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L’impegno della scelta

ConMANIdiDONNA di Luciana Grillo

Quando si avvicina l’esame di maturi-à, agli studenti noi adulti cominciamo a chiedere cosa faranno “dopo”.
Mi è capitato a fine febbraio di partecipare a un evento molto interessaNte – organizzato dall’Ufficio Politiche Giovanili del Comune di Trento, dalla Diocesi e dalla rete di scuole superiori – che ha coinvolto gli studenti del penultimo e ultimo anno scolastico che liberamente si sono iscritti all’incontro “Voci del verbo SCEGLIERE”. Insieme a circa 100 maturandi, erano presenti alcuni Testimoni, come me ad esempio, scelta su indicazione di una docente: fra i Testimoni c’erano un in- segnante, una giornalista, un artista di strada, una medica, un farmacista, una giovane consigliera comunale ed altri. Con noi, i Facilitatori, docenti che han- no stimolato domande o risposte e han- no creato un “ponte” tra adulti e studenti provenienti da vari Istituti superiori del- la città di Trento. Per trenta minuti, i ragazzi sceglievano di fermarsi presso un testimone che non chiedeva loro “Cosa vuoi fare dopo gli esami?”, ma raccontava le proprie esperienze, le scelte e gli errori, le conquiste e gli insuccessi, per far capire che anche un insuccesso può insegnare qualcosa. Scaduti i primi

trenta minuti, gli studenti sceglievano un’altra coppia Testimone-Facilitatore, per cambiare ancora una volta, dopo al- tri trenta minuti.

Io mi sono raccontata con semplicità, ho parlato della severità di mio padre e del nostro rapporto complesso, della difficoltà di scegliere la facoltà universitaria, della decisione di insegnare invece che dedicarmi al giornalismo perché solo così avrei potuto seguire mio ma- rito nei suoi trasferimenti e mantenere unita la nostra famiglia, e così via.

Alla fine, in un’aula magna gremita, ai ragazzi è stato chiesto di indicare le parole più significative servendosi di una app. Il risultato, sullo schermo dell’aula, è stato interessante: le parole più scelte erano determinazione – coraggio – passione – consapevolezza – curiosità. Nessuno dei testimoni ha dato consigli, ma ha invitato i giovani a pensare di svolgere un lavoro che si ami, senza temere difficoltà e sconfitte, ma con la convinzione che lavorare senza passio- ne è fonte di sofferenza.

Dunque, non “Cosa farai?” ma “Posso aiutarti a scegliere?”

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A Venezia le donne protagoniste dell’Arte

di Wilma Malucelli

Alla 59esima Biennale il percorso si snoda fra le artiste di tutti i continenti, un viaggio nell’Arte vista attraverso gli occhi, le mani, il cuore, la visione del mondo della Donna, interprete sensibile del nostro tempo.

A cominciare dal titolo “The milk of dreams”, l’edizione di quest’anno pare alludere alla sfera femminile, prendendo a prestito il titolo del libro per bambini di Leonora Carrington, l’artista surrealista che ama il sogno come metafora di un mondo magico e fantastico. Nelle sue opere, infatti, scrittura e disegno rimandano a un mondo fiabesco, onirico, svincolato da precise coordinate spazio-temporali, dove l’immaginazione prende il sopravvento e trasforma la materia. La Carrington, insofferente e ribelle nei confronti di una società ancora patriarcale, nei primi anni settanta, si schiera apertamente a favore dei movimenti per i diritti della donna e nel 1968 non esita ad abbandonare il Messico, dove viveva dal 1942, come atto di protesta contro la violenta repressione del movimento studentesco.

La dimensione del sogno ci accompagna e prende forma grazie alla regista franco-algerina Zineb Sedira, una video artista femminista, quarta donna a rappresentare la Francia nella storia della Biennale: “I sogni non hanno titolo” è una installazione cinematografica che, fra storia e finzione, allude alle speranze di cambiamento dopo le lotte di liberazione dal colonialismo. Il padiglione si trasforma dunque in un vero e proprio set cinematografico che trascina lo spettatore/visitatore a danzare al ritmo delle sequenze filmiche, a danzare per resistere, per rinascere, per sognare…

Così come sogna di librarsi in aria col suo aquilone il ragazzino afghano che in quel gioco pare interagire col cielo e confrontarsi con forze sconosciute. Il padiglione del Belgio ci riporta all’infanzia attraverso i poetici e suggestivi video di Francis Alys che esplora “The Nature of the Game” ed elabora il progetto Children’s Games, attraverso tutti i continenti. Ma i sogni dei bambini e i loro giochi paiono infrangersi nello scontro col violento mondo degli adulti, sembra dire l’artista, attraverso l’occhio della sua telecamera. La sua coraggiosa denuncia fa luce su un mondo stravolto dalla sopraffazione e dal degrado ambientale, in cui i bambini riescono tuttavia a trovare una via di scampo grazie alla “Natura del gioco”, un gioco che solo loro riescono a inventare. Ed ecco alcuni bambini della Repubblica Democratica del Congo, esili corpi che si stagliano sulla distesa oscura delle scorie di una miniera di cobalto, mentre spingono faticosamente sulla cima di quella montagna nera dei grossi pneumatici. E poi l’adrenalina pura di infilarsi all’interno del copertone e rotolare vorticosamente giù dal pendio!

L’Africa ritorna e domina nel padiglione degli USA attraverso l’arte potente di una donna, Simone Leigh, nata negli Stati Uniti da genitori giamaicani. “Femminismo nero” è stato definito il suo messaggio artistico che volge lo sguardo alle donne di colore e alla cultura africana con i suoi simboli, un imprinting “latente” ma fortemente radicato in lei. Il suo messaggio “Sovereignity” fa riflettere sul destino di tanti popoli, sulle aspirazioni all’autodeterminazione, all’affrancamento da nuove schiavitù e coglie il grido di coloro, specie le donne, che vogliono essere autori e attori della propria storia.

Cecilia Alemani, curatrice della biennale, immagina un viaggio trans-storico che procede per rapporti di solidarietà e sorellanze attraverso artiste che hanno “ripensato le categorie dell’umano e del sé”. Ed ecco nella prima sala dell’Arsenale l’arte potente ed espressiva di Belkis Ayòn, afrocubana, adepta di una confraternita segreta e misterica, tutta maschile, che tramanda il mito della principessa Sikàn, condannata a morte per aver infranto un segreto ed essere venuta meno a un giuramento. Personaggio centrale dell’arte della Ayòn, l’infelice Sikàn è al centro della sala, in una enigmatica scultura dai lineamenti misteriosi, priva degli occhi, il volto incorniciato da lunghe trecce. L’arte di Belkis/Sikàn è anche una denuncia contro una cultura sessista e patriarcale, cui si ribella mettendo in luce la presenza femminile nel mito e nella religione ancestrale. Un omaggio doveroso a questa grande artista, che, poverissima, riuscì a diplomarsi all’Istituto superiore d’Arte a La Havana e a ottenere riconoscimenti internazionali, pur nella sua breve vita: morì infatti nella capitale cubana nel 1999 a soli 32 anni.

Una Biennale delle donne dunque, una coraggiosa inversione di tendenza, per una storia dell’arte riletta al femminile: di 213 partecipanti da 58 nazioni oltre l’80% sono artiste, brave, coraggiose. con la loro ansia di libertà, il loro immaginario, con i loro sogni…

“The Milk of Dreams” racconta la condizione umana fatta di dominio, sottomissione, ribellione, potere e speranze, un “latte” che alimenta tutti coloro che credono nella bellezza dei propri sogni!

