Una due giorni di convegno sulle PARI OPPORTUNITÀ –
24-25 marzo 2023 Museo Diocesano e Capitolare Terni
di Silvia Ruspa
Il convegno che si è tenuto a Terni, ha mirato ad approfondire le tematiche dell’obiettivo 5 dell’ agenda 2030, divario di genere e diritti umani. Promosso dal SI d’Italia in collaborazione con il Comitato Consulte e Pari Opportunità e con il Soroptimist Club Terni ha rappresentato un’impor- tante occasione di confronto
Nella giornata del 24 marzo
Le presidenti e le referenti pari opportunità dei club partecipanti hanno illustrato al Comitato consulte e Pari opportunità SI d’Italia, le attività sul territorio. Numerosi i Club presenti: Ancona, Siena, Fermo, Valle Umbra, Terni, Napoli, Ascoli Piceno, Vercelli, Messina, Jesi, Follonica, Napoli Vesuvius, Milazzo, Roma Tiber, Perugia e le comunicazioni scritte di Prato e Livorno
Nella giornata del 25 marzo
Dopo i saluti istituzionali e della Presidente Nazionale Giovanna Guercio, la ministra Eugenia Roc- cella ha portato in video il suo saluto e gli auguri di buon lavoro. Maria Antonietta Lupi presidente del comitato nazionale consulte e pari opportunità ha introdotto il tema del convegno, presentando i punti dell’obiettivo 5 dell’agenda 2030 dell’ONU. Stefania Capponi presidente del club organizzato- re ha moderato il primo panel di relatori, che hanno rappresentato la situazione italiana rispetto alla parità di genere, le azioni positive per rimuovere gli ostacoli ad una effettiva parità delle donne. Si è affrontato il tema delle politiche pubbliche, delle attività effettuate dagli ordini professionali e da Confindustria giovani, con uno sguardo sulla legislazione del nostro Paese, dalla legge Golfo Mosca, alla certificazione di genere. Inoltre una riflessione sugli stereotipi di genere e sul ruolo fondamentale dei mass media nel veicolare messaggi più rispettosi e inclusivi.
Nel secondo tempo, moderato da Daniela Farone, componente del comitato consulte e pari opportunità, si è trattato il tema della violenza di genere e dei diritti umani violati in molte parti del mondo attraverso appassionate riflessioni di giudici, psicologhe, avvocate, professoresse universita- rie, associazioni, per concludere con l’argomento dell’incremento della violenza nei confronti del personale sanitario.
Al termine Fiorella Chiappi, componente del comitato consulte e pari opportunità, ha relazionato sugli spunti offerti dai club nel workshop del pomeriggio
Dei numerosi e significativi interventi, di seguito le testimonianze di alcune relatrici che hanno par- tecipato alle varie sessioni.
Mi sono posta come obiettivo di attuare politiche concrete a supporto delle mie colleghe, ben consapevole che il percorso per eliminare il gender gap è ancora lungo
H imparato a parlare dell’esigenza di superare le barriere al progresso delle donne, paradossalmente, dopo esser diventata Presidente dell’Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Milano.
Prima, nel mio percorso di crescita, davo quasi per scontato che professionisti con le mie stesse competenze fossero maggiormente apprezzati… ritenendo di dare di meno perché parte del mio tempo lo dedicavo alla mia famiglia. Non consideravo le tante ore che, fuori dagli orari canonici, dedicavo alla formazione, al la- voro e all’impegno all’interno della categoria. Tutto mi sembrava sempre troppo poco.
I colleghi andavano avanti e per me era giusto così! Solo il tempo mi ha insegnato che, invece, il problema era culturale, da parte di chi privilegiava, sicuramente in buona fede, i colleghi uomini istintivamente attribuendo a loro maggiore autorevolezza e da parte mia che consideravo normale tali scelte. Poi grazie a un collega che ha effettuato la selezione per la Com- missione del Consiglio Nazionale e, senza conoscermi (ma basandosi solo sul mio CV) mi ha nominata in essa, ho cominciato a crescere anche all’interno della categoria fino a raggiungere ad una posizione apicale e ho capito che era questo l’approccio giusto.
