Fontana_di_Diana_e_Atteone_Reggia_di_Caserta

Il Fondo per L’Arte

Il Soroptimist per la Reggia di Caserta

di Maria Clelia Galassi

Maria Clelia Galassi, Club Genova Due

Il Fondo per l’Arte dell’Unione Italiana ha la finalità di finanziare interventi di salvaguardia, conservazione e restauro a tutela del patrimonio culturale e artistico italiano.
Nel 2021, in occasione del Centenario del Soroptimist International l’Unione ha selezionato, tra i vari progetti presentati dai Club, il restauro della Fontana di Diana e Atteone della Reggia di Caserta
per l’importo di 40.000 euro

Nel 2021 il Soroptimist International d’Italia ha destinato il Fondo speciale per l’Arte, con un importo di 40.000 euro, al restauro delle sculture che costituiscono la “Fontana di Diana e Atteone”, realizzata nel parco della Reggia di Caserta tra il 1786 ed il 1789 da Tommaso e Pietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli.
La scelta ha tenuto conto dell’importanza di questo complesso scultoreo, capolavoro della scultura napoletana del Settecento, collocato in posizione strategica al vertice della lunga “Via d’acqua”, così come dell’alta rappresentatività della Reggia di Caserta, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997, una delle residenze reali più grandi del mondo e tra i siti italiani più visitati. La fontana casertana è stata selezionata anche perché i suoi contenuti narrativi risultano particolarmente coerenti con la missione del Soroptimist. La protagonista è Diana, divinità della Luna e della caccia, vergine casta e insieme dea della fecondità, donna solidale con le altre donne, le Ninfe di cui si circonda, amante e protettrice della natura e dei boschi, indipendente, indomita e libera. Seguendo il racconto tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, il complesso scultoreo raffigura il momento in cui la dea, spiata di nascosto durante il bagno, nuda tra le ninfe, da Atteone, si vendica punendo severamente il profanatore. Atteone è trasformato in un cervo che i suoi stessi cani sbranano, non avendolo riconosciuto. Diana, violata nella sua riservatezza, costituisce un esempio di violenza di genere, mostrando, con l’evidenza plastica del suo gesto imperioso, la capacità della donna di reagire e di combattere l’offesa subita.
Il restauro si è reso necessario dal momento che le sculture erano ricoperte da licheni, muschi e patine nere, che venivano a offuscarne il loro biancore e costituivano un pericolo per la compattezza delle superfici. Inoltre, alcune parti aggettanti presentavano problematiche strutturali. L’intervento, attualmente in corso sotto la direzione di Anna Manzone, responsabile dei laboratori di restauro della Reggia, si concluderà il prossimo luglio. Esso si pone come obiettivo il consolidamento delle tante figure marmoree che compongono il gruppo, la pulitura delle superfici e l’applicazione di prodotto biocida ed erbicida in più cicli volto alla disinfezione dei microrganismi della superficie e all’eliminazione delle erbe infestanti. È previsto inoltre il ripristino della staticità di alcuni perni ed una verifica delle parti aggettanti, ormai compromesse dal tempo ed in condizioni di staticità precarie. Si valuterà infine l’applicazione di un protettivo finale, a scopo di preservare l’opera nel tempo, garantendone la piena fruibilità caratteristica del bianco di Carrara.

L’arte chiama i mecenati

Intervista a Tiziana Maffei, Direttrice della Reggia di Caserta

di Francesca Pompa

Tiziana Maffei

Quando è partito il progetto di restauro e che importanza ha avuto l’apporto dato dal Soroptimist nel recupero della Fontana, in particolare delle due statue?
Il progetto di restauro preliminare è stato redatto internamente dal funzionario restauratore al fine di partecipare alla candidatura del Fondo per l’arte. A seguito dell’avvenuta selezione, i servizi interni hanno proceduto per gli approfondimenti necessari a predisporre il progetto esecutivo per l’affidamento a ditta specializzata in restauro. L’intervento è iniziato nel mese di marzo e terminerà entro l’estate. È stata un’opportunità inizialmente individuata dal club locale di Caserta, selezionata come progetto nazionale del Soroptimist International d’Italia e che per noi ha anticipato l’intervento rispetto al piano di restauro previsto al sistema della via d’acqua. Un’iniziativa encomiabile.
Che importanza riveste la Fontana all’interno del percorso di visita della Reggia?
È il culmine della via d’acqua, un’opera che fonde natura, mito e arte. È sicuramente uno dei punti maggiormente attrattivi del Parco Reale, episodio emblematico della narrazione della simbologia del Museo Verde.
Come crede che il Pnrr possa contribuire a ridare splendore al patrimonio artistico e culturale italiano?
Per la prima volta ci si è occupati in modo sistematico di una realtà specifica e identitaria come quella dei giardini e parchi storici che sono un patrimonio di inestimabile valore, per quanto prezioso e fragile. In generale il Pnrr dà la possibilità di mettere un gioco progettualità trasversali. Senza dubbio una grande sfida anche per la pubblica amministrazione.
Nei giorni d’oggi abbiamo mecenati che, come nel passato, impegnano le proprie risorse a favore dell’arte?
Non ai livelli di un tempo e purtroppo con la stessa sensibilità culturale. Nel Mezzogiorno, ad esempio, esperienze come l’art bonus sono significativamente minori.
Quali le sue aspirazioni per il futuro della Reggia di Caserta?
Sono convinta che la Reggia di Caserta meriti di essere un museo contemporaneo di riconoscibilità internazionale, con capacità di offrire esperienze culturali diversificate e di altissimo livello. Mi auguro anche che si riesca a consolidare in breve tempo la percezione della Reggia di Caserta come Reggia tout court, la rappresentazione materiale di una storia identitaria e complessa del nostro Paese. La Reggia è una grande visione di un monarca, fonte di ispirazione per chi la visita e per chi ci lavora. 

