PENSIERI

Perseguire le vie della Pace

“Hai un sogno nel cassetto?”, mi sussurrava sempre una voce nella testa quando faticosamente cercavo di risolvere un problema esistenziale di lavoro o di routine quotidiana. Ebbene sì! Qualche sogno nel cassetto da sempre coltivo. Forse, inconsapevolmente, nutro fin dalla mia adolescenza il desiderio di fare qualcosa d’importante per l’umanità.

Non un solo sogno, in verità più di uno… Ma l’esperienza mi ha insegnato che i sogni vanno coltivati con passione. Mi riecheggia, di quando in quando, nella testa la famosa frase di Martin Luther King: “I have a dre- am”. Il suo sogno, così semplicemente espresso, sicuramente si è realizzato anche se poi è stato ripagato con una moneta intrisa di sangue.

Qual è il mio sogno allora? Non certo il possesso di automobili di lusso, di vestiti alla moda, di monili o di oggetti vari. Il mio sogno non sa neanche solo di natura e di mare, che amo incondi- zionatamente.

Camminando lungo le amene spiagge del Mar Tirreno, abbracciato dai Monti Aurunci che fan da corona al Golfo di Gaeta, mi fermo ad osservare rispecchiarsi nelle acque cristalline, in questo periodo quasi primaverile, l’immancabile azzurro terso del cielo e il verde in gestazione delle colline amene. Tutto parla di primavera incipiente, anche il rumoreggiare dei marosi quando l’apparente quiete viene bruscamente interrotta da improvvise tempeste.
Sembra quasi che un’impalpabile felicità prenda possesso della mia anima inducendola a trastullarsi nel suo mondo poetico. Eppure, una sottile inquietudine affiora, una sommersa sensazione di amarezza tra le pieghe dei giorni che avanzano in costante processione.

Un anno di guerra è riuscito a coprir- mi di una cappa grigia attraverso l’eco lontana di assordanti combattimenti, una percezione che pareva appartenere ad epoche del passato, relegate nei racconti di guerra di mio padre e mia madre. Il primo, prigioniero nei campi di concentramento nazisti, catturato a Pola insieme all’equipaggio della nave su cui si trovava, giovanissimo ufficiale della Marina Militare Italia- na che non aveva voluto aderire alla repubblica di Salò; la seconda, quin- dicenne in fuga, insieme a mia nonna, per le campagne attigue alla mia cittadina di Gaeta, mentre mio nonno era esule in America con altri due figli maschi.

Purtroppo, la storia si ripete con i suoi corsi e ricorsi di vichiana memoria. Appare annuire la folta chioma del centenario carrubo che ho voluto con- servare nel mio giardino prospicente una vecchia macera, uno di quei muri eretti dai contadini per dividere i loro appezzamenti di terreno da coltivare. Mentre la presenza del carrubo mi rammenta le vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale, il mio sguardo vaga in lontananza quasi a cercare un punto di riferimento. All’orizzonte l’arcipelago pontino mostra con orgoglio le sue apriche isole. Una, in particolare, colpisce la mia attenzione: l’isola di Ventotene con il vicino isolotto di S. Stefano su cui troneggia, nel suo altero silenzio, il carcere dove vennero imprigionati i Padri Fondatori dell’Europa e dove fu stilato il famoso “Manifesto di Ventotene” nel 1941. Quanto dolore risuona tra le sue vetuste mura! Mi sembra di veder passeggiare Giulia, figlia dell’imperatore Ottaviano Augusto, che fu esiliata sull’isola di Ventotene in seguito ad un’accusa di adulterio. La immagino girovagare per quei paraggi e fare il bagno nella vasca che da lei prende il nome.

Oggi che la guerra ucraina ha lacera- to il cuore stesso dell’Europa, sembra quasi incredibile che i tanti sogni nel cassetto, che amavo coltivare in passato, si siano frantumati riducendosi ad uno: “Tentare di perseguire con tutte le mie forze le vie della pace”.

Ed eccomi qua a coltivare questo sogno che affonda le sue radici in tanti anni di lavoro umanitario, già presente in embrione durante la mia infanzia quando amavo ascoltare i racconti di mia madre tra i lunghi silenzi di mio padre che della sua prigionia non ama- va parlare.

Oggi, nominata Ambasciatrice di Pace da parte di diverse associazioni umanitarie sparse per il mondo, mi ritrovo a pensare all’unico intramontabile sogno nel cassetto: la Pace.

Franca Colozzo Architetto – Membro UIA – Union of International Archotros

Quel cassetto, nelle mie stanze

C’è un cassetto, nelle mie stanze, che a volte apro, altre faccio finta di non vedere. Contiene un sogno.