Ora tocca a me e proprio in forza della mia esperienza, posso e devo essere volano di un cambiamento di passo anche in questo ambito. Mi sono posta come obiettivo di attuare
politiche concrete a supporto delle mie colleghe, ben consapevole che il percorso per eliminare il gender gap è ancora lungo. Per questo motivo, primo Ordine in Italia, ho proposto al mio Consiglio, che ha accettato all’unanimità, di avviare un iter per la certificazione della parità di gene- re nell’ente da me diretto. Questo ha dato vita ad azioni concrete nel por- re attenzione che, nelle nomine delle posizioni apicali delle Commissioni di Studio dell’Ordine, vi fosse un’a- deguata presenza femminile, come anche nei numerosi eventi dell’Ordi- ne vigesse la regola di porre accanto a relatori anche relatrici e garantire che nei tavoli di lavoro nei quali l’en- te è chiamato a partecipare ci siano sia colleghi che colleghe.
Questo approccio molto pragmati- co ha, in fase iniziale, destabilizzato l’organizzazione, ma ora è diventata routine. Credo che questa sia la strada da percorrere e che il cambiamento possa e debba venire con il coinvol- gimento di tutti, ma, in primo luogo, di chi è al vertice e può introdurre li- nee strategiche innovative.
Questa mia esperienza gratificante ha permesso a molte colleghe di cogliere molte opportunità che diversamente sarebbero risultate per loro molto più difficili. Un’altra cosa è certa: l’Ordine ne è risultato rafforzato ed arricchito: testimonianza di come l’assenza del gender gap è un obiettivo che deve essere perseguito, non in difesa delle donne, ma per far crescere al meglio il tessuto economico e sociale del nostro Paese.
Non accettare nessuna forma di violenza CHIAMA IL 1522, in tandem con la Campagna SIE READ THE SIGNS
Il Soroptimist International d’Italia, anche quest’anno, sosterrà la campagna internazionale Orange the World promossa dall’Onu, da UNWomen e dalla nostra Federazione Europea; dal 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza, al 10 dicembre, giornata internazionale per i diritti umani che coincide con il nostro Soroptimist Day, partiranno i 16 giorni di attivismo che ci vedranno unite per realizzare iniziative ed azioni di sensibilizzazione utilizzando in tutta la comunicazione il colore arancione, simbolo di un futuro senza violenza di genere e il motto dell’Unione: NON ACCETTARE NESSUNA FORMA DI VIOLENZA – CHIAMA IL 1522. La novità di quest’anno è che proporremo e sosterremo insieme anche l‘innovativa Campagna di Comunicazione della Federazione Europea “Read The Signs”, che unifica tutti i Club del SIE e chiede a tutte le soroptimiste una forte mobilitazione per prevenire la violenza domestica. Siamo chiamate ad un’azione corale che renderà ancor più efficace il nostro messaggio e la nostra azione di sensibilizzazione contro la violenza di genere. Il 1522 è il numero telefonico di servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero, gratuito è attivo 24 h su 24, per tutti i giorni dell’anno ed èaccessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con operatrici specializzate che accolgono le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking, garantendo il completo anonimato per favorire l’emersione del fenomeno della violenza intra ed extra familiare a danno delle donne. Le operatrici telefoniche dedicate al servizio forniscono una prima risposta ai bisogni delle vittime di violenza, offrendo informazioni utili e un orientamento verso il centro antiviolenza più vicino o i servizi socio-sanitari pubblici e privati presenti sul territorio nazionale.