Luciana-Grillo

Con mani di Donna

La rubrica di Luciana Grillo

Storie di apertura al Nuovo

Il motto scelto dalla Presidente Nazionale si può declinare in più modi: il Soroptimist International d’Italia nel biennio 2021/2023 si occupa di “cambiamento” a proposito della cultura dominante – e quindi promuove le STEM –, a proposito dell’ambiente – e propone il rimboschimento della foresta che suona in Val di Fiemme –, a proposito della valorizzazione di socie – e suggerisce l’inserimento di biografie su Wikipedia…e così via.
Di cambiamento si interessano cinema e teatro, il cambiamento attraversa la letteratura e influenza le trasposizioni televisive, come accade ad esempio nella serie “L’amica geniale”, tratta dai romanzi di Elena Ferrante.
Il cambiamento delle donne – che è anche cambiamento di cultura, di abitudini, di modi di vivere – è sempre presente, a partire dal primo romanzo della serie, quando le due protagoniste si propongono una – Elena detta Lenù – di studiare per allontanarsi dalla famiglia, l’altra – Raffaella detta Lila – non potendo studiare, di fare il salto economico prima inventandosi un lavoro, poi sposando un uomo ricco, anche se la sua ricchezza è di matrice dubbia.
Nel secondo romanzo, “Storia del nuovo cognome”, il sogno di Lila di diventare ricca si infrange, dalla casa dei Carracci Lila si allontana, va a vivere in un povero appartamento di periferia, mentre Lenù sembra rimanere una spettatrice che scrive ciò che osserva, solo per caso lontana dal rione. Studiare a Pisa, avere abiti nuovi, una dizione corretta e un fidanzato non le danno sicurezza, il cambiamento è apparente, soprattutto quando torna a casa e si confronta con le sue origini umili.
Storia di chi fugge e chi resta è il terzo romanzo, quasi interamente centrato su Elena che, una volta laureata, tenta di realizzare un ulteriore cambiamento sposando Pietro, rampollo di una famiglia importante, atea e socialista, colta e tutta tesa alla realizzazione di una compiuta giustizia sociale, eppure non immune dal senso di potenza determinato dalla “casta”. Ma come era accaduto a Lila, anche questo matrimonio non funziona, e non tanto per la differenza fra le famiglie di origine dei due coniugi, quanto per la riapparizione inquietante di Nino, ragazzo del rione, affascinante, intellettuale, teatralmente pronto a manifestare rispetto e comprensione per le donne, salvo poi “usarle” e gettarle via.
Nel quarto romanzo, “Storia della bambina perduta”, la storia delle due amiche si compie, Elena è una scrittrice di successo, un modello di donna autentica, libera, emancipata, che dalle sue vicende personali trae linfa per i romanzi – e dunque il cambiamento è compiuto; Lila invece, combattente per destino, dopo la misteriosa scomparsa della figlia, decide di “cancellarsi”, di sparire, non perché si arrenda all’ineluttabile, ma per manifestare la sua forza, la sua libertà, il suo essere irriducibile. Anche questo è un cambiamento, che ha il sapore del dramma. In realtà, nei quattro romanzi e nella fiction televisiva che fino ad oggi ha preso spunto dai primi tre, il cambiamento che abbiamo analizzato relativamente alle due amiche, percorre ogni pagina, sia perché c’è una connotazione cronologica precisa (1944-1960; 1960-1976: 1976 -…) che scandisce certi passaggi, come l’urbanesimo senza regole che affligge le città e le migrazioni dalle campagne alle città, sia perché si promulgano leggi che sanciscono alcuni diritti fondamentali delle donne, come l’accesso a determinate carriere, l’introduzione del divorzio, la tutela delle madri lavoratrici, la parità dei coniugi, l’istituzione dei consultori, sia perché si occupa dell’istruzione delle donne come volano per l’emancipazione.
Dal 1944 ne è passata di acqua sotto i ponti, il cambiamento c’è stato, ma nulla è definitivo, a noi donne il compito di accelerarlo.