È lì, da anni. Non ricordo di preciso quando ho deciso di custodirlo.

So per certo, tuttavia, che presto metterà le ali e avrà la forma del mio desiderio.

Non appena sarò pronta, non appena avrò acquisito tutte le competenze necessarie, non appena avrò consolidato il mio nuovo linguaggio, quel sogno profumato, dal cassetto, evaporerà.

Perché tutti i miei movimenti, ora, vanno in un’unica direzione, incontro al momento in cui avrò abbracciato la consapevolezza di potermi definire, finalmente, un’artista.

Ecco, l’arte, con le sue molteplici espressioni, è lei il sogno che, per anni, ho nutrito nel suo cassetto.

Talmente forte, così totalizzante, da riuscire a non trasformarsi in rimpianto.

Michela Santoro Artista

Un sogno oltre il cassetto

Chi non ha un sogno nel cassetto? È un po’ la visione di un domani migliore, di un tempo che attende sicuramente più buono del presente. È come assegnare all’attesa un risvolto salvifico. Io ho sognato la scrittura, l’idea di comunicare attraverso le parole. È stata un po’ la risposta a un presente ricco di numeri ma avaro di sentimenti. Il mio sogno non è stato mai immobile. L’ho accarezzato, cullato, l’ho modellato nei mesi e negli anni vissuti, abbracciando le mie passioni. Il mio sogno è fatto di romanzi, di eventi in giro per l’Italia, di incontri con autori, di libri letti e recensiti, di testi di canzoni. A volte è apparso inaspettato; un delizioso imprevisto. Il mio sogno è la mia vita vissuta ogni giorno con lo sguardo rivolto al cielo, aperto verso l’infinito. Il sogno non ha confini, non si ferma, non si imbriglia. Il sogno vola, ha forza, ha muscoli vigorosi che lo sorreggono. Per me non sarà mai qualcosa d’impossibile. Ciò che non potrà essere, non mi appartiene. Sogno con i piedi per terra. Lo penso come un compagno di viaggio. È lì a portata di mano e allora non devo far altro che avere il coraggio e la forza di toccarlo e sognarlo. Il sogno lo vivi solo se, a monte, hai avuto la forza e l’audacia di sognarlo. È così che il sogno sfocia nella felicità, nella gioia di vivere l’dea che gemmiamo.

Fuori dal cassetto, il sogno è vita! Ad esempio, si chiama Aya che, in arabo, significa “Miracolo”. Nasce sotto le macerie del terremoto, in Siria. Sua madre muore nel darla alla luce. Muoiono anche il papà e i suoi quattro fratellini. Lei in- vece è viva, tra le macerie di Jindayris. È ancora attaccata al cordone ombelicale quando la trovano. Il battito è flebile ma c’è. Viene portata in ospedale in pessime condizioni ma respira. Credo sia la massima espressione del “Sogno”…

una forza di vivere così prepotente da sbugiardare persino la morte che incombe.
Provo a fare un volo in un immaginario flusso di coscienza che appartiene alla piccola Aya. Un monologo interiore di inaspettata fantasia… C’è un cupo boato. Devasta il dolce cullare. È stata una rassicurante navigazione. Nove mesi nel “mare interno”. Avvolta e protetta nel buio sicuro. Sentire ogni giorno i pensieri, i battiti di chi apre alla vita. Poi tutto cambia. Tremori, vibrazioni, rumori, fracassi. Intorno si spacca, si spezza, barcolla e crolla. Non vedo ma sento. Odore di paura, morte… distruzione. Il cordone protegge. Mi lega, mi tiene, mi sfama, mi ossi- gena. Non è più il tuo buio sicuro. Ora è buio di morte. A terra sotto il peso dei crolli. Cadi. Cado con te. Hai paura. Ho paura. Tremo all’i- dea del mondo fuori. Non è come lo pensavo. Tienimi con te. Non lasciarmi. Sarebbe terribile. Urlo. Ti chiamo. Ti prego; rispondi. Le acque si rompono. Ti sento pulsare. Una strada davanti. Tienimi con te. Non ho forza per restare. Mi catapulti nel mondo. Ora piango con forza e respiro alla vita tra polveri e macerie. Non ti sento ma sono fortemente legata. Questa corda mi protegge dal destino. Il tempo passa. Il silenzio. Mi hai dato forza per vivere in una disperata solitudine. Intorno solo sirene, parole, soccorsi. Qualcuno mi trova. Piange. Mi abbraccia. Recide la parte di te. Io tristemente viva. Tu morta. Gridano al miracolo. Un sogno crudele che è vita. È una luce amara ma è luce donata dal tuo amore…

L’amore vince la morte. E questo è sognare…oltre il cassetto…

Stefano Carnicelli Scrittore

PENSIERI

L’ozio, vizio o virtù?