Le IniziativeOrange 2022dell’Unione Italiana
In una continuità d’azione, anche nel 2022 l’Unione Italiana propone le due iniziative caratterizzanti che vanno ad “accendere” l’attenzione direttamente sulla rete volta all’assistenza delle vittime e sui luoghi deputati a proteggerle: una simbolica illuminazione in arancione delle Caserme dei Carabinieri e delle Questure che ospitano le nostre “Stanze tutte per sé” e l’acquisto delle clementine antiviolenza di Confagricoltura Donna il cui ricavato andrà ai Centri antiviolenza territoriali.
Tra le iniziative dei club, vi segnaliamo il Progetto Sacchetti “antiviolenza” da distribuire alle farmacie con lo slogan “NON ACCETTARE NESSUNA FORMA DI VIOLENZA- CHIAMA IL 1522”, realizzato per la Campagna Orange 2021 dal Club di Como; il Progetto ha ricevuto anche una menzione ai BPA 2022 del SIE e lo scorso anno è stato adottato da tanti club da nord a sud anche grazie alla rete delle socie farmaciste. Per chi fosse interessato, Il Club di Como si propone come capofila e come supporto e potete contattarlo scrivendo una mail.
Si potrebbe definire una sorta di vetrina di tre testate storiche, prestigiose, Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione, nata dalla visione lungimirante di Andrea Riffeser.
Questa strategia ha reso possibile un coordinamento fra notizie di carattere internazionale, nazionale e locale con una valorizzazione del territorio, garantita dalle varie redazioni locali che spaziano dalla Lombardia all’Umbria.
Chiaramente, ciò ha comportato un lavoro complesso costruito sull’ascolto, la mediazione, la pazienza nella selezione delle notizie delle varie redazioni ma è ciò che rende unico QN all’interno del mercato editoriale italiano dove la carta stampata, da ormai ventanni, sta perdendo enormi fette di mercato. Il radicamento territoriale di QN costruito sulla familiarità, sulla tradizione e storicità, sulla consuetudine delle tre testate sopra citate funge da ancoraggio nella caduta verticale delle vendite dei quotidiani, in Italia.
Inoltre, la valorizzazione del territorio fa si che notizie locali che rimarrebbero escluse dal circuito nazionale possano emergere ed assurgere, a seconda dei casi, alla diffusione nazionale.
Come si arriva alla Direzione di QN?
Tre anni or sono, venni nominata direttrice de La Nazione di Firenze, a soli 34 anni.
Fu una nomina del tutto inaspettata, proprio in quanto prevedeva un ruolo direttivo da parte di una donna. Si trattò, allora come ora, di una chiara espressione di volontà di genere, da parte dell’Editore.
Se non ci fosse stata questa espressione di valorizzazione di genere, non sarei diventata direttrice de La Nazione, allora e di QN, ora. Purtroppo, in Italia, è ancora impossibile per una donna raggiungere ruoli professionali direttivi, soprattutto in alcuni ambiti di attività e, sicuramente, il giornalismo si colloca fra questi. In effetti, non ho termini di paragone o modelli a cui ispirarmi. Mi rendo conto di rappresentare un’unicità nel panorama editoriale italiano e, proprio per questo, mi sento ulteriormente stimolata a migliorarmi, ponendomi l’obiettivo di una continua formazione professionale e personale.
Esiste un problema di scelta che parte da chi sceglie. È giusto dire e ribadire che io non sono e non mi considero la giornalista donna migliore nel panorama editoriale italiano. Mi è stata concessa un’occasione tramite il meccanismo delle Quote Rosa che rappresentano, incontrovertibilmente, una forzatura ed una distorsione anche rispetto al valore della meritocrazia ma che in un Paese come l’Italia, dove la metà di chi svolge la professione giornalistica è donna, diventa l’unica possibilità di assurgere a ruoli direttivi.
L’ISTAT ci rivela che nel 2021, in Italia seconda manifattura d’Europa oltre che Paese fra i più industrializzati al mondo, mediamente, solo il 49% delle donne è impegnata in un’occupazione stabile, praticamente, una donna su due. Mentre, la percentuale scende al 30% nel Mezzogiorno. La freddezza dei numeri non parla, poi, delle conseguenze di queste rilevazioni in termini di mancanza di autonomia economica, sociale, ma anche negli equilibri familiari.