ValliAveto-cavalli-selvaggi-primavera_1

Va’ dove ti portano le donne

La rubrica dei viaggi al femminile

Iaia Pedemonte, giornalista e scrittrice

I viaggi che raccontiamo qui sono le ultime novità, scelte tra le mete raccontate nelle due Guide delle Libere Viaggiatrici (ed.Altreconomia) e nel sito www.g-r-t.org: le prime pubblicazioni che incrociano il grande mercato delle donne che lavorano nel turismo e delle viaggiatrici, fonti di dati e mete del turismo responsabile che fa bene alle donne (le donne del turismo sono il 54% di un settore che valeva il 13% del PIL e ora tra le più punite dalla crisi). Iaia Pedemonte propone anche nel turismo una valutazione di impatto di genere, in un processo strutturato di uguaglianza ed inclusione, con indicatori specifici e progetti, per un cambiamento culturale che, come è provato, porterà ad una crescita economica di tutta la società

A 2000 metri tra Portofino e le Cinque Terre

Liguria. Un viaggio o un weekend, tra profumi, trekking, yoga, cucina, arte, ispirate da giovani donne intraprendenti

Ecco un caso esemplare di come tante donne possono fare rete con successo: le trovate tra le vette e i borghi delle tre valli Graveglia, Sturla, Aveto – tremila ettari selvaggi di un prezioso habitat protetto e ricco di storia, nel Parco delle Valli dell’Aveto, tra Liguria e Emilia, affacciato sul mare di Chiavari –, e sono più della metà della novantina di soci di ‘Una Montagna di Accoglienza nel Parco’, consorzio con decine di idee e programmi, ben spiegati sul sito o ai centri accoglienza di Borzonasca, Rezoaglio e Santo Stefano.

Val D’Aveto


Sono architette, storiche, esperte di arte e territorio, imprenditrici, geologhe, naturaliste, guide, conoscitrici di ogni erba, ogni campanile antico e ogni orma di lupo. Per centrare l’obiettivo di mantenere vive queste valli sono partite dalla conoscenza: chi vive qui e chi ha studiato la storia e l’arte si è coalizzata ed ha focalizzato le migliori energie di tutta la comunità. Prima di tutto facendo conoscere (e tenendo personalmente puliti) i sentieri, come dal paese storico di Nascio a Cassagna, borgo minuscolo tutto archi, passaggi interni e tegoli in ardesia. O creando piccole esperienze che sono un viaggio indietro nel tempo: nei boschi in cui ancora risuona il ‘Cantamaggio’, al piccolo nucleo di Ventarola, ai mercati contadini, ai mulini storici, alle abbazie medievali, a quel piccolo gioiello che è il Museo del Damasco a Lorsica, all’itinerario da Borzone a San Martino di Licciorno con il campanile, Luogo del Cuore FAI, che sbuca magico tra gli alberi.

Ventarola

Per la felicità dei bambini ci sono la Miniera e il Museo del Bosco, dove le guide fanno giochi raccontando i Laghi di origine glaciale e le tane di animali. Meritano una tappa gourmand l’azienda agricola che coltiva centinaia di tipi di patate, il nuovo amaro alle erbe, lo showcooking con le storie del paese raccontate dalle donne di Sopralacroce, con tanto di premi per chi impara a ‘tirare la sfoglia’, oppure gli assaggi di “preboggion” a Né o i “testaieu” al pesto nel casale seicentesco Cà da Nonna.
Le novità di stagione?
Seguire la Transumanza in maggio, dalle stalle del Lago di Giacopiane ai pascoli di Villa Cella, un piccolissimo borgo di montagna con i resti di un antico monastero e un accogliente agriturismo.
Arrivare in alto con la guida ambientale, da maggio ad agosto, per osservare gli unici branchi di cavalli selvaggi del nostro paese.
Percorrere la natura con consapevolezza, aprire i sensi e guardarsi dentro in armonia, nel laboratorio di Forest Bathing, tra prati in fiore e acqua.
Unire Yoga e Cammino nei ‘Laboratori Outdoor’ di Elisabetta Beccaria, passi, soste, respiro, esercizi di rilassamento e allungamento.

Naturyoga


Fare aquisti e provare i nuovi menù a KM zero, la raccolta delle olive, la fattoria didattica, i laboratori del pane e del formaggio, con Silvia, Lucia, Alessandra all’agriturismo I Pinin.