… ma insomma cos’è questo ozio / ora / in questi tempi violenti, pensato come dolce far niente o totale passività / è una questione di stasi che va e viene e vola in azzardo come iato imprescindibile?
Ora l’otium di latina memoria, sapienza dimenticata dalla nostra cultura, annaspa tra utili netti e profitti da perseguire anche col fiato corto / ora non c’è tempo da perdere, mentre quasi tutto s’è perso, compreso il proprio tempo.
Si baratta, ora, la conoscenza interiore / si cancella ogni meditazione a favore del negotium senza prendersi cura di sé per poter afferrare qualche lampo di saggia felicità / si corre, ora, a perdifiato in territori di ossessive ambizioni e frustrazioni / giocando una partita persa in partenza.
E allora, ora, viene da dirsi, quando morde il dolore e la morte sogghigna, se non sia insano affogare in un mare di babeliche indecenze, sempre interconnessi e sempre più soli.
Mai, come ora, è tempo di arricchire la vita di tempi sospesi per riflettere tra gli affanni e gli impegni costanti e inevitabili, di perderci negli estetici giochi delle nuvole, di immergerci nella goccia di rugiada che brilla su un fiore, di respirare il vento, di impreziosirci della bellezza in un intrico di verde fogliame, di inseguire pensieri ballerini che s’affacciano fugaci, di indorarci di luce per cogliere qualche balenìo di verità che, a volte, disvela il mistero che ci avvolge, di immaginare il suono delle cosmiche sfere, di meravigliarci del nostro stesso respiro.
Mai, come ora, questo “ozio” vitale potrebbe nutrirci e renderci più umani su questa terra madre, straricca di ingiustizie e di sopraffazioni vergognose, nell’indifferenza quasi totale, ora.

Anna Maria Giancarli

I legami dell’essere

L’oziare viziando l’impulso di creare panorami senza confini, trasformandoli in virtuosi legami dell’essere. La meravigliosa scoperta di lasciarsi trascinare nella lentezza degli oziosi pensieri che sanno regalare emozioni sempre nuove.
Sabrina Giangrande
Giornalista

L’ozio è il padre dei vizi

“L’ozio è il padre dei vizi”, recita il detto.
Eppure, oggi, in questa quotidianità frenetica, schiacciata dagli impegni, tormentata da notifiche, obblighi, pressioni, rumori e suoni incessanti l’ozio può rappresentare una virtù.
Un attimo di riflessione.
Un momento di silenzio.
Una pausa.
Corriamo per raggiungere il posto di lavoro, l’università, la scuola, corriamo per riempire le nostre vite, forse perché gli attimi di vuoto ci fanno paura.
Siamo così abituati a vivere in affanno che ci dimentichiamo di respirare, di prenderci del tempo da dedicare al niente.
Riprendiamoci l’ozio.
Possiamo scegliere di strappare un attimo di ozio a questo mondo che ci vuole sempre attivi…
Per restare in compagnia di noi stessi, della nostra anima.
“L’ozio è una virtù.”

Piccola poesia oziosa – l’ozio

Ozio

L’abbaiare di un cane.
Il frinire stanco di un grillo.
Il fresco della sera.
Lo scricchiolio dei passi di un vicino.
La confusione immota delle stelle.
Il sapore delle amarene.
Una macchina lontana.
E poi il silenzio.

Cristina Cerasi
Copywriter

PENSIERI

Una nuova consapevolezza per progettare il domani

di Roberto Speranza, Ministro della Salute

Una società che pensa al futuro è una società viva e piena di speranze. Dalla durissima esperienza che abbiamo attraversato a causa della pandemia, stiamo uscendo oggi con una nuova consapevolezza e con strumenti rafforzati, per progettare il domani. In questo percorso dovrà risuonare la voce forte e autorevole delle donne, a partire dal mondo della salute e della sanità, nel quale si è avviata una nuova stagione di sviluppo.
Oggi la stragrande maggioranza di chi lavora nella sanità è donna, un dato fondamentale da valorizzare il più possibile in termini di professionalità, ma anche nello sviluppo della medicina di genere. Una sfida da affrontare rafforzando il nostro Servizio Sanitario Nazionale e valorizzando il punto di vista delle donne.

