggera emozione quella bambina con gli occhiali, il vestitino rosa e due codini terribilmente storti a cui raccontava le vicende delle Repubbliche Marinare per l’interrogazione del giorno dopo.
Sono Alice e come avrete intuito sto frequentando il programma di dottorato. Sono iscritta al Politecnico di Milano, Dipartimento di Architettura, ingegneria delle Costruzioni e dell’Ambiente Costruito e collaboro nel laboratorio Real Estate Center.
Il lavoro di dottoranda è dinamico, complesso, faticoso, ma molto stimolante e gratificante. Alcuni giorni sono una studentessa che segue corsi di hard e soft skills; altri sono docente di corsi universitari; altri speaker a conferenze; e altri ancora consulente per grandi aziende. Certo, sono anche una ricercatrice che si occupa di integrare i principi di sostenibilità nella gestione degli edifici. Sto sviluppando un modello, basato sull’indicatore di sostenibilità Ecological Footprint, che ha l’obiettivo di guidare i gestori degli edifici nella minimizzazione degli impatti ambientali. Il modello considera e combina le risorse consumate (acqua, energia e alimenti), i rifiuti emessi e gli effetti che gli utenti hanno nella creazione degli impatti.
Trascorro così molto tempo a leggere e confrontare sistemi precedentemente sviluppati che mi servono come guida all’implementazione del mio progetto.
Questa la mia scoperta, questo il mio impegno per la società e questo il motore che mi spinge tutte le mattine verso nuove invenzioni, rendendo felice la bambina determinata che c’è ancora dentro di me.
Inserendo la parola “Robotica” su Google, i primi risultati ci riportano robot dalle sembianze umane, dipinti come super intelligenti e capaci di pensare in modo autonomo, che si avvicinano più ai ricordi del film “L’uomo bicentenario” che alle reali applicazioni robotiche esistenti oggigiorno. E mi accorgo che la stessa immagine appare nella mente delle persone quando parlo del mio dottorato in robotica o del mio lavoro. Nella realtà, robotica significa tanto altro. Nel caso del mio dottorato, ad esempio, la robotica ha assunto la declinazione di robotica “collaborativa”, che riguarda l’integrazione dei robot nelle aziende produttive, al fine di lavorare a stretto contatto con gli operatori e alleviarli da task ripetitive, pericolose o fisicamente pesanti. Il dottorato mi ha dato modo di vedere al di fuori dei confini nazionali, in particolare durante l’esperienza di sei mesi all’Università di Berkeley (San Francisco), che mi ha inoltre permesso di trovare un lavoro in Silicon Valley e passare un anno in un centro di ricerca avanzato di una multinazionale di robotica. Ora sono rientrata in Italia e lavoro in una multinazionale che si occupa di automazione industriale e robotica. In particolare, oltre agli aspetti tecnici, seguo la parte di Academy a livello nazionale, organizzando e tenendo corsi per i nostri clienti e per le università, e coordinando un gruppo di trainers, distribuiti nelle altre filiali. Ciò che apprezzo di più del mio lavoro è la dualità tra l’aspetto tecnico e umano, che mi porta ad approfondire tematiche tecnologiche avanzate e, al tempo stesso, mi porta ad essere a stretto contatto con i clienti e gli studenti, collaborando con gli altri dipartimenti della mia azienda come il marketing e i commerciali. Il Soroptimist mi sta dando la possibilità di condividere le mie esperienze con altre ragazze STEM e raccogliere tanti preziosi consigli, per crescere e migliorare nelle “soft skills”, fondamentali in un lavoro poliedrico come il mio.
È partito il 1° luglio di quest’anno per concludersi a Roma il 28 di ottobre il magnifico tour delle artiste appartenenti ai vari Club italiani che ha fatto tappa a Predazzo (TN), a Cividale del Friuli (UD), per poi fermarsi a Bologna, Siracusa, Cagliari, L’Aquila ed infine Roma.
L’articolato progetto “DONNA NATURA” è stato concepito come mostra itinerante a sostegno del progetto nazionale “Rinasce la foresta che suona” per volontà delle artiste che hanno voluto manifestare con la loro arte la bellezza come anche la fragilità del nostro patrimonio ambientale, richiamando all’esigenza di allerta per i tanti pericoli che vi incombono e di tutela per le generazioni future.
L’arte, con il suo valore simbolico, crea connessioni significative che generano sentimenti di consapevolezza, sensibilità e senso di responsabilità.
Il tema dell’ecologia ambientale e del rispetto della natura è stato l’elemento ispiratore che ha portato le artiste ad esprimersi, attraverso le proprie opere, per la salvaguardia del nostro pianeta.