RobertaGaribaldi_foto_1_

Roberta Garibaldi

Una donna per tante donne nel turismo*

di Francesca Pompa

*Amministratore delegato Enit – Agenzia Nazionale
del turismo e docente all’Università di Bergamo

Ci parli della sua ascesa fino alla posizione apicale, non facile per una donna, di amministratore delegato di Enit (ci piacerebbe dire amministratrice delegata).
Direi che sono una persona curiosa, sempre attenta a osservare e ascoltare. Ho sempre amato studiare, conoscere e approfondire i temi a cui mi approccio. Credo nel confronto, nel fare rete e lavorare in network, soprattutto internazionali, cercando sempre di favorire un approccio data driven e partecipato. Il viaggio è un fil rouge della mia vita, così come vivere direttamente le esperienze per comprendere le esigenze del turista. Vivo ogni giorno come una nuova sfida, perché bisogna sempre migliorarsi e puntare sempre più in alto, alla ricerca di nuovi stimoli e nuovi traguardi da raggiungere, soprattutto in un mondo dinamico come quello contemporaneo e in un settore “creativo” come quello del turismo.
Ho reso la passione della mia vita il mio lavoro e sto realizzando i miei sogni: amo viaggiare, conoscere le differenti culture e convogliare gli studi e le esperienze maturate nello sviluppo di strategie, finalizzate alla crescita e al consolidamento del turismo. Durante i miei oltre vent’anni di lavoro ho potuto approfondire le numerose sfaccettature del mondo dei viaggi e, successivamente, mi sono dedicata alla valorizzazione del turismo enogastronomico.
Amare il mio lavoro rende tutto più semplice.

Come la presenza delle donne nel turismo concorre alla riqualificazione dell’offerta. In particolare, è nel turismo esperienziale e responsabile che le donne sembrano trovare la propria vocazione. Per la capacità di perseguire l’innovazione e il cambiamento?
Il turismo del nostro Paese è un comparto “rosa”: ben il 53% di chi lavora nel settore è di genere femminile (dati Ebnt, 2021). Al di là dei numeri, che comunque mostrano quanto l’apporto sia fondamentale, il ruolo delle donne è essenziale.
Hanno un grande spirito imprenditoriale, sono sempre più numerose le aziende del settore – dalle agenzie di viaggio alla ricettività – nate su iniziativa di donne. Oggi si attestano attorno al 27% del totale, un dato superiore a quello di altri settori (Ansa, 2021).
Mostrano grande dedizione e passione nell’unire l’innovazione e la tradizione, ragion per cui possono trovare la propria vocazione nel turismo esperienziale e responsabile. Hanno attenzione anche per le esigenze del mondo femminile, un segmento di domanda che sta crescendo rapidamente: molte delle nuove imprese nascono per iniziative di donne e si rivolgono alle donne.
Ciò che, però, deve far riflettere sono i livelli di leadership femminile nel settore del turismo, incredibilmente bassi. Si pensi che solo il 12,5% delle prime 350 aziende di tecnologia di viaggio è guidato da una donna, percentuale che scende all’8% nel settore delle crociere, al 6% nell’aviazione e nel business dell’autonoleggio e al 5% nell’alberghiero. La strada da percorrere in tal senso è ancora importante.

Il calcio uno sport per tutti

Interviste a Clara Mondonico* e a Tania Busetto

di Silvia Ruspa

*L’intervista è stata rilasciata poco prima che la FIGC deliberasse il via al professionismo nel calcio femminile a partire dalla prossima stagione.

“Il calcio è un gioco vario
ed emozionante, tutti possono giocarlo, arricchisce le idee,
la fantasia, stimola l’amor proprio.
Ci sono sconfitte e vittorie, riuscire a superare un insuccesso rafforza
il carattere… servirà nella vita.”
Silvio Piola

Queste le parole che il grande calciatore, Silvio Piola (imbattuto detentore del record di reti segnate − 290 − in serie A più 16 reti in nazionale) ha utilizzato per descrivere lo sport che tanto amava. Il calcio è un gioco per tutti, anche per le donne?
Dai numeri sempre più crescenti di bambine e ragazze che si approcciano a questa disciplina sportiva, si evince una risposta certamente positiva.
L’Italia leggermente in ritardo rispetto ad altri Paesi ha riconosciuto lo status professionistico anche alle calciatrici mentre, già da qualche anno, lo ha fatto per le figure di giudice di gara.
E se si esce dal ristretto ambito agonistico, è possibile annettere il calcio nell’alveo delle discipline educative, come una sorta di cassetta degli attrezzi utili al “gioco della vita”.
E oltre al calcio praticato, sempre più donne sono impegnate nell’organizzazione ed amministrazione di società sportive calcistiche, dimostrando anche in questa fattispecie competenze e potenzialità leaderistiche spesse volte non disgiunte a buone prassi ed obiettivi socio-educativi.

Clara Mondonico

Clara Mondonico, figlia d’arte.
Il padre Emiliano fu calciatore e allenatore. Amato e stimato da colleghi, avversari e sportivi in genere, ha rappresentato l’eccellenza del calcio “dal volto umano”.