PENSIERI

Spes, ultima dea

di Anna Di Russo, Avvocata

Espressione latina che viene ricollegata al mito greco di Pandora, visto che la Speranza fu l’ultima ad uscire dal vaso che conteneva tutti i mali del mondo, quasi per consolare l’umanità che li avrebbe subiti.
In realtà, la speranza non muore mai e può cambiare la vita di ciascuno di noi.
Quando tu speri, in pratica, ti aspetti che le cose migliorino, che vadano meglio, che quel che desideri si realizzi.
La speranza, quindi, è quella convinzione che i tuoi desideri si realizzeranno e otterrai quel che ti aspetti.
Di solito pensiamo che sia l’ultima a morire perché tutti, bene o male, continuiamo sempre a sperare che i nostri sogni possano realizzarsi.
La speranza muore quando smettiamo di credere che ci siano delle possibilità.
Per cosa? Per essere felici, per quella felicità che significa vivere bene e provare emozioni positive.
La speranza è la convinzione che, comunque vada, potremo essere felici, che anima la nostra vita, ci rende umani e ci da la forza di lottare e affrontare ogni difficoltà, e viene meno se non crediamo più di poter essere felici in futuro.
La pandemia che ci ha colpito ha tentato di minare alle basi e nel profondo la nostra speranza di vivere. In realtà, la speranza è un atteggiamento radicato in noi, una forza reale che muove i nostri passi e l’orizzonte del nostro camminare anche in mezzo alla tempesta: sappiamo di non essere soli, di far parte di un progetto più grande, di avere qualcuno accanto…e perciò, tutto andrà bene!

PENSIERI

Avete visto la speranza?

di Michelangelo Tagliaferri, docente di Sociologia, fondatore Accademia di Comunicazione, Milano

La speranza, la gioia prima della gioia.
Difficile adattarsi a questo modo di ragionare. Più facile pensare che la paura sia una sofferenza prima della sofferenza. In qualche modo è come se procedendo nel tempo attraverso le varie culture e società i popoli abbiano identificato nella speranza l’antidoto ai mali che li affliggono.
La Speranza è un dono che si declina al femminile, non secondo le quote rosa, ma secondo natura. In qualche modo è un ritorno alle origini a quando, aprendo il vaso di Pandora, i mali si sono diffusi nel mondo e per volontà di Zeus è rimasta l’attesa del presente-futuro come riparo, oltre che dai mali dalla morte. Pandora che era femmina curiosa non ha obbedito e ha liberato tutti i mali del mondo, trattenendo infine il Timore del Futuro, l’ultimo dei rimedi: la Speranza.
Le culture popolari si sono mosse sempre in questa ambivalenza. Noi italiani siamo famosi per l’incoscienza del miracolo all’ultimo minuto. Aspettiamo l’ultimo dei rimedi come se fosse veramente la Speranza, il Timore del futuro, solo che oggi abbiamo nascosto la speranza dietro la paura. Eppure ce l’abbiamo sempre fatta a superare gli ostacoli che di sovente abbiamo creato per nostra superficialità ed incuria. Pensate cosa non abbiamo combinato nei momenti di emergenza?
Il famoso miracolo italiano è stato animato dalla speranza o dall’incoscienza di potercela fare, di non avere paura del futuro perché lo stavamo costruendo. Ora invece ci sembra che tutto sia già stato costruito. Dato per scontato. Oggi sembriamo un popolo di inconsapevoli impauriti. Ovviamente non è così. Noi siamo consapevoli e responsabili soltanto per ciò che crediamo sia vero e per il quale vale la pena di occuparsi, per il futuro già realizzato, per il passato. A quel punto interveniamo, ma senza prospettiva per il futuro. La femmina non partorisce più o ha già partorito. Oggi questa nostra capacità è oscurata dal timore e dalla paura del rischio che è diventato un sistema di calcolo delle probabilità. Il rischio ha preso il posto del pericolo ed tutto è calcolabile, che vuole dire monetizzabile.
Eppure nel primo lockdown non è stato così, anzi. Il pericolo lo abbiamo rivisto di nuovo ed abbiamo avuto di nuovo timore del futuro e abbiamo rianimato la Speranza nel suo accadere.
È durato poco e poi ci siamo abituati. Siamo diventati timo-dipendenti, inconsapevoli come gli animali che non comprendono che periscono. Eppure il nostro è un popolo di santi, poeti e navigatori. Eravamo di cultura contadina, di quella che non c’è più. Avevamo la Speranza e con lei la capacità di sopportare il cambiamento o l’avversa fortuna. Non vivevamo di probabilità statistica, avevamo più conoscenza che scienza. Oggi questa tendenza potrebbe salvarci se credessimo nel futuro. Infatti, queste nostre caratteristiche sono le prime che dovremo usare nella nuova società dei quanti, delle società nelle quali basterà pensare e progettare per realizzare anche ciò che è incredibile e che si chiama Vita.