Quindi, le quote rosa rappresentano un’occasione che non va sprecata per arrivare a giocare delle partite senza handicap in partenza causati dall’identità di genere.
Come si è trovata a dirigere anche i suoi colleghi uomini?
Non sperimento differenze particolari nella direzione. Dirigere coincide, fondamentalmente, nel guidare le scelte degli altri. E ciò lo si fa partendo dall’etica del proprio ruolo ma anche della propria personalità, da chi siamo intimamente. Trovo sbagliato e pericoloso assumere ruoli precostituiti che non ci appartengono. Il giornalismo che si svolge in redazione si configura come l’attività in cui la scelta è strumento essenziale. La cosiddetta linea editoriale è l’insieme di scelte che la direttrice pone in essere con la sua redazione. E siccome la scelta è opinabile, il giornalismo è il mestiere dove si “sbaglia” maggiormente. Il margine di errore è elevatissimo, soprattutto in un quotidiano. Il deterrente consiste nel fatto che i giornali sono prodotti da tante persone per cui esiste una sorta di controllo e gestione dell’errore interna alle singole redazioni.
Questa la differenza fondamentale con l’influencer che lavora solo.
La direttrice si assume l’ultima fetta della scelta ed è colei che è responsabile della linea adottata.
Esiste una differenza di stile comunicativo soprattutto nella descrizione di fatti di violenze sessiste, fra giornalisti uomini e giornaliste donne?
No, non esiste perché siamo tutti immersi nella stessa cultura.
Gli strafalcioni o, peggio, le insensibilità di alcuni titoli (“Uccisa dal marito che pensava lo tradisse”…) li scrivono sia gli uomini che le donne perché apparteniamo allo stesso filone socioculturale. Dobbiamo sforzarci di utilizzare un linguaggio consono, evitando parole distorte e distorsive. È un compito fondamentale che ogni professionista dell’informazione deve imporsi. Ci si deve sforzare adottando registri semantici eccentrici rispetto alla cultura ancora dominante, sessista nei fatti.
Da questo punto di vista il confronto con le varie reti sociali è molto utile perché nella sua immediatezza aiuta la carta stampata in un percorso di autoconsapevolezza e supervisione.
L’utilizzo della declinazione di genere femminile in alcuni termini può rafforzare l’identità femminile?
Se ci si vuol riferire alla “questione” Treccani, penso che, semplicemente, Treccani abbia recepito la vera essenza della lingua italiana che ha straordinarie sfumature fra le quali la declinazione di genere. Personalmente trovo allucinante il dibattito che si è aperto circa le prese di posizione relative alla declinazione di genere delle parole, in particolare, di quelle che definiscono l’ambito professionale delle donne.
La discrasia è, ancora una volta, culturale e non linguistica. Le donne debbono avere l’autonomia di scegliere il proprio nome. Negli anni settanta il dibattito era centrato sul corpo (il corpo è mio e lo gestisco io), ora, sembra si sia spostato sul nome (il nome è mio e lo scelgo io. ndr) Io ho scelto di chiamarmi e farmi chiamare direttrice ma rispetto, senza alcuna giudizio, chi preferisce il termine declinato al maschile.
Viviamo in un Paese che giudica, in modo acrimonioso, il nome con cui le donne decidono di farsi chiamare.
Quali le direzioni di lavoro per traguardare la parità di genere?