Occhi vivaci e sognanti, soprattutto quando ricorda il suo famoso “papà”, l’allenatore ed ex calciatore Emiliano Mondonico da cui ha, certamente, ereditato la passione per il calcio.
Clara, una laurea in giurisprudenza, un impiego in un ufficio legale di un istituto di credito, il sogno di calpestare l’erba dei campi da gioco. Quarantacinque anni di vita in cui il gioco del calcio è stato sempre presente come pratica sportiva nelle ansie e nelle gioie del padre ma anche come principio ludico ed educativo. Un grande rimpianto per non aver intrapreso la carriera di calciatrice (“era impensabile ai miei tempi, per una donna in Italia, vivere di calcio”) superato dalla capacità di perpetuare la filosofia paterna di un “calcio sincero”, in cui il business è finalizzato unicamente alla possibilità di garantire l’attività sportiva. Da tre anni è presidente dell’associazione “Emiliano Mondonico”.

Da dove è nata l’idea di fondare un’associazione intitolata a suo padre e perché?
Occorre tornare alla data fatidica del 29 marzo 2018, quando il papà ha intrapreso il suo ultimo viaggio. A salutarlo, fra i primi, giunsero i ragazzi dell’Approdo, la squadra di calcio [la sua squadra più importante come amava lui stesso definirla, ndr] che papà aveva creato a favore del recupero di ragazzi affetti da dipendenze da sostanze oltre che da ludopatia. All’interno di un progetto riabilitativo che prevede anche una residenzialità protetta con vari gradi di copertura assistenziale, nel cuore della provincia cremonese (Rivolta d’Adda), papà Emiliano ebbe l’intuizione di proporre al personale sanitario impegnato nella riabilitazione il calcio come ulteriore momento socio-riabilitativo.
Assieme al dottor Cerizza, responsabile sanitario del progetto, sono stati individuati gli step metodologici finalizzati alla costituzione della squadra di calcio. Gli inizi non sono stati semplici perché i ragazzi hanno dovuto accettare e apprendere, di nuovo, la modalità dello “stare assieme” dandosi un obiettivo comune [ecco, il senso ultimo del gol, ndr], accettando e valorizzando le differenze. Il rispetto delle regole, la condivisione della condizione di partenza, la costruzione della fiducia nel coach, il riconoscersi come comunità, tutti aspetti generativi di cambiamento non solo in ambito terapeutico.
Infatti, lo stesso modello è stato adottato nei confronti del contrasto del fenomeno del bullismo.
All’insegna del motto: “Mollare Mai”, l’impegno sociale dell’associazione va anche nella direzione di un marcato sostegno alla squadra di calcio del carcere minorile, Beccaria di Milano. È importante far sentire ai ragazzi che si ha fiducia in loro e nelle loro potenzialità.

Cosa ne pensa del fatto che in Italia non sia ancora pienamente riconosciuta legalmente la professione di calciatrice?
Penso che sia giunto il momento di andare oltre. Intendo dire che sicuramente occorre un iter giuridico che porti la carriera professionistica alle donne ma, altrettanto un cambio di mentalità, in generale del cosiddetto “senso comune”. Una bambina che voglia giocare a calcio deve essere sostenuta e non ostacolata perché non vi è nulla di anomalo o contrario alle regole del bon ton. Senza considerare il fatto che il calcio femminile non deve essere concepito come una bizzarria bensì come la regolarità. L’anomalia, per me, è parlarne come si trattasse di una categoria protetta. Questo ha determinato sinora un limite nella preparazione tecnica delle nostre realtà. Bisogna essere sincere: potremmo fare di più. Ad oggi, esistono tutte le condizioni per superare anche in questo caso il gender gap che vede il calcio femminile un qualcosa di speciale. Per il futuro, mi auguro, ad esempio, che la Nazionale Femminile possa ottenere riconoscimenti e traguardi internazionali al pari di quelli dei colleghi maschi certa del fatto che, noi donne sapremo creare modelli di “fare squadra”, di gestione delle ansie e dinamiche e di comunicare i valori sportivi con modalità più empatiche.

Tania Busetto

Avvocata, specializzata in Diritto del Lavoro, è tutrice dei diritti delle persone violate (donne in difficoltà, disabili). Attualmente, ricopre la carica di Segretaria Nazionale di AIAC (Associazione Italiana Allenatori di Calcio), Onlus affiliata FIGC.