Grillo-Luciana

Con mani di Donna

La rubrica di Luciana Grillo

Autunno, tempo di ripresa

Ad agosto, con aziende e fabbriche chiuse, sembra che tutto il mondo sia in vacanza, poi ricomincia il lavoro, fioccano gli impegni, ci si prepara ad una stagione lunga fatta di consuetudini e talvolta di novità.

Per gli studenti, con l’apertura dell’anno scolastico, riprende l’impegno, anche se, passando da ciclo a ciclo scolastico, cambiano tante cose, dall’edificio agli insegnanti, dalla distribuzione delle ore di studio ai compagni. Quest’autunno 2022 è però diverso dagli altri: dopo tre anni tormentati dalla pandemia, gli studenti aspettano il momento di andare a scuola “veramente”, senza DAD, con libri nello zaino, compagni da incontrare, nuovi impegni da affrontare.

Da ex insegnante, mi sono calata sia nel mondo dei ragazzi che forse, come mai prima, desiderano alzarsi presto, prendere la corriera e varcare il portone della scuola, eccetera eccetera, sia in quello delle insegnanti che hanno dovuto forzatamente abbandonare registri, interrogazioni e lezioni frontali per svolgere un lavoro da casa, più comodo per certi versi, ma sicuramente più complicato per altri, come ad esempio mantenere sempre vigile l’attenzione degli studenti che, davanti al computer, possono pensare ad altro o anche guardare un torneo di tennis dal televisore posto dietro il computer…

Per chiarirmi le idee, ho chiesto a cinque insegnanti di parlarmi di ciò che si aspettano da questo anno scolastico: Barbara ha raccontato la scuola degli ultimi anni “chiusa, meccanica e ripetitiva…banditi viaggi d’istruzione, vivaci assemblee di Istituto, uscite sul territorio”; ha pensato a studenti che hanno perduto persone care per il covid, e non hanno potuto neanche salutarle…dunque non si chiede quale scuola voglia, ma piuttosto quale scuola non voglia.

Anche Vincenza, dopo isolamento e costrizione, vuole tornare a “una scuola il più possibile partecipata e partecipativa, improntata sulla relazione tra persone e tra discipline”, mentre Ricciarda ricorda una casa improvvisamente rivoluzionata per far posto agli strumenti della DAD e confessa di aver considerato questa didattica “come un ponte verso gli studenti” abituati a una scuola fatta di lavoro fianco a fianco. “La didattica a distanza in molti casi ha fatto apprezzare la scuola come non accadeva da tempo… è stata un’occasione per ripensare alla scuola di domani…per abbandonare una volta per tutte l’impolverata concezione di “programma scolastico”.

Ginevra vorrebbe ritornare alla scuola tradizionale…lezioni frontali…senza troppe carte da compilare, e anche Fabiana dice che “la scuola che vorremmo in futuro deve necessariamente recuperare una parte del passato per essere al passo coi tempi, curare la formazione dell’alunno basata sugli stimoli alla lettura e alla formazione del pensiero critico”. E conclude ricordando che “il linguaggio degli alunni si è talmente impoverito da limitare l’espressività verbale e le capacità analitiche…Il recupero dello studio delle discipline umanistiche va assolutamente potenziato come percorso di sviluppo del pensiero critico.

Potrei non essere d’accordo?

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Viva le cantiniere!

Storia del Casato Prime Donne

Portabandiera di un esempio unico in Italia, dove la componente femminile straborda da ogni calice.

Intervista a Donatella Cinelli Colombini, di Francesca Pompa

Protagonista della storia che stiamo per raccontarvi è Donatella Cinelli Colombini. Nome altisonante nell’ambiente del vino, e non solo, per aver rivoluzionato il settore con le sue tante idee innovative. Prima tra tutte, quella di aver voluto per la sua cantina Casato Prime Donne, cantiniere tutte donne, enologa compresa, caso più unico che raro in Italia, un successo internazionale grazie alla qualità dei suoi Brunello.

Toscana doc, classe 1953, laureata in Storia dell’Arte medioevale. Viso pulito e sorridente, dove lo sguardo si accende di meraviglia. Nel 1993 fonda il Movimento del Turismo del Vino e poi inventa Cantine aperte, una giornata dedicata all’enoturismo. Dopo 14 anni nell’Azienda di famiglia nel 1998 ne crea una propria. Nel 2003 le viene conferito il premio di miglior produttore italiano. Al suo attivo molte pubblicazioni tra cui il Manuale del turismo del vino. Assessore al Turismo del Comune di Siena, lancia, fra l’altro, una nuova tipologia di turismo sportivo: il “trekking urbano”. È delegata toscana delle Donne del Vino e dal 2008 è Vicepresidente dell’Enoteca Italiana.

Fattoria del Colle





Per iniziare partiamo della tua esperienza personale?

Vengo da una famiglia di produttori di Brunello di Montalcino, ho lavorato per una ventina d’anni nell’azienda di famiglia insieme a mia madre e mio fratello. Quando lei decise di andare in pensione dette l’azienda principale (la Cantina di Brunello) a mio fratello. Chiesi per me l’opportunità di realizzare il mio sogno: produrre un vino di alta gamma con la mia filosofia e il mio spirito. Così mi diedero due aziende della famiglia che erano marginali: la Fattoria del Colle e il Casato di Montalcino.

La prima era un piccolo borgo con tutto intorno vigneti, campi di cereali, uliveti ma con un grosso indebitamento e tanti lavori da fare oltre a ricostruire la cantina per fare i vigneti ma anche ristrutturare l’intero agriturismo. Il casato di Montalcino, invece, era un rudere con dei vecchi vigneti da ripiantare. Mia madre per aiutarmi mi dette anche un po’ di Brunello in botte ed ebbe inizio così la mia avventura.

Giardino all’italiana, Fattoria del Colle

Il Brunello deve stare in botte almeno due anni con cure quotidiane, e per questo avevo bisogno di un enologo che lo seguisse, così telefonai alla scuola di enotecnici di Siena chiedendo un bravo studente da assumere. Mi risposero che era impossibile in quanto bisognava prenotarsi con anni di anticipo. Ripensandoci, chiesi se avessero delle studentesse donne e mi risposero che ce ne erano eccome perché nessuno le voleva. Mi resi conto subito di questa forte discriminazione che passava come normale. Decisi allora di sovraesporla trasformando questa disfunzione in un’opportunità: sviluppare una cantina di sole donne.

Lavorando con impegno abbiamo costruito una grande squadra in grado di performare a grandissimi livelli. Esportiamo in 41 paesi esteri e abbiamo un successo crescente di pubblico e di consensi. In questi progetti ci vuole, naturalmente, tenacia e un gruppo coeso, competente e talentuoso ma ci vuole anche un briciolo di fortuna e noi l’abbiamo trovata in un appezzamento di terra in un vigneto che si chiama Addita che ha caratteristiche fuori scala. Riesce a fare i grappoli perfetti, tutti uguali con un livello di ottimale maturazione tutti gli anni in qualunque situazione climatica. La natura è così, ad un certo punto ti tira fuori un campione.

La disfunzione tra maschile e femminile che tu hai capovolto, la ritrovi anche nella tua storia? La parte migliore al maschio e alla donna quella minore, proprio come era nella cultura di un tempo.

Bisogna fare un quadro generale. Il vino ha 8000 anni e insieme al formaggio sono “alimenti” che per primi l’uomo ha imparato a conservare: la frutta fermentata diventa una bevanda e il latte accagliato diventa formaggio. Queste attività storicamente, soprattutto il vino, sono maschili. Se andassimo a vedere i geroglifici egiziani o la Bibbia ci vediamo gli uomini. Gesù descrive degli uomini nella vigna. Tutta la parte produttiva è appannaggio maschile, anche In Italia in questo momento le donne in cantina e in vigna sono il 14% e raramente occupano posti apicali, ma dov’è cambiata invece la situazione? Nel fatto che la parte produttiva è diventata una sezione del processo che oggi si completa con il commerciale, il marketing, la comunicazione e il turismo del vino. Qui le donne sono fortissime, a grande maggioranza, superano la metà come addette e come ruoli.