Innanzi tutto riconoscendo la reale situazione di disparità in cui, ancora, vivono le donne. Il cambiamento può avvenire solo se sono chiare le condizioni di partenza. Ovvero, va compresa ed analizzata la condizione femminile in Italia, neutralizzando le disparità con ogni mezzo. In primis, l’ambito politico perché il gender gap lo si contrasta tramite l’elaborazione di leggi mirate che consentano il riconoscimento di diritti fondamentali in ambito assistenziale, formativo, economico oltre che professionale. Poi, certamente, ciascuna di noi può e deve agire, in proprio, nell’ambito delle proprie facoltà affinché gli equilibri cambino, siano più stabili, cercando di imprimere la propria identità nei rapporti personali col proprio partner, coi colleghi, nelle relazioni sociali, in genere. Certamente, il cambiamento rende insicuri e, spesse volte, soprattutto le donne più giovani si convincono di non essere all’altezza di determinati incarichi, di non riuscire ad essere sufficientemente brave e preparate per affrontare ruoli direttivi. In realtà mancano le occasioni per dimostrare la tenuta e le proprie capacità. Bisogna creare occasioni nuove alle donne, anche attraverso forzature. La mia storia professionale lo sta dimostrando.
La mancanza di occasioni, rende le donne più fragili e perennemente timorose nei confronti delle critiche circa il loro operato, oltre che vittime di negazione sociale.
La propria identità si costruisce e si rafforza, ogni giorno, diventando (come dice Nietzsche) ciò che si è.
Il Global Media Monitoring Project (GMMP) è il più ampio e longevo progetto di advocacy e di ricerca sulla rappresentazione delle donne nei contenuti dell’informazione, promosso e coordinato dalla World Association for Christian Communication, in collaborazione con una rete mondiale di ricercatori e ricercatrici aderenti all’iniziativa su base volontaria. (https://whomakesthenews.org).
Il progetto è nato nel 1995, durante i lavori di preparazione alla quarta Conferenza mondiale sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite a Pechino, e raccoglie ogni 5 anni dati sulla presenza delle donne e degli uomini nei contenuti dell’informazione e sulla qualità dell’informazione quotidiana di stampa, radio, TV e, dal 2015, Internet e Twitter. I risultati consentono alla comunità internazionale di verificare lo stato di avanzamento delle donne rispetto ai due obiettivi fissati per il settore dei media dalla Dichiarazione e Piattaforma d’azione di Pechino, ovvero:
1• aumentare la partecipazione delle donne all’espressione e ai processi decisionali dentro e attraverso i media e le nuove tecnologie della comunicazione
2• promuovere una rappresentazione bilanciata e non stereotipata delle donne nei media.
I dati costituiscono una bussola utile a tutti i paesi aderenti al GMMP (116 nel 2020) per la realizzazione dell’uguaglianza di genere nei media, un settore che l’ONU per la prima volta nel 1995 ha dichiarato strategico per il miglioramento della condizione femminile in tutto il mondo.
La sesta edizione del GMMP Italia ha visto la partecipazione di 7 gruppi di ricerca afferenti all’Osservatorio di Pavia e alle Università Ca’ Foscari di Venezia, della Calabria, di Milano Bicocca, di Padova, di Roma La Sapienza e di Torino, coordinati da me insieme alla professoressa Claudia Padovani (Università di Padova). Il campione di analisi ha incluso 38 testate giornalistiche nazionali che sono dettagliate nel rapporto di ricerca disponibile onlinehttps://whomakesthenews.org/gmmp-2020-final-reports/
I risultati attestano una presenza delle donne come fonti o newsmaker mediamente pari al 26%: 24% per i mezzi di informazione tradizionali (radio, stampa e TV) e 28% per quelli digitali (Internet e Twitter), in crescita rispetto al 2015, rispettivamente di 3 e 1 punto percentuale. Sono senz’altro segnali positivi che confermano il progressivo avvicinamento dell’Italia al resto del mondo (25%), ma che risultano ancora troppo deboli. Se pensiamo che le donne in Italia hanno un’incidenza superiore al 50% sull’intera popolazione, è evidente che i mezzi di informazione nazionale continuano a riflettere una società lontana da quella reale. Una maggiore aderenza alla realtà è attestata invece dalla visibilità delle giornaliste, mediamente pari al 41%, un valore in linea con la loro rappresentanza effettiva nella professione: 41,6% nel 2020, secondo i dati INPGI.