PENSIERI

Speranza

di Giovanna Chiarilli, scrittrice, giornalista

Quando ho pensato di scrivere alcune parole su “speranza”, istintivamente l’ho associata a un qualcosa di negativo. In genere, almeno per comune sentire, si ha bisogno della speranza nei momenti “bui”, quando ci si trova dentro un tunnel e il pensiero ricorrente è quello di sperare di uscirne prima possibile! E così ho pensato che, fosse per me, renderei sinonimi di “speranza” le parole forza, coraggio, determinazione: grazie a questi è possibile pensare di cambiare, di progettare un altro futuro e far sbocciare la speranza.
Per rubare le parole a Sant’Agostino, condivido che “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”.
Infine, una più attenta riflessione mi ha portato a credere che la speranza è sempre viva e presente, anche nei momenti di grande felicità quando oltre a godere di questo stato di grazia, si spera… che duri il più a lungo possibile.

PENSIERI

I volti della speranza

di Liliana Biondi

Cosa fai, madre, nella buia stanza? 
Veglio con amore il mio bambino 
ha febbre e freddo, nutro la speranza 
d’un cenno di sorriso sul visino.

A cosa pensi donna malmenata 
che il vuoto guardi coi tuoi occhi offesi? 
Spero e prego, sono tanti mesi 
troverò mai un’anima ben nata?

Per dove salpi profugo errabondo
senza temere i mari e le tempeste?
Non so, ma spero e bramo – non nascondo –
terre di pace con persone oneste!

Cosa ti spinge, martire d’amore
a soffrire, combattere e morire?
La speme che dal sangue nasca un fiore
che i cuori duri possa intenerire.

Perché fatichi uomo della strada 
da mane a notte sotto pioggia e sole? 
Lavoro e spero, né mi duole il cuore, 
perché in casa ho l’amore che a me bada. 

A che t’affanni ancora ad imparare
annoso vecchio prossimo al traguardo?
Sempre ho sperato e continuo a sperare.
Lo so, lo sento: mi guida il Suo sguardo.

Speranza, fedele amica della vita 
che sai donare a volte l’insperato 
brilli in grotta, accanto all’eremita 
e in prigione consoli il disperato.

La Speranza

Sei radice e sei ramo
tenace e cangiante!
Sei fine ricamo 
di cuore e di mente,
di trama, anche audace!
Arte sei, non cornice
Della Vita sei amante!
PENSIERI

E dunque, dunque…eccola la speranza!

di Gaetano Cappelli, scrittore

…e riesco finalmente a pensarci, al futuro, ma come a un romanzo, uno di quelli che mi piace scrivere.

Il presente, il futuro e poi il presente e di nuovo il futuro: a pensarci, ogni volta ci si spalanca davanti un cupo abisso di nulla… no, qualcosa la vediamo o, piuttosto, la sentiamo. È questa vocina che ci dice: ma tanto non ci sarò! Già, e i nostri figli? E il tempo impazzito sin da adesso? Le siccità e i susseguenti incendi apocalittici e le inondazioni derivanti?
Bisogna far qualcosa, subito! Ma la faccenda che il cambio di marcia per cambiare le cose riguardi le individualità di noi abitatori del pianeta – ben sette miliardi di ego-riferiti – non può che ributtarci nell’angoscia. Eppure eppure… qualcosa si muove. E a farla muovere hanno iniziato proprio i nostri figli, facendosi sentire, dissentendo dal loro destino certo di vittime future. E dunque… dunque… eccola, la speranza!
Così, per iniziare, invece che in macchina, torno a piedi dal centro dove ho comprato meno abiti – la moda è, sembra incredibile, la seconda causa d’inquinamento mondiale! –, a casa mi lavo attento a non sprecare troppa acqua e accendo solo le luci necessarie, mangio meno carne possibile – gli allevamenti intensivi sono terribili anche per il buco dell’ozono –, dopodiché metto sullo stereo il Preludio e Fughetta in sol minore di Johann Sebastian Bach e riesco finalmente a pensarci, al futuro, ma come a un romanzo, uno di quelli che mi piace scrivere, che cominciano nella disperazione eppoi tutto si risolve; d’altra parte non sarebbe la prima volta che accade nel mondo di noi umani! Evviva!