Quindi le donne sono più nella parte strategica?

La parte dove si crea la ricchezza è dominata dalle donne. Il mio amico Riccardo Cotarella presidente della Assoenologi si mise a ridere quando gli dissi che senza noi donne nella vendita sarebbero in un mare di guai poiché chi trasforma il vino in dollari, euro e yen sono le donne.

In linea con l’evoluzione del mercato che prima poneva al primo posto il prodotto, oggi invece principe è il consumatore

Diciamo che la parte produttiva è stata ridimensionata rispetto alla parte commerciale. La seconda della catena produttiva. Nel tempo anche le famiglie storiche che tradizionalmente privilegiavano dovranno rivedere la loro strategia perché nei fatti i pesi si sono equiparati.

Il prodotto deve esserci naturalmente ma senza il marketing perde valore. Parlando più in generale delle donne nel vino, come si è sviluppata questa presenza?

L’associazione Donne del Vino è nata 35 anni fa nel 1988 a Firenze per opera di Elisabetta Tognana. All’inizio erano un gruppo di pioniere che suscitavano anche certi sorrisini nel mondo del vino, ma oggi l’Associazione è composta da oltre 900 socie di tutta la filiera produttiva quindi titolari di cantine, ristoranti, enoteche, giornaliste, sommelier esperte. La nostra Associazione Italiana è la più grande ed organizzata nel Mondo ed è alla guida di un network internazionale di 11 associazioni sorelle di paesi esteri che si ritroveranno per la seconda volta al Simei dal 15 al 18 novembre prossimo a Milano. L’idea è quella di creare un network che dia a tutte le donne del vino nel mondo opportunità formative, viaggi d’istruzione, scambi di know how e di opportunità di business.

Un ruolo importantissimo, un movimento vero e proprio quello delle donne del vino. Pensando alle giovani leve, che consiglio potresti dare a chi vuole intraprendere questa strada?

Le donne del vino si stanno prodigando in questo senso anche se alcuni progetti hanno risentito il fermo per Covid. Riguardano essenzialmente la messa a disposizione dell’esperienza con visite in aziende, stage, borse di studio, insomma far vedere il mondo del vino al di là delle apparenze. Il nostro è un mondo che sembra pieno di lustrini ma nella realtà è un lavoro serio, impegnativo, duro.

Il progetto maggiore riguarda le scuole alberghiere e del turismo (scuole superiori), per futuri maître d’hotel, direttori di agenzie di viaggi, direttori di tour operator, direttori di cantine turistiche che sono la prima linea turistica.

Tutto questo sempre ad opera dell’associazione?

Il progetto è partito in tre regioni con Le Donne del Vino: Piemonte, Emilia-Romagna e Sicilia con 5000 studenti in otto istituti in cui abbiamo insegnato a questi ragazzi che cos’è il vino (lo possono assaggiare solo quelli dell’ultimo anno) e abbiamo illustrato quali sono le professioni del vino, cosa che questi ragazzi non si aspettavano. Si sono resi conto che ci sono addetti al marketing web, alla comunicazione in inglese, al commerciale in lingua estera e i ragazzi si sono entusiasmati abbandonando l’idea che il mondo del vino fosse solo “zappa”.

Un mondo di opportunità che richiede naturalmente livelli di professionalità e competenze adeguati al ruolo che si va a ricoprire. La complessità ormai fa parte del gioco.

Dall’anno prossimo il progetto si estende in tutta Italia con due scuole per regione, per un totale di 20.000 studenti. Stiamo tentando di convincere il Ministero ad andare avanti da solo, in modo che non ci siano figli e figliastri (persone che hanno avuto questa esperienza e chi no). Un’associazione come la nostra di 1.000 membri non può sopperire ad una quantità di istituti come quelli che ci sono in Italia.

Un progetto del genere necessita naturalmente di risorse umane ed economiche, come fate?

Noi ora facciamo tutto come volontariato, ma un domani dobbiamo limitarci, come donne del vino, a delle testimonianze in aula e a delle visite in azienda poiché ci vogliono molte ore e non potremmo fare altro. Ma in un paese come l’Italia che ha l’enogastronomia come primo attrattore di viaggio, non il Colosseo ma l’Amatriciana, non possiamo pensare che le future persone abbiano 60 ore di storia dell’arte e zero ore sul vino.

È ciò che si riscontra anche nel mio settore. Tanti giovani escono dall’università con la laurea in Comunicazione ma non sanno poi come maneggiare gli strumenti del “mestiere”. Quali sono le figure richieste e quali competenze bisogna acquisire per lavorare nella comunicazione. Nei tanti anni di attività non ho mai trovato nessuno pronto per lavorare ma piuttosto da formare.

Naturalmente cosa vuol dire questo? Il primo appello che viene fatto alle istituzioni è di organizzare le strutture formative perché con la legislazione che c’è in Italia l’azienda che investe sulla formazione di un giovane rischia di non riuscire a competere con l’azienda vicina che non ha avuto costi formativi e che quindi può offrire un salario più alto. Bisogna dire che i costi della formazione se le assuma lo Stato, in più bisogna che ci siano degli strumenti di regia nazionale perché non possiamo continuare a lasciare all’azienda il costo sperimentale. Per esempio, dove vanno i turisti alto spendenti? In Piemonte? Lì bisogna formare personale con certe caratteristiche. Le aziende vanno per tentativi.

Anche per questo le aziende chiudono, a stare al passo con i tempi, con la complessità del momento. Bisogna aiutarle con programmi mirati a fornire quelle competenze che oggi servono e che invece scarseggiano.

Il consiglio da dare ai giovani è: non abbiate paura del mondo del lavoro, guardatevi intorno, cercate di formarvi su quello che realmente vi piace, vi entusiasma, su dove desiderate eccellere, perché il punto di congiunzione tra quello che sognate e desiderate e quello che offre il mondo del lavoro c’è, anche se a volte è difficile trovare.

Il famoso detto “chi cerca trova” vale sempre, è sperimentato. Secondo te quali sono i pro e i contro di questo tipo di attività?

Il contro è sicuramente il cambiamento climatico, talmente repentino e violento che ci mette di fronte a delle sfide enormi: gelo, siccità…

La ricerca non è in grado di darti delle risposte in modo rapido quindi noi tutti stiamo facendo delle sperimentazioni nelle nostre strutture. Il cambiamento climatico è incombente. L’altra cosa, il pregio, ti mette in contatto con persone di tutto il mondo che parlano la tua lingua, hanno gli stessi problemi: abbiamo un linguaggio universale.

Come la musica. Rispetto alla crisi causata dal Covid, il vostro settore ne ha risentito?

Noi siamo tra quelli miracolati, avevamo due meravigliose annate di Brunello del 2016 e 2015 che hanno avuto un successo di stampa e commerciale enorme per cui hanno tenuto in piedi le aziende benché il settore turistico presentasse grossi buchi nel bilancio. Ci hanno salvato i bilanci, permesso di continuare gli investimenti, di andare avanti e di superare la crisi. Nel turismo ne abbiamo risentito di più poiché i lockdown sono stati tanti. Per fortuna esportiamo oltre il 70% del nostro vino e questo ci ha aiutato tanto.

Ha creato una stabilità anche nel settore in generale?