Per quanto riguarda le funzioni delle persone di cui si parla o intervistate nell’informazione, sia i media tradizionali sia i media digitali, registrano la prevalenza di tre categorie: le persone che fanno notizia in quanto argomento/oggetto della stessa, quelle interpellate come portavoce di associazioni, aziende, enti, istituzioni, organizzazioni, partiti, etc. e le persone intervistate in qualità di esperte. Tolte le persone che fanno notizia in quanto protagoniste di eventi che superano la soglia di notiziabilità, portavoce ed esperte/i restano infatti le persone più visibili nell’informazione quotidiana italiana, o perlomeno in quella monitorata dal GMMP, che non include tutti i generi e sotto-generi informativi, e tuttavia riguarda un campione di notizie che raggiunge un pubblico molto vasto e diffuso. I criteri di selezione dei media monitorati dal GMMP tengono infatti primariamente conto di fattori di audience e readership.
Venendo ora ai dati per genere, i risultati sulle funzioni delle persone nelle notizie attestano una presenza femminile fra le persone oggetto/argomento di notizia perfettamente in linea con la media generale nei mezzi di informazione tradizionali (24%) e superiore nei media digitali (29%). Per quanto riguarda le portavoce, esse superano quota 24% sia nei media tradizionali (30%), sia nei media digitali (31%), attestandosi su un valore medio del 30%, raddoppiato rispetto al 2015. Le esperte invece si attestano su valori molto più bassi, registrando nel complesso una percentuale del 13%, risultato della media ponderata tra il 12% dei media tradizionali, rispetto al 18% del 2015, e il 16% dei media digitali, come nel 2015.
Un fenomeno che non si è invece verificato a livello globale, dove, al contrario, il contesto pandemico sembra aver favorito la visibilità delle esperte, cresciuta complessivamente dal 19% del 2015 al 24%, e sino al 29% nelle notizie correlate al Covid-19, che, come nell’informazione italiana, riguardano il 25% delle notizie monitorate. Quale fattore abbia sfavorito la visibilità delle esperte nelle notizie italiane è una domanda per ora ancora inevasa. Non sembra infatti possibile ascrivere la diminuzione delle esperte concomitante al dominio del Covid-19 nell’agenda dei media italiani a un mancanza di professioniste impegnate in materia. Solo la banca dati www.100esperte.it, nata nel 2016 su iniziativa dell’Osservatorio di Pavia e dell’associazione di giornaliste GiULiA, sviluppata dalla Fondazione Braccio e con il supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea, proprio per favorire la reperibilità di donne esperte da parte di media, ne mette a disposizione oltre 50. I fattori all’origine di questa grande “opportunità mancata” di includere le donne, e in particolare, la loro expertise, nell’informazione pandemica credo debbano essere cercati altrove.
Accelerare il cambiamento è il motto scelto dalla nostra presidente per indicare la necessità di mettere davvero tutti, soprattutto le donne, nella condizione di essere protagonisti del futuro, di indicarne la rotta, di costruirlo. E, sicuramente, ogni cambiamento, che è sempre, soprattutto, culturale e sociale, passa attraverso la lingua, che veicola stereotipi e atteggiamenti e che, di contro, può guidare una radicale trasformazione nel nostro modo di guardare alle differenze per favorire la massima inclusione. Di questo vogliamo parlare con Patrizia Del Puente, docente di glottologia e linguistica all’Università degli studi della Basilicata.
In che misura discriminiamo mentre parliamo?