Da dove nasce la sua passione per il calcio?
La mia passione per il calcio nasce dal sociale.
Mi spiego meglio. Io ho tre figli e Chris, il maggiore, che ora è quasi ventenne, è affetto da sindrome autistica.
Ho cercato più volte di trovare la giusta chiave per stimolare le sue abilità, ma non è stato facile per mancanza di opportunità formative presenti nel territorio.
Strutture extra scolastiche dove si potessero condividere spazi ed insegnamenti purtroppo si faticano a trovare.
Lo sport è una di quelle preziosissime chiavi che desidero siano a disposizione di tutti senza distinzione di abilità e, aggiungo, nemmeno di genere.
Io sono presidente dell’associazione Fuori la Voce che si occupa di sensibilizzare contro la violenza di genere ed il bullismo giovanile, due temi a volte divisi da un sottile filo … basta pensare al reverge porn.
Nel 2019 in occasione di un evento ho voluto trattare il tema del bullismo sportivo, era da poco successo un caso di un giovane calciatore che in segno di protesta si era tirato giù i pantaloni contro l’arbitro donna, la quale era stata insultata anche dai genitori in tribuna.
In seguito a quell’episodio ho conosciuto Marcello Mancini, presidente Aiac Onlus, e da lì mi si è aperta una finestra. Ci ho messo naso e mi sono appassionata, tanto che ora sono segretaria Nazionale Aiac Onlus e con mio marito, Leonardo Cossu, ho acquisito anche una società di calcio Fc Spinea 1966, militante nel campionato di serie D.
Aiac Onlus è il braccio armato dell’Associazione Italiana Allenatori di Calcio, componente tecnica della FIGC: è quella parte che si definisce “Allenatori di Calcio per il sociale”.

Donne e calcio: le calciatrici afgane di Herat a Coverciano.
Dall’inizio del mio incarico nel 2021, tra le tante cose che ci hanno impegnato, ci siamo occupati assieme a Cospe ed UNHCR di portare in Italia le calciatrici afghane, ma anche di razzismo e xenofobia con Unicef Italia, di Antidiscriminazione con la FIGC, ed abbiamo organizzato il primo corso per Allenatori di Calcio per Calciatori e Calciatrici con disabilità.
Come si può capire io mi sono innamorata di questo sport in modo diverso da come di solito accade, sono stata affascinata dal ponte che è in grado di creare e dalla sua immensa capacità di comunicazione.

Le calciatrici Afghane a Coverciano


Il progetto delle calciatrici afghane è stata la mia prima idea in occasione del mio primo direttivo, era fine agosto ed eravamo nel bel mezzo dell’emergenza. Avendo appreso dell’esistenza di queste giovani donne appassionate di calcio, ho espresso al direttivo il desiderio di accoglierle in Italia e sono stata non solo ascoltata, ma la mia proposta è stata accolta con entusiasmo.
Sono stati giorni molto concitati dove rimanevamo in contatto con le maestranze impegnate in Afghanistan fino a notte fonda, perché era una lotta contro il tempo, visto che dal 31 agosto avrebbero chiuso i corridoi umanitari.
Quando a mezzanotte del 31 mi ha chiamata il Colonnello Lo Giudice per dirmi “Avvocato, sono arrivate”, mi sono messa a piangere dall’emozione.
E da lì poi abbiamo lavorato per dare a loro un’opportunità di vita e di formazione calcistica nel nostro paese.

Cosa si auspica per il futuro?
Nel mio territorio ci sono realtà calcistiche frammentate, chi maggiormente orientato sulla prima squadra, chi sulle disabilità, chi sul femminile.
Il desiderio mio e della mia famiglia, la nostra ambizione, è di riunire tutti sotto un un’unica bandiera senza distinzione di abilità e senza distinzione di genere ed utilizzeremo la nostra società, la Spinea, per dimostrare che ciò è possibile.
Coadiuvata da persone esperte in ogni settore desidero valorizzare la nostra prima squadra, nonché fare crescere e formare il nostro settore giovanile, abbracciando la disabilità ed il femminile. Il tutto, ripeto, senza improvvisarsi ma con competenza, ricordiamo che il “Mr.” è un educatore e deve essere preparato, formato ed aggiornato.
La sfida è quella di abbattere quindi le barriere mentali, ancora più ostiche di quelle architettoniche, ma sono sicura che con la perseveranza riusciremo assieme a creare quella cultura nel sociale, sconnotato dal concetto assistenzialistico e pietistico, che nel nostro paese ancora arranca ad affermarsi ed attuare semplicemente la meritocrazia, sia per gli atleti che per i dirigenti, senza la necessità di dover utilizzare lo stratagemma delle “quote” per dare la giusta opportunità a tutti.

Serra2

Il personaggio

Katia Serra

Intervista di Cinzia Grenci

Calciatrice di Serie A e della Nazionale femminile, con il ruolo di centrocampista. Uno scudetto, tre Coppe Italia, tre Supercoppe Italiane, una Coppa Uefa. Poi dirigente sportiva e, da qualche tempo, brillante commentatrice tv.
Per la Rai, ha curato la cronaca di diverse partite dell’Europeo 2021, compresa la finale, prima donna in questo ruolo.
La bolognese Katia Serra è tutto questo e molto di più. Persona tenace e schietta.