Ha tenuto molto bene tutto il settore. Abbiamo più problemi ora perché mancano le bottiglie, il personale. Soprattutto i vetri per le bottiglie sono un serio problema perché le vetrerie sono industrie energivore e quindi stanno cercando di produrre il meno che possono altrimenti andrebbero in fallimento.

È davvero un grande problema. Come vede il futuro?

Mi auguro che la guerra in Ucraina trovi una soluzione anche provvisoria, perché capisco che con tutti i morti che hanno avuto non accettino che il loro sacrificio sia stato vano. Comunque bisogna che ci sia uno stop alla guerra. Spero in un ripensamento di tutti, perché qui siamo di fronte ad un’immediata necessità di salvaguardare l’ambiente, di ritrovare degli equilibri diversi dal consumismo, dallo spreco, dal lusso perché la conseguenza sarà la morte di tutti.

Dobbiamo tornare ai valori fondanti, a quelli veri mettendo in atto una rivoluzione con la sola arma dell’amore e della pace. Quali sono e dove sono localizzate maggiormente le eccellenze del tuo settore?

Certi territori hanno proprio nel terreno, nella vigna qualcosa di particolarmente vocato al vino, ed è lì che si concentrano i talenti e le strutture migliori.

Questa è una condizione imprescindibile?

Non è detto, perché poi trovi la persona geniale, il Beppe Quintarelli della situazione, che crea l’Amarone moderno, Elena Fucci che a Barile crea l’Aglianico moderno.

Quindi è importante puntare sulle innovazioni di prodotto?

Ci sono persone che riescono a capire meglio quel terreno e quella vite e a mettere a punto il processo produttivo per arrivare ad una nuova eccellenza che poi crea opportunità per altri di aprire nuove aziende, fare nuovi investimenti e creano una nuova strada verso lo sviluppo com’è successo in Franciacorta, nell’Etna. C’è una vocazione storica dei territori e poi ci sono altri che sono arrivati al successo di recente come nelle zone vulcaniche con i rosati, le bollicine…

Quali sono i maggiori ostacoli da superare, oltre al clima già citato precedentemente?

In linea generale per le donne la parte più dura è quella finanziaria, il rapporto con le banche anche se apparentemente nel settore del vino il fenomeno sembra essere meno grave rispetto ad altri. Il livello di scolarizzazione delle donne addette all’agricoltura è migliore rispetto a quello degli uomini. Poi abbiamo quello che viene chiamato gender gap, ma in linea generale il settore vinicolo è quello più vicino alla parità di genere rispetto agli altri settori economici. Questo vale per tutto il mondo. Non siamo ancora arrivati però alla parità effettiva.

Un altro problema, purtroppo parzialmente sommerso, è quello delle molestie. Dall’indagine fatta con l’università di Siena, le moleste denunciate a donne del mondo del vino si aggirano al 6% negli ultimi tre anni. Certi procedimenti per arginare questo problema andrebbero messi in atto e noi abbiamo già fatto richiesta al Ministro delle Autorità che però non ha ancora preso provvedimenti. In paesi più evoluti, come la California, all’assunzione al lavoro, per tutti e due i generi, è obbligatorio un corso breve, di poche ore, che insegna a capire la differenza tra la maleducazione, l’atteggiamento lesivo della dignità e il reato.

La persona che ti tocca, ti giudica dai vestiti va già oltre la maleducazione, entra nell’illecito se non addirittura nel reato nel momento in cui c’è un tentativo di costrizione al rapporto sessuale. Bisogna sapere che esistono questi tre livelli e fare in modo che l’ambiente di lavoro sia consapevole di questo. Il corso non è rivolto solo alle donne ma anche alle minoranze, come le persone della comunità LGBTQ, minoranze etniche, i diversamente abili.

Mi è stato chiesto perché non facciamo anche noi questo corso, ho risposto che da noi non ce n’è bisogno: nella mia azienda a nessun mio dipendente verrebbe mai in mente di compiere queste azioni perché sanno che, se mai dovesse arrivarmi sul tavolo qualcosa, saprebbe di fare una brutta fine.

Abbiamo fatto passi avanti ma c’è ancora tanta strada da fare, non abbiamo ancora raggiunto dei traguardi.

Bisogna migliorare, la differenza di genere costa agli italiani 96 miliardi all’anno. Trasformare laureate in baby-sitter e badanti è un danno enorme.

Non è solo un fatto di genere, è proprio un allarme sociale, economico.

Quando dicono la prima risorsa che possiamo introdurre per un reale sviluppo sono le donne è perché il PIL risente fortemente il mancato utilizzo del talento femminile.

Le skill delle donne sono in parte anche complementari e non solo aggiuntive rispetto a quelle degli uomini. Avere più donne al lavoro non ne beneficia solo l’economia per l’aumento di percettori di reddito (e contribuenti, naturalmente), ma anche e soprattutto per l’incremento di produttività.

Appello: chi segue queste informazioni vada poi nelle cantine delle donne dove non troverà soltanto dei grandi vini, ma nuove amiche.

Soroptimist, una pratica di Democrazia partecipata

di Giovanna Guercio

Sintesi dell’intervento della Presidente Nazionale Giovanna Guercio alla Festa di Scienza e Filosofia – Virtute e Canoscenza, Foligno, 21-24 aprile 2022.

La Festa di Scienza e Filosofia – Virtute e Canoscenza (in omaggio a Dante Alighieri e alla prima copia della Commedia data alle stampe a Foligno nel 1472) è arrivata alla sua undicesima edizione, dopo l’interruzione nel 2020 a causa della pandemia.

Scienziati di molteplici discipline si confrontano su un tema diverso per ogni edizione.

Il tema di questa edizione è stato “Riprendiamo il cammino. La Scienza, il nuovo sviluppo, il pensiero libero”, che ha portato a riflessioni sui rapporti tra scienza moderna, modelli di sviluppo sostenibile, tutela della Natura.

La democrazia si rafforza grazie a una pluralità di fattori, fra cui diffuse pratiche di partecipazione civile, in cui acquisire competenze per la vita pubblica. Nel Soroptimist club International, che ho l’onore di presiedere a livello nazionale, le socie di ogni club, diverse per formazione, professione, età, si confrontano continuamente per realizzare nei propri territori progetti e service coerenti con i bisogni del territorio e gli obiettivi nazionali, europei e internazionali del club. Parole e azioni per promuovere la cultura dei diritti, lo sviluppo sostenibile e la democrazia duale.

In questa sede ci soffermeremo sul ruolo che possono avere associazioni, come il Soroptimist International d’Italia rispetto allo sviluppo della partecipazione democratica.

Obiettivi, Ruoli e Metodo nel Soroptimist International 

La qualità di partecipazione, all’interno di ogni sistema, può essere rafforzata o indebolita da una pluralità di fattori, fra cui la chiarezza o meno degli obiettivi perseguiti, della continuità nelle azioni per perseguirli e dal modo in cui ci si portano avanti le relazioni.  Per quanto riguarda le finalità del Soroptimist club International sono fondanti l’affermazione dei Diritti Umani e la lotta contro ogni discriminazione.

Ricordiamo che questo club service è nato poco più di 100 anni fa, nel 1921 a Oakland in California, “con un progetto di respiro internazionale[1], come scrive la nostra socia e storica Anna Maria Isastia, e si è diffuso in tutto il mondo.

Proprio per il suo impegno verso i Diritti Umani, riconosciuto a livello internazionale, il Soroptimist International ha potuto partecipare con la socia brasiliana Berta Lutz – una delle quattro donne su 800 delegati – ai lavori preparatori della Carta dell’ONU nella Commissione presieduta da Elisabeth Roosvelt.