Se è vero, come è, che nella lingua si riflette il modo di essere, vivere e pensare di un popolo, allora è ovvio che se la società fissa dei criteri di discriminazione, questi si riflettono nella lingua che essa usa. La nostra società, ad esempio, discrimina ancora fortemente le donne e, se tale atteggiamento è concretamente e tangibilmente evidente nel gap che si rileva tra gli stipendi che percepiscono gli uomini e quelli che percepiscono le donne, tale discriminazione è ancor più evidente, a mio parere, nella lingua che parliamo. Abbiamo mai riflettuto sul fatto che per definire il genere umano si usa la parola “uomo”? Il detto “l’uomo è la misura di se stesso”, ad esempio, non ci è mai suonato offensivo o emarginante? Eppure sarebbe più corretto dire “la persona” “l’essere umano” in luogo de “l’uomo” per indicare un insieme di uomini e donne. Per nessun altro insieme nella nostra lingua useremmo come iperonimo di riferimento un iponimo della stessa categoria! E questo vuol dire che si riconosce all’uomo un ruolo di superiorità rispetto a quello della donna. Facile dire: ormai siamo abituati, sono modi di dire che sono entrati nella nostra stessa carne, che fanno parte di noi. Se effettivamente ciò che è entrato e si è cristallizzato nella lingua fosse immutabile, non si capirebbe come mai si siano registrati, negli ultimi decenni, diversi cambiamenti volti a tutelare categorie o razze ritenute discriminate. Quello che era lo “spazzino” è diventato “operatore ecologico” e la “donna di servizio”, “colf” e così via. È stato proibito l’uso del termine “negro” percepito come offensivo per la razza africana e quello “giudeo”, stigmatizzato, viene sostituito da “ebreo”. Questi cambiamenti sono frutto di un intervento socio-politico e hanno creato attenzione e sensibilità, combattendo atteggiamenti classisti o razzisti. Insomma la lingua è una struttura dinamica e lavorare sulla lingua serve anche a riclassificare la nostra realtà.
Quali sono gli stereotipi più comuni fissati attraverso la nostra lingua?
Di stereotipi ce sono tantissimi e il problema più grande è che a volte vengono usati senza rendersi conto che causano situazioni di discriminazione, se non di vera e propria emarginazione. Molti stereotipi vengono veicolati dalla lingua in modo non troppo evidente e sono quelli più pericolosi, molto più di quelli marchiani tipo “chi dice donna dice danno” o simili. Faccio riferimento, per esempio, al fatto che per la donna esistono due termini inerenti al suo status di sposata o no: signora e signorina. Tale situazione linguistica è asimmetrica in quanto per l’uomo non abbiamo termini come signorino per chi non è sposato. Questo cosa sottintende? Che lo status della donna è sempre considerato in dipendenza da un uomo o il padre (signorina) o il marito (signora). Un’altra evidente discriminazione linguistica si rileva nella mancanza di applicazione delle regole grammaticali della lingua italiana, cosa evidentemente dovuta a un diffuso maschilismo all’interno della nostra società. Facciamo ancora una volta un esempio. Se devo rendere il femminile di cameriere la regola grammaticale mi impone la forma cameriera, se devo indicare il femminile di infermiere dovrò dire infermiera. Ma, allora, perché, ancora oggi, non si sente dire di una donna laureata in ingegneria che è un’ingegnera? Perché, se il femminile di chiamato è chiamata, non si usa, però, avvocata, ma, alla meno peggio, avvocatessa? Perché si deve usare il suffisso derivativo -essa laddove le regole grammaticali dell’italiano chiedono una normale flessione -o/-a?
È chiaro che il problema è di mentalità, di non accettazione che le donne possano svolgere, alla stregua di un uomo, mestieri che, fino a non molto tempo fa, le erano interdetti. Anche perché il titolo di Avvocata è, nella nostra tradizione religiosa, attribuito alla Madonna, almeno a lei non si nega…
C’è anche un problema di significati, oltre che di regole grammaticali. Pensiamo alla valenza di alcuni termini, alla connotazione di alcuni sostantivi, positiva se riferiti agli uomini e negativa se invece riferiti alle donne.