Caratteristiche che non le hanno reso certo la vita facile in un ambiente prettamente maschile.
“La passione e la determinazione a fare ciò che mi piace sono state le leve per superare gli ostacoli e le frustrazioni. Ma sono state anche sfide da vincere per creare un habitat di lavoro meno ostile e per tracciare la strada ad altre donne con il mio stesso amore per il calcio”. Un percorso, ci racconta, fatto di pregiudizi, scarsa considerazione, sottovalutazione del talento femminile prima di arrivare a un’accettazione che però manca ancora di valorizzazione. “Siamo ancora lontani dalla normalità…”

Bimbefolk2

Il Paese delle Donne

di Wilma Malucelli

“Ukraina 2007” negli scaffali della mia libreria e della memoria: ora più che mai torno a quella indimenticabile “Soroptimist Satin Season” organizzata dal club di Dnipropetrovsk (Dnipro), un itinerario alla scoperta del paese lungo il Dnepr, da Kiev alla Crimea. Le immagini dei luoghi si mescolano ai volti di Olga, Natalya, Iryna e le altre con cui ho condiviso 12 giorni di tour, un’esperienza resa indimenticabile dal loro entusiasmo e dal desiderio di farci scoprire la bellezza del loro paese. Era settembre, la stagione “di seta” della Crimea, per le sfumature cangianti del cielo, delicate e intense insieme, il mese ideale anche per i matrimoni, una cerimonia complessa e suggestiva secondo il rito greco ortodosso. L’Ukraina stava crescendo, nonostante le difficoltà economiche, stava premendo sull’acceleratore delle riforme democratiche e della ricostruzione del tessuto sociale, dopo le “scosse” della pacifica rivoluzione “arancione” dell’inverno del 2004. Il paese stava per andare alle urne per il rinnovo del Governo e i tre maggiori partiti si sfidavano in una campagna elettorale dura, senza esclusione di colpi, fra due candidati uomini e una donna, Julia Tymoshenko. Col suo bel volto incorniciato da una lunga treccia bionda, ci sorrideva dai manifesti elettorali che tappezzavano la capitale col suo simbolo, un cuore rosso in campo bianco: una vera e propria “pasionaria” salita alla ribalta nel 2004 per aver appoggiato Viktor Jutshchenko, che sarebbe poi divenuto Presidente della Repubblica. Il club Soroptimist di Kiev, che ci accoglie nell’atelier di una socia pittrice, conta alcune socie impegnate politicamente, una in particolare mi dice che ricopre un importante incarico nel partito di Julia, verso cui anche le altre non nascondono la loro simpatia. Tornai in Ukraina nel 2013 e Julia dal carcere si batteva contro Viktor Yanukovic, il contestato Presidente che godeva delle simpatie di Mosca: i manifesti in città chiedevano la sua liberazione e la ritraevano come una martire, con la corona di spine sul capo, ma ancora pronta alla battaglia!
Anche in Ukraina, come già l’anno prima in Georgia, ebbi la netta impressione che il vero motore della società fossero le donne, intraprendenti, determinate, impegnate a tutti i livelli per la rinascita del loro paese, dopo la crisi economica seguita allo scioglimento dell’URSS. In quegli anni si ricominciava a sperare nel futuro e la natalità stava aumentando, dopo il drastico calo a seguito delle ristrettezze economiche e della massiccia emigrazione.

Folklore ucraino

“Speranza” si intitolava anche il progetto del club di Dnipro, a sostegno di un orfanotrofio per bimbi handicappati che andammo a visitare, portando loro dei giocattoli. Ripenso ora con nostalgia, in queste ore drammatiche per l’Ukraina, a quel mio primo viaggio, a quell’itinerario attraverso i luoghi della storia passata e recente di questo paese giovane dalle radici antiche. Proprio a Kiev nel X secolo cominciò la storia di tutta la Russia, col principe Vladimir I che fece battezzare il suo popolo, su esempio della nonna, la grande regina Olga. La sovrana, per prima nel regno della Rus’, si era convertita segretamente al cristianesimo, in contrasto con la sua corte rimasta pagana: sarà proprio il nipote Vladimir a favorirne la venerazione come santa. La tradizione vuole che a Kiev le spose depongano, dopo la cerimonia, il loro mazzolino di fiori proprio ai piedi della regina: lei ci guarda dall’alto del piedistallo della sua statua in marmo bianco, davanti alla chiesa di San Michele dalle cupole dorate.

Il Monastero delle Grotte a Kiev, Patrimonio dell’Unesco

La bella sovrana si erge di nuovo nella piazza, conscia della sua rivincita nella tormentata storia degli ultimi cento anni; la affiancano Sant’Andrea e i due monaci greci Cirillo e Metodio, inventori dell’alfabeto cirillico tuttora in uso nel paese. Grazie a lei il regno della Rus’ si rafforzò e Vladimir lo trasformò nella prima grande entità politica regionale; Kiev, la più antica città slava, si abbellì di oltre quattrocento chiese e monasteri, come Pecersk, patrimonio Unesco, eccezionale complesso di edifici che dalla collina scendono fino al fiume, una vera e propria città nella città. Le cupole dorate svettavano in mezzo agli alberi di castagno e brillavano al sole del tramonto, creando una scenografia straordinaria: fondato poco dopo l’anno mille era sopravvissuto a invasioni, guerre e distruzioni, ma ora è di nuovo in pericolo…