Con Berta Lutz il Soroptimist ha contribuito a definire il nuovo progetto di democrazia, fondato sul rispetto dei diritti per ogni persona, senza alcuna discriminazione.

La crescita dell’Associazione è avvenuta attraverso la codificazione di ruoli e di un metodo che consentisse uno scambio d’informazioni, progetti, best practices fra la Governance Internazionale e le Federazioni, fra queste e le singole Unioni Nazionali, come quella italiana, così come fra quest’ultime e i vari club territoriali.

L’impegno è stato quello di favorire, ma anche regolare in modo agile una circolarità d’informazioni.

Negli ultimi anni, accanto al sistema di comunicazione internazionale e di partecipazione è cresciuta anche quella fiorita con il social che ha incrementato il vitale scambio d’informazioni fra singoli club e non solo fra i vertici e la base. In particolare, dal 2021 l’Unione Italiana, con il suo progetto “Una finestra sul Soroptimist nel mondo” sta curando la circolarità d’informazioni fra l’Italia egli altri paesi e fra i vertici del Soroptimist e i vari club internazionali.   

Il modello di organizzazione e il senso di comunità nei singoli club

Lo sviluppo della partecipazione democratica, all’interno di ogni organismo e quindi anche del Soroptimist International richiede non solo l’adesione a principi comuni, ma anche una pratica continua e consapevole di alcune azioni. La qualità della partecipazione, all’interno dei club, dipende in particolare da due fattori: la presa a carico dei ruoli previsti e la dimensione della convivialità.

Per quanto riguarda il primo punto, cioè i ruoli nel club, è prevista, ogni due anni, la rotazione e la divisione delle numerose cariche, oltre a quello della Presidente, Segretaria e delle Consigliere, che consente di coinvolgere, come richiede lo Statuto, la maggioranza delle socie. La partecipazione a nuovi Comitati e Progetti permette, inoltre, di dare spazio alla espressione di tutte, secondo i propri tempi e le proprie competenze. 

La lungimiranza dello Statuto risiede nell’implicita idea che per lo sviluppo del club c’è bisogno di una partecipazione diffusa. Per questo motivo la leader, cioè la Presidente in carica dei vari club, ha sulla carta un fondamentale ruolo di servizio. Possiamo dire che ogni presidente può costruire un ponte tra i vertici dell’Associazione e il club, occupandosi, non solo della chiarezza degli obiettivi, del metodo e presa a carico dei ruoli, ma anche dell’attenzione al clima relazionale, alla qualità della comunicazione e allo sviluppo sia dei progetti di club, sia all’espressione, crescita e benessere di ogni socia. Chiaramente più ci si avvicina a questo modello organizzativo più prende forma la partecipazione, si rafforza il senso di appartenenza e di comunità. Quando, invece, ci si allontana dal modello indicato, si rischia di cadere in una gestione del club portata avanti da poche socie, quali la Presidente, la segretaria e qualche altra, con quell’inevitabile aumento di demotivazione e possibile contrapposizione, che caratterizza i vari ambienti in cui la pluralità delle persone non si sente in qualche modo partecipe e protagonista di un processo. 

Questa crescita di democrazia partecipata, di fatto, richiede la continua promozione a livello nazionale di un’adeguata consapevolezza e formazione, sia a livello di Leadership, sia di Membership. In particolare, occorre la progressiva padronanza di quelle che sono definite soft skills, vale a dire le abilità, ritenute essenziali nel mondo del lavoro o nei vari ambienti lavorativi d’impegno operativo come i club service, per sapersi rapportare, collaborare, risolvere problemi e prendere le decisioni di propria competenza.

Una delle caratteristiche dei club service è anche quella della vita conviviale. Sono previsti, infatti, momenti d’incontro in locali pubblici o nelle case delle socie, in cui dopo la relazione di una socia o di una persona esperta esterna, si cena assieme, si parla dell’evento, ma anche di altro. Si costruiscono relazioni piacevoli e, in qualche modo, si dà una dimensione emotivo-affettiva allo stare assieme. Elemento, questo, essenziale, all’interno dei vari gruppi per quel senso di appartenenza “emotivo, affettivo” e non solo “razionale” che è fondamentale per costruire non solo gruppi coesi, ma anche comunità in cui in cui ci si sente a proprio agio. 

Negli ultimi due anni, in occasione del Lockdown da pandemia per Covid – 19, sono nate anche chat di club e delle diverse professioni che hanno potenziato ancor più lo scambio e la comunicazione.  

Dall’esperienza di Comunità nei club alle azioni partecipate sui territori

Nel nostro club, così come in altre realtà, il compito e il servizio di chi ha ruoli apicali sono soprattutto quelli di valutare e riuscire in qualche modo a ridurre i rischi e a potenziare i fattori di protezione: intima coerenza con le finalità, padronanza delle soft skill, ecc. Questa direzione, peraltro indicata dagli Statuti come già abbiamo detto, richiede un’attenzione continua, non solo alle azioni esterne, ai service a vantaggio della cittadinanza, ma anche alla coesione interna, alla crescita delle competenze politiche, alla capacità di ascoltare punti di vista diversi, all’argomentazione dei propri punti di vista e al confronto costruttivo per obiettivi rivolti al bene comune.

Imparare a fare questo confronto fra socie di diversa formazione culturale, professionale, condizione sociale, economica e fasce di età, attraverso azioni comuni e momenti conviviali, è una grande pratica, che, quando è realmente attuata, diviene un’opportunità di crescita per ognuna e la possibilità di muoversi all’esterno con un giustificato senso di appartenenza che induce inevitabile autorevolezza ed efficacia.

Dalla qualità di questo processo di coesione interna, quando i club diventano delle vere comunità, si rafforza anche la possibilità di costruire dei processi partecipati nei vari territori, e non solo a livello nazionale, europeo o internazionale. La coesione interna porta inevitabilmente a muoversi sul territorio con chiarezza, facendo ricorso alle competenze presenti nel club.  

Bibliografia

Abramavel R., D’Agnese L. (2015) La ricreazione è finita. Scegliere la scuola. Trovare il lavoro. Milano: Rizzoli.

Bauman Z. (2003). Voglia di comunità. Bari: Editori Laterza.

Francescato D., Putton A. (2000). Stare meglio assieme. Milano: Oscar Mondadori. 

Isastia A. M. (2021).  Una rete di donne nel mondo. Soroptimist International, un secolo di storia (1921 – 2021). Roma: Edizioni di Storia e Letteratura. 

La Marca A. (2020) Soft Skills e saggezza a scuola. Brescia: Scholè.

Quaglino G. P., Casagrande S., Castellano A. (1992), Gruppo di lavoro Lavoro di gruppo. Milano: Raffaello Cortina Editore.  


[1] Isastia A. M. (2021). Una rete di donne nel mondo. Roma: edizioni di Storia e Letteratura. Pag. 15

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Agnese Pini

L’unica al timone di tre prestigiose testate italiane

Intervista di Silvia Ruspa

Agnese Pini decide di fare la giornalista a sedici anni, dopo aver letto i punti di vista espressi da Oriana Fallaci, Enzo Biagi, Dacia Maraini e Tiziano Terzani, pubblicati sul Corriere della Sera in seguito al crollo delle Torri gemelle, durante gli attentati dell’undici settembre 2001.
Dopo un esordio precoce (il suo primo articolo esce sul quotidiano La Nazione nelle pagine locali di Carrara, il giorno del suo ventiduesimo compleanno), inizia a collaborare con varie testate a carattere nazionale da Il Giorno, l’ANSA, la redazione di Metropoli, Mondadori ed il Gruppo editoriale L’Espresso.
Nel 2016, ritorna alla Nazione con l’incarico di Vice Caposervizio della redazione di Siena.
Nell’anno successivo, si sposta a Firenze, nella sede centrale del quotidiano toscano, dove dal primo di agosto del 2019, prende la direzione, all’età di 34 anni.
Dal primo luglio del 2022, assume anche l’incarico della direzione de Il Giorno, de Il Resto del Carlino e di Quotidiano Nazionale, diventando, di fatto, direttrice di tutti i quotidiani del gruppo editoriale Monrif, amministrato da Andrea Riffeser Monti.