Verissimo! Basti pensare a un termine come governante proviamo a pensarlo al maschile e poi al femminile, la disparità di valore è chiara…
Si capisce anche perché Camusso, pur essendo una donna, è definita, data l’importanza del ruolo ricoperto, segretario e non segretaria o Marcegaglia amministratore unico e non amministratrice unica… Non è lontana la triste polemica televisiva della direttrice d’orchestra che chiedeva di essere chiamata direttore. E che dire di espressioni come buona donna che non ha certo lo stesso significato del corrispondente maschile buon uomo e donna di strada che non ha nulla a che fare con il corrispondente maschile uomo di strada. Si potrebbe continuare, ma credo di aver reso l’idea.
Da qualche tempo si è aperta una discussione anche piuttosto accesa sulla necessità di riformare il linguaggio per renderlo sempre più inclusivo e al passo con i tempi, non solo perché si adegui ai cambiamenti ma anche affinché li determini. Si tratta di processi che, evidentemente, hanno bisogno di tempi non certo brevi per produrre i loro effetti. Da cos’altro devono essere accompagnati?
Come dicevamo la lingua non può essere imposta, la lingua però cambia attraverso l’uso e l’uso può essere aiutato attraverso mirate strategie culturali e sociali. La lingua non è solo lo strumento finalizzato a trasmettere messaggi, la lingua consente la diffusione, la trasmissione di idee, di pensieri e in più descrive il mondo, la società che viviamo. Il contributo della lingua è fondamentale nel processo evolutivo di una società che vuole essere libera dalle discriminazioni, ma deve essere una lingua connotata da un uso consapevole del parlante, uso che può essere incanalato verso la giusta via dagli ambienti educativi per eccellenza che sono la scuola, l’università e la famiglia.
Quindi preparare i docenti a trasmettere una lingua scevra da condizionamenti sessisti è fondamentale. Una grande mano per aumentare l’attenzione di tutti su queste problematiche possono sicuramente darla le associazioni che hanno obiettivi culturali come la vostra.
Insomma, si può accelerare il cambiamento (per usare il motto del Soroptimist) attraverso la lingua?
Sì, certo. Non dobbiamo pensare che la lingua abbia un ruolo marginale, anzi si parte da lei per cambiare il pensiero.
Ma comunque io sono d’accordo con lo studioso John Baker che parlava di pluralismo strategico, ossia della possibilità di raggiungere un obiettivo proprio grazie a persone che lavorano su vari fronti per lo stesso risultato. Uno importante di questi fronti è proprio la consapevolezza con cui parliamo, scriviamo e ci esprimiamo. Quindi proviamo a partire anche da una maggiore attenzione alla lingua per condurre la lotta contro ogni discriminazione, per cambiare una realtà imperfetta.
Il Soroptimist Club Messina ha lanciato con una conferenza stampa la Campagna ‘Orange the World in ME’, 16 giorni di attivismo per promuove attraverso la luce, l’arte e la cultura, azioni atte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza. Nella sala ovale del Comune, la Presidente del Soroptimist Club Messina Linda Schipani ha presentato le locandine degli eventi in programma, le buste della farmacia e gli adesivi con il numero 1522, accanto a lei la Vicesindaco di Messina Carlotta Previti, l’Assessore alle politiche sociali e pari opportunità, il Comando dei Carabinieri, le Presidenti di Acisif e Cirs. Il calendario delle attività ha preso il via il 25 novembre. Un buffet, colorato dalle clementine antiviolenza, apre la mostra ‘Donne d’Artista’ lungo la scalinata che ospita la casa famiglia del Cirs. Tredici opere d’arte, realizzate su vecchi cartelloni di lingerie da altrettante artiste messinesi, raccontano le Donne che neanche la pioggia può fermare. Le opere sono state munite di impermeabili trasparenti e i visitatori di ombrello, tra loro la Prefetta di Messina Cosima Di Stani, la Vicesindaca, le Forze dell’ordine, le Scuole e tante Sorelle. La sera illumina di arancione luoghi simbolo di Messina: Municipio, Caserma, Università, Carcere e poi anche la Prefettura.