E poi verso sud a Zaporizhye, l’isola dei Cosacchi, fieri oppositori di Caterina la Grande a cui non permisero di approdare sulle loro rive, scatenando la vendetta della zarina. Il suo favorito, il conte Potyomkin, si fece costruire una villa in un bellissimo parco sul fiume, là dove Caterina fondò poi la città di Dnipro. Davanti al palazzo c’è il nostro hotel, un tempo il migliore della città, dove risiedevano i capi della nomenklatura sovietica in visita a quella che era allora la capitale dell’industria bellica dell’URSS, interdetta ai visitatori stranieri per i segreti militari che vi si custodivano.

La cattedrale
di Santa Sofia a Kiev

E poi più a sud in Crimea, il Chersoneso greco, la mitica Tauride, dove la sventurata Ifigenia trovò rifugio secondo la tradizione euripidea. Sebastopoli e Balaklava evocano la memoria di sanguinose battaglie: la Russia e l’Impero Ottomano, con i suoi alleati, si affrontarono per tre lunghi anni e un cippo ricorda il sacrificio degli Italiani che dal Regno di Sardegna vennero mandati a combattere qui. In questo sanguinoso conflitto rifulsero la pietà, il coraggio e lo spirito di sacrificio di una giovane donna inglese, Florence Nightingale, “The Lady of the Lamp”, che prestò soccorso e conforto a feriti e moribondi. Ma certo fu a Yalta che si decisero le sorti del mondo nel febbraio 1945, nella sontuosa residenza dello zar Nicola II a Livadiya: qui si tenne la storica conferenza fra gli alleati Roosevelt, Stalin e Churchill, qui fu scattata la storica foto seduti su una panchina in marmo nel giardino “all’italiana” del palazzo. Anche noi, dopo oltre 60 anni, ci sediamo per una foto ricordo… i corsi e ricorsi della storia! Era una stupenda giornata di sole a Yalta e sotto il cielo terso di Crimea l’estate pareva non voler finire: era appena arrivata una nave da crociera e frotte di turisti affollavano lo splendido lungomare. Suonava la campana della cattedrale di Alexander Nevskij dalle cupole dorate, brillavano file di candele accese davanti alle sacre icone e i fedeli sostavano in preghiera… c’è davvero bisogno di pace!

UCRAINA

Soroptimist International e Unione Italiana contro la guerra in Ucraina

di Silvia Ruspa

“Sgomento, grande tristezza e preoccupazione per ciò che sta succedendo in Ucraina, unitamente alla netta e ferma opposizione ad ogni forma di guerra e di violenza”.
Queste le parole pronunciate da Giovanna Guercio nel comunicato stampa del 24 febbraio us, relative all’inizio della guerra in Ucraina.
Soroptimist International, organismo che gode dello status consultivo presso l’ONU, è, da sempre, impegnato nella difesa dei Diritti Umani e della Pace nel mondo così come nella promozione del buon volere internazionale e del dialogo fra comunità pacifiche.
Anche il Soroptimist International d’Italia ha espresso, da subito, concreta vicinanza a tutte le Socie dei Club ucraini ed a tutte le donne ed ai bambini che rischiano di pagare il prezzo più alto del conflitto.
“La prima e la più forte risposta alla guerra − conclude Giovanna Guercio − è l’utilizzo del linguaggio della Pace. Noi socie di tutti i Club del Soroptimist d’Italia saremo a fianco di ogni iniziativa di solidarietà”.
Il Soroptimist d’Italia è a fianco del Soroptimist of Europe con “we stand up for women in war zone” e ha prontamente aderito alla sottoscrizione di un unico fondo di raccolta da destinare agli aiuti per i profughi della guerra.
La Presidente nazionale, Giovanna Guercio ha accolto l’appello lanciato da Carolien Demey, Presidente della Federazione europea, quale espressione di una scelta corale di tutte le Soroptimiste europee, finalizzata a non disperdere gli interventi, assommando l’impegno in destinazioni utili e concrete.
Con forza e tempestività tutte le Soroptimiste hanno sostenuto con un’ondata di aiuti le donne Ucraine e le loro famiglie inviando materiale nei loro territori e aiuti economici per contribuire ai progetti di Federazione e dei Club che si trovano ai confini con l’Ucraina (Polonia, Moldavia, Slovacchia, Romania, Ungheria) per intervenire là dove si pratica il primo soccorso ai profughi attraverso i nostri Project Matching.
Giovanna Guercio ha personalmente scritto all’Ambasciatore dell’Ucraina per richiedere indicazioni dettagliate circa le più immediate necessità della comunità Ucraina in Italia così come dei numerosi profughi, a noi giunti.