Direttrice, ci può spiegare cos’è QN?

Si potrebbe definire una sorta di vetrina di tre testate storiche, prestigiose, Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione, nata dalla visione lungimirante di Andrea Riffeser.

Questa strategia ha reso possibile un coordinamento fra notizie di carattere internazionale, nazionale e locale con una valorizzazione del territorio, garantita dalle varie redazioni locali che spaziano dalla Lombardia all’Umbria.

Chiaramente, ciò ha comportato un lavoro complesso costruito sull’ascolto, la mediazione, la pazienza nella selezione delle notizie delle varie redazioni ma è ciò che rende unico QN all’interno del mercato editoriale italiano dove la carta stampata, da ormai ventanni, sta perdendo enormi fette di mercato. Il radicamento territoriale di QN costruito sulla familiarità, sulla tradizione e storicità, sulla consuetudine delle tre testate sopra citate funge da ancoraggio nella caduta verticale delle vendite dei quotidiani, in Italia.

Inoltre, la valorizzazione del territorio fa si che notizie locali che rimarrebbero escluse dal circuito nazionale possano emergere ed assurgere, a seconda dei casi, alla diffusione nazionale.

Come si arriva alla Direzione di QN?

Tre anni or sono, venni nominata direttrice de La Nazione di Firenze, a soli 34 anni.

Fu una nomina del tutto inaspettata, proprio in quanto prevedeva un ruolo direttivo da parte di una donna. Si trattò, allora come ora, di una chiara espressione di volontà di genere, da parte dell’Editore.

Se non ci fosse stata questa espressione di valorizzazione di genere, non sarei diventata direttrice de La Nazione, allora e di QN, ora. Purtroppo, in Italia, è ancora impossibile per una donna raggiungere ruoli professionali direttivi, soprattutto in alcuni ambiti di attività e, sicuramente, il giornalismo si colloca fra questi. In effetti, non ho termini di paragone o modelli a cui ispirarmi. Mi rendo conto di rappresentare un’unicità nel panorama editoriale italiano e, proprio per questo, mi sento ulteriormente stimolata a migliorarmi, ponendomi l’obiettivo di una continua formazione professionale e personale.

Esiste un problema di scelta che parte da chi sceglie. È giusto dire e ribadire che io non sono e non mi considero la giornalista donna migliore nel panorama editoriale italiano. Mi è stata concessa un’occasione tramite il meccanismo delle Quote Rosa che rappresentano, incontrovertibilmente, una forzatura ed una distorsione anche rispetto al valore della meritocrazia ma che in un Paese come l’Italia, dove la metà di chi svolge la professione giornalistica è donna, diventa l’unica possibilità di assurgere a ruoli direttivi.

L’ISTAT ci rivela che nel 2021, in Italia seconda manifattura d’Europa oltre che Paese fra i più industrializzati al mondo, mediamente, solo il 49% delle donne è impegnata in un’occupazione stabile, praticamente, una donna su due. Mentre, la percentuale scende al 30% nel Mezzogiorno. La freddezza dei numeri non parla, poi, delle conseguenze di queste rilevazioni in termini di mancanza di autonomia economica, sociale, ma anche negli equilibri familiari.

Quindi, le quote rosa rappresentano un’occasione che non va sprecata per arrivare a giocare delle partite senza handicap in partenza causati dall’identità di genere.

Come si è trovata a dirigere anche i suoi colleghi uomini?

Non sperimento differenze particolari nella direzione. Dirigere coincide, fondamentalmente, nel guidare le scelte degli altri. E ciò lo si fa partendo dall’etica del proprio ruolo ma anche della propria personalità, da chi siamo intimamente. Trovo sbagliato e pericoloso assumere ruoli precostituiti che non ci appartengono.  Il giornalismo che si svolge in redazione si configura come l’attività in cui la scelta è strumento essenziale. La cosiddetta linea editoriale è l’insieme di scelte che la direttrice pone in essere con la sua redazione. E siccome la scelta è opinabile, il giornalismo è il mestiere dove si “sbaglia” maggiormente. Il margine di errore è elevatissimo, soprattutto in un quotidiano. Il deterrente consiste nel fatto che i giornali sono prodotti da tante persone per cui esiste una sorta di controllo e gestione dell’errore interna alle singole redazioni.

Questa la differenza fondamentale con l’influencer che lavora solo.

La direttrice si assume l’ultima fetta della scelta ed è colei che è responsabile della linea adottata.

Esiste una differenza di stile comunicativo soprattutto nella descrizione di fatti di violenze sessiste, fra giornalisti uomini e giornaliste donne?

No, non esiste perché siamo tutti immersi nella stessa cultura.

Gli strafalcioni o, peggio, le insensibilità di alcuni titoli (“Uccisa dal marito che pensava lo tradisse”…) li scrivono sia gli uomini che le donne perché apparteniamo allo stesso filone socioculturale. Dobbiamo sforzarci di utilizzare un linguaggio consono, evitando parole distorte e distorsive. È un compito fondamentale che ogni professionista dell’informazione deve imporsi. Ci si deve sforzare adottando registri semantici eccentrici rispetto alla cultura ancora dominante, sessista nei fatti.

Da questo punto di vista il confronto con le varie reti sociali è molto utile perché nella sua immediatezza aiuta la carta stampata in un percorso di autoconsapevolezza e supervisione.

L’utilizzo della declinazione di genere femminile in alcuni termini può rafforzare l’identità femminile?

Se ci si vuol riferire alla “questione” Treccani, penso che, semplicemente, Treccani abbia recepito la vera essenza della lingua italiana che ha straordinarie sfumature fra le quali la declinazione di genere. Personalmente trovo allucinante il dibattito che si è aperto circa le prese di posizione relative alla declinazione di genere delle parole, in particolare, di quelle che definiscono l’ambito professionale delle donne.

La discrasia è, ancora una volta, culturale e non linguistica. Le donne debbono avere l’autonomia di scegliere il proprio nome. Negli anni settanta il dibattito era centrato sul corpo (il corpo è mio e lo gestisco io), ora, sembra si sia spostato sul nome (il nome è mio e lo scelgo io. ndr) Io ho scelto di chiamarmi e farmi chiamare direttrice ma rispetto, senza alcuna giudizio, chi preferisce il termine declinato al maschile.

Viviamo in un Paese che giudica, in modo acrimonioso, il nome con cui le donne decidono di farsi chiamare.

Quali le direzioni di lavoro per traguardare la parità di genere?

Innanzi tutto riconoscendo la reale situazione di disparità in cui, ancora, vivono le donne. Il cambiamento può avvenire solo se sono chiare le condizioni di partenza. Ovvero, va compresa ed analizzata la condizione femminile in Italia, neutralizzando le disparità con ogni mezzo. In primis, l’ambito politico perché il gender gap lo si contrasta tramite l’elaborazione di leggi mirate che consentano il riconoscimento di diritti fondamentali in ambito assistenziale, formativo, economico oltre che professionale. Poi, certamente, ciascuna di noi può e deve agire, in proprio, nell’ambito delle proprie facoltà affinché gli equilibri cambino, siano più stabili, cercando di imprimere la propria identità nei rapporti personali col proprio partner, coi colleghi, nelle relazioni sociali, in genere. Certamente, il cambiamento rende insicuri e, spesse volte, soprattutto le donne più giovani si convincono di non essere all’altezza di determinati incarichi, di non riuscire ad essere sufficientemente brave e preparate per affrontare ruoli direttivi. In realtà mancano le occasioni per dimostrare la tenuta e le proprie capacità. Bisogna creare occasioni nuove alle donne, anche attraverso forzature. La mia storia professionale lo sta dimostrando.

La mancanza di occasioni, rende le donne più fragili e perennemente timorose nei confronti delle critiche circa il loro operato, oltre che vittime di negazione sociale.

La propria identità si costruisce e si rafforza, ogni giorno, diventando (come dice Nietzsche) ciò che si è.

Donne e Media: a che punto siamo?

I risultati della sesta edizione del GMMP

Leggi anche Luisella Seveso

di Monia Azzalini

Il Global Media Monitoring Project (GMMP) è il più ampio e longevo progetto di advocacy e di ricerca sulla rappresentazione delle donne nei contenuti dell’informazione, promosso e coordinato dalla World Association for Christian Communication, in collaborazione con una rete mondiale di ricercatori e ricercatrici aderenti all’iniziativa su base volontaria. (https://whomakesthenews.org).

Il progetto è nato nel 1995, durante i lavori di preparazione alla quarta Conferenza mondiale sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite a Pechino, e raccoglie ogni 5 anni dati sulla presenza delle donne e degli uomini nei contenuti dell’informazione e sulla qualità dell’informazione quotidiana di stampa, radio, TV e, dal 2015, Internet e Twitter. I risultati consentono alla comunità internazionale di verificare lo stato di avanzamento delle donne rispetto ai due obiettivi fissati per il settore dei media dalla Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino, ovvero:

1• aumentare la partecipazione delle donne all’espressione e ai processi decisionali dentro e attraverso i media e le nuove tecnologie della comunicazione

2• promuovere una rappresentazione bilanciata e non stereotipata delle donne nei media.

I dati costituiscono una bussola utile a tutti i paesi aderenti al GMMP (116 nel 2020) per la realizzazione dell’uguaglianza di genere nei media, un settore che l’ONU per la prima volta nel 1995 ha dichiarato strategico per il miglioramento della condizione femminile in tutto il mondo.

La sesta edizione del GMMP Italia ha visto la partecipazione di 7 gruppi di ricerca afferenti all’Osservatorio di Pavia e alle Università Ca’ Foscari di Venezia, della Calabria, di Milano Bicocca, di Padova, di Roma La Sapienza e di Torino, coordinati da me insieme alla professoressa Claudia Padovani (Università di Padova). Il campione di analisi ha incluso 38 testate giornalistiche nazionali che sono dettagliate nel rapporto di ricerca disponibile onlinehttps://whomakesthenews.org/gmmp-2020-final-reports/

I risultati attestano una presenza delle donne come fonti o newsmaker mediamente pari al 26%: 24% per i mezzi di informazione tradizionali (radio, stampa e TV) e 28% per quelli digitali (Internet e Twitter), in crescita rispetto al 2015, rispettivamente di 3 e 1 punto percentuale. Sono senz’altro segnali positivi che confermano il progressivo avvicinamento dell’Italia al resto del mondo (25%), ma che risultano  ancora troppo deboli. Se pensiamo che le donne in Italia hanno un’incidenza superiore al 50% sull’intera popolazione, è evidente che i mezzi di informazione nazionale continuano a riflettere una società lontana da quella reale. Una maggiore aderenza alla realtà è attestata invece dalla visibilità delle giornaliste, mediamente pari al 41%, un valore in linea con la loro rappresentanza effettiva nella professione: 41,6% nel 2020, secondo i dati INPGI.

Per quanto riguarda le funzioni delle persone di cui si parla o intervistate nell’informazione, sia i media tradizionali sia i media digitali, registrano la prevalenza di tre categorie: le persone che fanno notizia in quanto argomento/oggetto della stessa, quelle  interpellate come portavoce di associazioni, aziende, enti, istituzioni, organizzazioni, partiti, etc. e le persone intervistate in qualità di esperte. Tolte le persone che fanno notizia in quanto protagoniste di eventi che superano la soglia di notiziabilità, portavoce ed esperte/i restano infatti le persone più visibili nell’informazione quotidiana italiana, o perlomeno in quella monitorata dal GMMP, che non include tutti i generi e sotto-generi informativi, e tuttavia riguarda un campione di notizie che raggiunge un pubblico molto vasto e diffuso. I criteri di selezione dei media monitorati dal GMMP tengono infatti primariamente conto di fattori di audience e readership.

Venendo ora ai dati per genere, i risultati sulle funzioni delle persone nelle notizie attestano una presenza femminile fra le persone oggetto/argomento di notizia perfettamente in linea con la media generale nei mezzi di informazione tradizionali (24%) e superiore nei media digitali (29%). Per quanto riguarda le portavoce, esse superano quota 24% sia nei media tradizionali (30%), sia nei media digitali (31%), attestandosi su un valore medio del 30%, raddoppiato rispetto al 2015. Le esperte invece si attestano su valori molto più bassi, registrando nel complesso una percentuale del 13%, risultato della media ponderata tra il 12% dei media tradizionali, rispetto al 18% del 2015, e il 16% dei media digitali, come nel 2015.

Un fenomeno che non si è invece verificato a livello globale, dove, al contrario, il contesto pandemico sembra aver favorito la visibilità delle esperte, cresciuta complessivamente dal 19% del 2015 al 24%, e sino al 29% nelle notizie correlate al Covid-19, che, come nell’informazione italiana, riguardano il 25% delle notizie monitorate. Quale fattore abbia sfavorito la visibilità delle esperte nelle notizie italiane è una domanda per ora ancora inevasa. Non sembra infatti possibile ascrivere la diminuzione delle esperte concomitante al dominio del Covid-19 nell’agenda dei media italiani a un mancanza di professioniste impegnate in materia. Solo la banca dati www.100esperte.it, nata nel 2016 su iniziativa dell’Osservatorio di Pavia e dell’associazione di giornaliste GiULiA, sviluppata dalla Fondazione Braccio e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, proprio per favorire la reperibilità di donne esperte da parte di media, ne mette a disposizione oltre 50. I fattori all’origine di questa grande “opportunità mancata” di includere le donne, e in particolare, la loro expertise, nell’informazione pandemica credo debbano essere cercati altrove.

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Va’ dove ti portano le donne

Un’idea di viaggio da una donna del vino?

Intervista a Elisabetta Pala

di Iaia Pedemonte

Siamo andati in Sardegna, da una giovane imprenditrice innamorata della sua terra.
“Due sono le fortune della mia vita − ci dice Elisabetta Sala −: essere nata da una storica famiglia del vino ed essere nata a Serdiana, perchè questo mi permette di portare al massimo la mia passione per il territorio”. Ed in effetti, da queste colline di calcare, scisti e marne affacciate sul mare, la sua cantina Mora&Memo ha subito dimostrato un carattere forte, giovane, femminile ed orgoglioso come le “bandidas”, le donne forti della tradizione sarda disegnate da Katia Marcias sulle sei etichette.

Anche perché, tra le montagne dei Sette Fratelli ed il golfo di Cagliari, la natura è così protagonista che la visita, qui, non si fa alla cantina, ma in vigna. La collina di Mora e Memo, racconta Elisabetta, è l’unica circondata da macchia mediterranea, per cui, nelle diverse stagioni, si cammina tra le vigne e ci si ferma a fare assaggi di frutta, tra ulivi, fichi, mandorli.


Chi viene qui deve amare la natura, ed allora, su appuntamento, viene accompagnato personalmente da Elisabetta fino al magico Su Stanu Saliu, lo stagno salato circondato da vigne, in cui fino a giugno vivono i fenicotteri rosa. Da qui, si visita Serdiana, il piccolo antico paese dove c’è la Cantina della famglia Pala, con le case a corte campidanesi e le torri merlate, e poi si scende al mare. I consigli di Elisabetta? Certamente la fantastica spiaggia del Poetto a 15 minuti dalle sue vigne. In città, si va per gustare i piatti del “re del tonno”, lo chef Luigi Pomata e per la notte, allo storico Hotel Regina Margherita, ai piedi del bastione della città vecchia.

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Intervista alle Candidate

alla carica di Presidente Nazionale Biennio 2024/2025

La Presidente Nazionale del Soroptimist International Unione Italiana per il Biennio 2024/2025 verrà eletta dal Consiglio Nazionale delle Delegate a Foligno il 29 maggio 2022.

Abbiamo posto alle Candidate sette domande sul loro programma, sulla loro vita professionale e sul loro tempo libero per presentarle alle socie.

Ecco i loro curriculum sintetici

Adriana Macchi

Adriana Macchi, laureata in Lettere e Filosofia, ha collaborato con diverse case editrici. Presso il Centro Studi Politica Estera e Opionione Pubblica dell’Università di Milano è stata borsista e responsabile delle pubblicazioni e coordinatrice delle segreterie scientifiche di Convegni internazionali. In Franco Angeli Edizioni (1984/1997) ha svolto il ruolo di redattrice nei settori di Sociologia e di Economia, e Area Manager nel settore di Psicologia. Successivamente (1997/1999) è responsabile editoriale in Egea. Dal 2000 al 2011 è consulente editoriale specializzata nel settore no-profit. Dal 2011 è Presidente della Fondazione Opera Pia SS Bernardino e Marta Onlus, struttura residenziale per anziani con 25 posti letto e 11 dipendenti. Entra nel club di Novara nel 2011 e dal 2006 è nel club di Alto Novarese che ha contribuito a fondare. Dopo aver ricoperto numerose cariche di Club, per l’Unione Italiana è stata Presidente del Comitato Estensione (2013/2017), Vicepresidente nazionale (2017/2019), Coordinatrice nazionale Advocacy (2019/2020).

Lucia Taormina

Lucia Taormina è Avvocata, specialista in Diritto di famiglia e questioni patrimoniali, svolge la professione a Rapallo nello studio di famiglia. Oltre che nella professione si è da sempre impegnata in vari ambiti nel suo Ordine professionale: è stata Prima Presidente dell’Ordine dei Giovani Avvocati, ha fatto parte per un decennio del Consiglio dell’Ordine di Chiavari. È componente della Giunta dell’organismo di rappresentanza nazionale degli Avvocati; componente del Consiglio di Amministrazione della Cassa Forense, ente di gestione della previdenza ed assistenza dell’Avvocatura, oltre a svolgere attività di docente e relatrice in numerosi eventi formativi presso Associazioni e Ordini professionali in tema di previdenza e assistenza forense. Nel 1985 entra nel club di Tigullio dove ha ricoperto diverse cariche. Per l’Unione Italiana è stata Segretaria Nazionale (1989/1991), componente (1992/1993) e poi Presidente (1993/1995) del Comitato Statuti, coordinatrice del gruppo di lavoro “SI va in biblioteca” (2017/2019), Vice Presidente Nazionale (2019/2021).

Domanda 1

Quale senso ha, nel 2022, un Club service internazionale di donne ad elevata qualificazione professionale?

Risposta 1 Macchi

Donne unite nell’ intento di sostenere l’avanzamento della condizione femminile che danno voce e difendono i loro diritti a tutte le latitudini attraverso azioni concrete, con la competenza delle loro diversità professionali, che condividono approcci trasversali ai confini nazionali e costruiscono una rete progettuale a servizio delle comunità. Credo sia, ora come allora, una visione anticipatrice e moderna che mantiene inalterato tutto il suo significato. E rappresenta anche una grande opportunità di scambio di conoscenza ed esperienze per le Socie. Quel che forse appare un po’ superato è l’utilizzo di certe categorie che infatti sono state opportunamente modificate con termini più adeguati e rispondenti alle nostre realtà.

Risposta 1 Taormina

Non mi nascondo la profonda crisi che attanaglia i service club e l’associazionismo in genere.
Credo però che la diversità nelle competenze e la condivisione di valori siano gli elementi identitari che ci consentiranno di continuare ad essere ispiratrici di azioni e progetti all’avanguardia, così come è stato nei 100 anni della nostra storia. Competenze, esperienze di vita, la rete internazionale che ci apre al mondo, lo spirito di servizio che non è beneficenza, ma si fa azione e progetto, ci rendono diverse e danno corpo e senso alla nostra adesione, ancora nel 2022 ed anche nei prossimi anni.

Domanda 2

Ci racconti il tuo ingresso nel Soroptimist, le motivazioni, il legame con le tue madrine, il tuo inserirti nel club ed i successivi incarichi nazionali?

R. 2 Macchi

Ho respirato aria soroptimista fin dai tempi in cui ragazzina accompagnavo mia madre alle riunioni alla Meridiana (sede allora del Club di Novara) e consideravo tutte le Socie “zie” al pari della mia vera zia, Adriana, socia fondatrice del club di Biella. Sono cresciuta in ambiente fertile da questo punto di vista e in un certo senso educata a questi valori, e quindi, dopo, la cosa più naturale mi è sembrata l’ingresso nel Club. Grazie a incontri positivi con Socie che mi hanno accolto, trasmesso esperienza ed entusiasmo e mi hanno accompagnata e sostenuta, ho assunto varie responsabilità all’interno del Club. Nel 2013 si è presentata l’occasione di misurarmi con la dimensione nazionale. Da lì ha preso avvio un percorso diverso, dall’estensione alla vicepresidenza, con tanti nuovi incontri e confronti che hanno arricchito progressivamente il mio bagaglio, con sempre maggiore coinvolgimento.

R. 2 Taormina

Sono stata invitata all’assemblea di inizio anno sociale in casa di una socia. Era l’ottobre del 1986, avevo 31 anni. Credo di essere stata indicata da un collega tra le allora poche donne iscritte all’Albo degli avvocati.
Appena entrata sono stata “prelevata” da Anna Botto, che mi ha sottoposto ad un garbato e pressante interrogatorio. Al termine ha fatto un cenno di assenso a Lina Borzone, seduta dall’altra parte della sala, che ha sorriso. Da quel momento è iniziata una esperienza unica, avvincente, formativa.
Il maggio successivo sono stata designata Segretaria Nazionale per il biennio 89/91. Come posso raccontarvi due anni straordinari in poche righe? Conoscere il Soroptimist stando al centro del Soroptimist, accompagnata e sostenuta da donne come Elda Pucci, Maria Amendola, Vittoria Kinerk, e tante tante altre.
Negli anni successivi sono stata al Comitato Statuti, durante la presidenza di Raffaella Mottola. Poi una lunga pausa per i miei assorbenti incarichi nell’avvocatura. Appena un po’ più libera e dopo la presidenza del Club, ho seguito il “SI va in biblioteca” con Patrizia Salmoiraghi, un piccolo progetto che ci ha dato grandi soddisfazioni.
Quindi sono stata VicePresidente con Mariolina Coppola, che mi ha affidato compiti e progetti importanti, come la trasformazione del Soroptimist in associazione riconosciuta e la necessaria modifica di Statuti e Regolamenti ed il progetto di collaborazione con la Protezione Civile, da poco portato a conclusione con Giovanna Guercio.